«Non c'è giustizia», lascia la toga il Di Pietro francese di Cesare Martinetti

«Non c'è giustizia», lascia la toga il Di Pietro francese LA DENUNCIADI ERIC HALPHEN, IL MAGISTRATO CHE INDAGO' IL PRESIDENTE CHIRAC: TROPPI BASTONI TRA LE RUOTE «Non c'è giustizia», lascia la toga il Di Pietro francese Cesare Martinetti corrispondente da PARIGI ERIC Halphen molla: «Deluderò molte persone, ma non posso certo lasciarci la vita». E' l'ultimo (?) colpo di scena della rocambolesca storia del giudice che osò mettere sotto inchiesta Jacques Chiran e il suo entourage. La destra francese applaude: «E' lo scacco di un cattivo magistrato». I socialisti si dicono costernati: «Non è una buona cosa perla democrazia». Lui semplicemente dice che non ne può più: «Mi hanno messo i bastoni tra le ruote, pedinato, filmato, registrato, intercettato, cacciato anche quando ero in vacanza con la famiglia: non è più possibile». Da Créteil (Val-de-Mame) dove sette anni fa aveva cominciato la sua inchiesta sui conti neri dell'istituto case popolari (Hlm) che lo avrebbe portato ai finanziamenti occulti dei gollisti di Chirac, Halphen da qualche mese era finito al tribunale di Nan- terre, giudice della libertà. Ieri sul Parisienne la sua confessione che sembra la degna pagina finale di un'inchiesta e un affaire che assomiglia a un romanzo: «Quando ho deciso di fare il magistrato avevo un ideale di giustizia: la giustizia uguale per tutti... le inchieste che ho fatto mi hanno fatto toccare con mano che quel!' ideale è impossibile e che quella giustizia non esiste». Lascerà la magistratura, dice che sta cercando un lavoro, precisa di non avere ancora alcuna idea di quello che potrà fare. Annuncia che la sua storia sarà presto un libro. L'aspettavamo. Per tutta questa incredibile vicenda i giornali francesi usano l'aggettivo «rocambolesco» che qui ha pure il suo valore. Il punto più alto di spettacolarità fu toccato nel settembre del 2000 quando venne fuori, rivelata da Le Monde, una cassetta video registrata in cui Jean-Claude Mery, collettore di finanziamenti per l'Rpr (il partito di Chirac), morto qualche mese prima, messo sotto inchiesta da Halphen, confessava «tutta la verità» e tirava in ballo il presidente. Un documento «cinematografico» e drammatico: un morto che parla dall'ai di là, sulle immagini mosse e dai colori elettrici dei videotape, una voce che non c'è più e accusa il presidente della Repubblica. L'aveva registrata lui stesso, «nel caso mi capitasse qualcosa». Gli era poi capitato di morire (per malattia, non ci sono dubbi su questo) e di dare così a tutta la storia dell'inchiesta un tono e un colore più che sinistro. Ma già prima, nel 1996, le indagini del giudice Halphen erano state distratte da una vicenda famigliare piuttosto oscura e pesantemente sospetta di intervento da parte dei servizi segreti di Stato. Di sicuro nell'affare s'era infilato un fedelissimo di Charles Pasqua, gollista e allora ministro dell'Interno. Il dottor Jean-. Pierre Marechal, psichiatra e suocero di Halphen aveva avvicinato un uomo del partito del presidente offrendosi di intervenire presso il giudice suo genero. Ma nel momento in cui il dottor Marechal si apprestava a incassare un bustarella da un milione di franchi (trecento milioni di lire) sono intervenuti i poliziotti. Una trappola che naturalmente ha pesato sull'inchiesta del pove¬ ro Halphen. Altri episodi stravaganti sono il rifiuto della polizia parigina di perquisire la casa del giudice Tiberi ordinata dal magistrato. E ancora l'invio, da parte del ministro della Giustizia, di un elicottero in cerca del procuratore di Evry in vacanza per convincerlo a intervenire sul suo aggiunto e sconfessare un atto. Di Rocambole in Rocambole fino alla primavera 2001 quando Halphen convoca Jacques Chirac come semplice «testimone», in realtà come sospettato di essere l'ispiratore del sistema di finanziamento del suo partito attraverso gli appalti pubblici. Ma pochi giorni dopo Halphen stesso si dichiara incompetente, i suoi atti vengono annullati ad ogni stanza di appello, l'inchiesta gli viene tolta, il Consiglio Costituzionale decide che il presidente non è giudicabile fintantoché presidente. Al giudice non resta che alzare bandiera bianca e scrivere un libro. Esulta la destra «E' lo scacco di un cattivo magistrato» Socialisti costernati «Un brutto giorno per la democrazia» Ora scriverà un libro

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