L'uomo Prada dice addìo alla frivolezza di Antonella Amapane

L'uomo Prada dice addìo alla frivolezza L'uomo Prada dice addìo alla frivolezza Per Krizia il maschio diventa morbido e attira le carezze Antonella Amapane inviata a MILANO Prada rovescia il cappotto e le regole del guardaroba maschile ripartendo dai classici. Frivolezze addio. «Dopo quello che accaduto nel mondo si sente il bisogno di fermarsi a riflettere su come dovrebbe, o vorrebbe, vestirsi l'uomo oggi. Nulla è più moderno - dice la stilista - dei capisaldi. Tipo il paltò di cammello e la giacca a due bottoni, ma senza rituffarsi nel passato». L'operazione sotto-sopra, significa eliminare fronzoli attenendosi all'indispensabile. E la novità sta nella silhouette e nell'abbinamento dei tessuti. Il cappotto e certi blazer sono portati al contrario. La fodera a vista non è un puro vezzo. In materiale lucido tecnico, di giorno serve a riparare dalla pioggia. La sera è in seta, elegantissima. Addirittura i revers mostrano la parte interna in panno, le pattine delle tasche sono rivoltate. Fondamentali i volumi che regalano maggiore imponenza alla figura. Eppure il taglio è perfettamente aderente alla figura. I colori rimangono quelli favoriti da Prada. Interrotti da flash arditi: dolcevita rosse o gialle e pantaloni verdi. Così come sono colorate le calzature, rivisitazione raffinata in pelle delle scarpe da ginnastica, destinate a diventare un must fra i giovani manager. «Certo, la nostalgia fa parte della vita, ognuno di noi è il frutto del passato. Ma deve prevalere il bisogno di andare avanti. Anche nella moda. 'E anche se c'è ancora parecchio da inventare», dice Miuccia Prada sottolineando che l'ultima vera rivoluzione l'ha fatta Mary Quant con la minigonna. ili lusso rischia di diventare impopolarissimo. II superfluo pure. Armani li bòccia con fermezza: «E ora di finirla coln questo mondo fasullo dove se non hai l'ultimo prodotto alla moda sei un cretino. La parola lusso mi fa schifo. Mi fa venire in mente quelle dive di una volta che andavano in giro con i levrieri afghani. C'è troppa enfasi su articoli e abiti che non corrispondono alla vita reale. Per permetterseli bisognerebbe svenarsi. E' vero che io disegno abiti ricamati da 5 milioni, ma anche jeans da 200 mila lire. Nelle mie cinque linee si trova di tutto, per tutte le tasche». L'Emporio Armani riflette il suo pensiero, è un omaggio alla classe operaia. «Impossibile fame a meno, dovrebbe essere tenuta molto più in considerazione dai nostri politici», dice il re della giacca, affascinato dal modo di vestire sobrio e dignitoso dei lavoratori francesi che escono dalle fabbriche di Billancourt, dai minatori degli Anni Trenta e dagli attivisti del fronte popolare. Ecco i calzoni dritti e corti, serrati dietro come corsetti o con il velcro. I maglioni ampi e spessi hanno cerniere che si aprono dal collo al polso, le cravatte son sciarpette lasche. C'è pulizia e ima certa aria militare in parecchi giacconi, negli stivali da recluta in libera uscita. Impeccabili i cappottoni quadrati simili a quelli di Churchill, virili i berretti che citano Lenin , essenziali i giubbotti, quasi souvenir di Marion Brando in «Fronte del Porto». Se Krizia ammorbidisce la figura maschile con quintali di maglieria che attira le carezze femminili c'è chi come Byblos- riesuma il fascino della camicia bianca portata con fusciacche in vita. Ma nel gioco dei flussi e riflussi spunta anche ima linea chiamata Hemingway. La produce Mario Nencini della Incom, col permesso del figlio dello scrittore, il settantacinquenne Patrick. I capi presentati ieri- fra tartine e drink firmati, non a caso, Cipriani-sono una moderna riedizione di quelli amati dal grande Ernest: giacche safari, golf da pescatore, pantalonacci di velluto a coste. «Il libro di mio padre che preferisco è "Addio alle armi"-confida Patrick- perché c'è un paragrafo dedicato a mia madre quando aspettava me)). Il lusso diventa impopolare. Armani lo boccia con fermezza: «È ora di finirla» e il suo Emporio rende omaggio alla classe operaia Il classico riscoperto da Prada: «Dopo l'11 settembre bisogna riflettere»

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