Per il Giappone in crisi suona un campanello d'allarme di Maurizio Molinari

Per il Giappone in crisi suona un campanello d'allarme Per il Giappone in crisi suona un campanello d'allarme Gli sherpa del Fmi: è ormai un sistema «a rischio», non si esclude un crack nei prossimi diciotto mesi Maurizio Molinari corrispondente da NEW YORK Nelle sale del Waldorf Astoria fra i protagonisti del World Economie Forum la preoccupazione che serpeggia si chiama Giappone. Gli sherpa del Fondo Monetario Internazionale al lavoro nel quartier generale di Washington da qualche settimana hanno inserito stabilmente il Paese Sol Levante nella categoria delle nazioni classificate come «a rischio»: non nel breve termine, come nel caso dell'Indonesia in bilico e del Libano oberato dalla spesa pubblica, ma nell'arco di un periodo di un anno, massimo diciotto mesi. Nei memorandum riservati del Fondo Monetario non c'è l'annuncio di un nuovo caso-Argentina, ma un serio campanello d'allarme per le istituzioni della finanza internazionale. Le preoccupazioni del Fondo Monetario non sono ancora state messe formalmente nero su bianco ma i protagonisti del Forum in corso a Manhattan le hanno apertamente evocate, come se le conoscessero a memoria. L'economista Gail Fosler è sta- ta la più aspra nella radiografia della salute dei conti della seconda economia del Pianeta: «Popolazione in declino, stagnazione permanente, politiche intollerabili, stanno andando in discesa, temiamo che il peggio non sia evitabile». Incalzato durante la tavola rotonda da un collega cinese molto accigliato Motoshige Itoh, insigne economista dell' Università di Tokyo, ha candidamente ammesso quanto tutti sanno a memoria: «Abbiamo tentato in questi anni ogni possibile strada, i tassi di interesse sono a zero, non ci resta a questo punto che svalutare lo yen per tentarne di uscire dal vicolo cieco in cui siamo finiti». Ma si tratta di un'ipotesi da brividi per Pechino, il cui alto tasso di crescita è legato alle esportazioni a buon mercato possibili grazie al basso costo della manodopera. La tensione sino-giapponese è per Mario Baldassarri, viceministro per l'Economia, la conferma che «fra yen e yuhan si sta creando un rapporto simile a quello che intercorre fra dollaro ed euro». Anche per questo la minaccia di una crisi giapponese desta preoccupazione. Ma i numeri che circolano fra i partecipanti del summit semhrano aver già decretato la condanna del Sol Levante: con un recessione marcata e prospettive non certo favorevoli nel breve e medio termine la Spada di Damocle è quella del gigantesco credito accumulato dalle banche nipponiche nei confronti delle aziende nazionali, vera spina dorsale dell'economia del Paese ed anche della stabilità sociale. «Il volume stimato è in questo momento fra i 600 ed. 800 miliardi di dollari - dice Arrigo Sadun, economista internazionale e presidente del Business Information Group - una cifra che le aziende non possono restituire senza fallire e le banche non possono depennare dai bilanci per lo stesso motivo». Al centro dell'incubo giapponese c'è il sistema bancario, da tempo oggetto di osservazioni molto critiche da sarte degli analisti. Così come 'Argentina è andata in default per non poter pagare il debito estero accumulato, il Giappone rischia il peggio per il corto circuito interno fra aziende e banche. La situazione generale in cui versa il Paese non aiuta: un rapporto fra debito pubblico e pil superiore in percentuale a quello dell'Italia, carenza di investimenti e calo apparentemente inarrestabile dei consumi. I giapponesi sentono infatti da tempo odore di crisi e, spinti da un'ondata di licenziamenti che ha scosso il mito del posto fisso, risparmiano versando i loro soldi in banche che rischiano la bancarotta. Fra i partecipanti al Forum nessuno si è azzardato ad andare controcorrente, azzardando previsioni positive per il Giappone. L'unica voce in qualche maniera dissonante è stata quella di Jacob Frenkel, presidente della banca d'affari Merrill Lynch ed ex capo dell'Ufficio Studi del Fondo Monetario Intemazionale, che ha invitato i presenti a non fasciarsi la testa troppo rapidamente: «L' economia mondiale ha imparato in questi anni a fare a meno del Giappone e così continueremo a fare in futuro». Ovvero, il Sol Levante appare oramai condannato ma quando il corto circuito avverrà né l'Europa né gli Stati Uniti ne pagheranno troppo le conseguenze. «Con la popolazione in declino, la stagnazione e le politiche errate temiamo che adesso il peggio non possa più essere evitato» Tokyo le ha provate tutte in questi anni senza ottenere i risultati che s'attendeva La minaccia grave è il debito gigantesco accumulato dal sistema bancario

Persone citate: Arrigo Sadun, Gail Fosler, Itoh, Jacob Frenkel, Mario Baldassarri, Merrill Lynch, Spada, Waldorf