Il potente peronista come l'anti-Menem di Vincenzo Tessandori

Il potente peronista come l'anti-Menem IL SENATORE CHE SI CANDIDA A «UOMO NUOVO» PER RISOLVERE LA CRISI CHE HA MESSO IN GINOCCHIO IL PAESE Il potente peronista come l'anti-Menem Vecchio politico, due cattedre universitarie, imprenditore immobiliare ci riprova dopo la sconfitta nelle presidenziali da parte di De la Rua personaggio Vincenzo Tessandori ANCHE se non c'è un impero come quello di Alessandro il Grande, e forse non c'è mai stato, i «diàdochi» di Juan Domingo Peron mica scherzano sulla spartizione, e allungano le mani ora che il «poder» sembra una mela matura, cosicché la dichiarazione non iroprio elegante di un ex : enomeno del calcio chiamato Diego Armando Maradona pare la fotografia di una situazione senza uscita: «I politici sono sporchi come un bidet. La politica, tosi come la intendono i politici argentini, è già sporca», ha detto lui. E ha trovato eco sulla stampa, ma senza scandalizzare: in fondo è quello che pensa la maggior parte della gente che insorge per i coni d'ombra che si allungano, uno dopo l'altro, sui candidati al trono della Casa Rosada. Anche sull'ultimo aspirante, il senatore Eduardo Duhalde, che non gode di stima eccessiva e, del resto, neppure dell'amicizia dei compagni di partito tranne di quella, c'è da credere interessata, di coloro che fanno capo al suo gruppo. Soprattutto lui è in perenne rotta di collisione con l'altro «Caudillo» del (gusticialismo»: «el turco» Carlos Saul Menem che, negli anni delle due presidenze, ha avuto il dubbio merito di aver condotto il Paese sull'orlo del baratro, ma ora ha quello, più serio, di voler stringere di nuovo le leve del potere per scaraventarlo giù. Insomma, a queste latitudini l'espressione «cosa nostra» sembra rivestire un preciso senso anche politico: al passato di Menem punteggiato di maneggi, coperture, corruzioni e incapacità ora potrebbe subentrare il presente di Duhalde, che da un punto di vista politico e morale non par mostrare un volto troppo diverso o più attraente. Una laurea in legge, due cattedre universitarie e un'avviata attività immobiliare sono i pilastri su cui ha poggiato la vita politica. Quando decise di gareggiare per la carica di sindaco a Lomas Zamora, dove è nato sessant'anni fa e tutt'ora ha casa, era il 1973: l'alba della seconda sciagurata stagione di Peron, quella che si sarebbe conclusa con la sua morte e con il potere passato di mano da Isabelita ai militari. Lui Duhalde venne rieletto nel 1983, poi è cominciata la strada maestra che lo ha condotto al Congreso di Buenos Aires: deputato, vicepresidente della camera, presidente del senato, governatore della provincia di Buenos Aires, e, come leader della corrente riformista del partito ^usticialista», pure presiden- te del Congresso nazionale peronista. Cinque figli, fra i 24 e i 12 anni: una si è chiusa in convento; l'unico maschio, Tomàs, è l'ultimo: un anno fa era per dividere con lui la sua grande passione, la pesca, quando in gommone a largo di Miramar finì nell'occhio di un ciclone: salvati da un elicottero dopo 10 ore. Come sindaco ha avuto il coraggio di decidere una cosa impopolare: la chiusura delle discoteche alle 3 di notte, quando a quell'ora di fatto si aprono. I suoi nemici dicono che abbia in pugno il milione di voti che può dare «la Matanza» e sottolineano come molti fra i protagonisti delle sommosse siano arrivati proprio da quel sobborgo. Bizzarri, questi «diàdochi» di Peron, alla perenne ricerca di un'immagine che ricordi l'antico (flefe», quello che il Primo maggio del '44, nel messaggio ai lavoratori argentini, tuonò: «Le rivendicazioni, come le rivoluzioni, non si proclamano, semplicemente si compiono». Fatto è che il labirinto in cui debbono orientarsi loro, gli eredi, è assai più comphcato e non basta metter¬ si accanto una moglie bionda e attiva come lo fu Evita: Menem la sua l'ha trovata in Cile, giovane, attraente, una miss Universo, ma non ha fatto in tempo a esibirla, per via di un arresto inopportuno piombatogli sulle spalle prima ancora di partire per il viaggio di nozze. Duhalde la sua la mostra senza parsimonie, anzi, è lei, la deputatessa Hilda «Chiche» Gonzalez, a dar prova di una grinta straordinaria. Dunque, anche per lui, il nuovo che sembra così vecchio. voci e non soltanto di affari ; joco puliti, come il narcotrafIco. Ma ne sarebbe uscito bene e sarebbe anche potuto diventare presidente se più della metà degli argentini non avesse deciso di dire no all'utopia peronista. Il fatto è che la sconfitta di fronte al radicale Fernando De la Rua rischia di segnare per sempre il suo destino. Eppure, Duhalde era considerato un vincente: perché governatore della Provincia di Buenos Aires, da un punto di vista concreto, se non istituzionale, significa essere la seconda figura per importanza. E in seno al partito «justicialista» aveva conqiiistato una posizione di vertice che ha scatenato veleni e invidie. Facendo buon viso a cattiva sorte Menem lo aveva nominato vicepresidente e la cronaca ci racconta di quella tregua annata che alla prima occasione «el turco» ha rotto, accusa Duhalde: «Condividevano l'amicizia di alcuni giudici», e-De la Rua avrebbe finito per essere una sorta di pupazzo nelle mani di Menem. Vero o falso, da quel momento non si sono più salutati. E ben presto lo scontro è scivolato di tono: Duhalde sostiene che Menem sia un traditore del peronismo, che distrugge il paese con il suo ultrafiberismo. E lo chiama «Cabezon», testa grossa, come negli anni d'oro del calcio platense lo era Qmar Sivori. «El turco» ribatte: «Non ho la testa grossa, bensì il corpo piccolo». Il braccio di ferro continua e lo sanno tutti che se Duhalde riesce, taglierà la strada al gruppo del «turco» ma c'è chi vede in questa lunga alchimia politica la decisione di Menem di tagliar fuori dalle elezioni del 2003 l'antagonista, che non potrebbe candidarsi. Ecco, anche con queste manovre tutto sommato ripugnanti, deve fare i conti questo impero che non c'è, la «desesperada» Argentina. Una moglie deputato che è sempre al suo fianco. E' accusato dai suoi nemici di controllare il sobborgo da dove provengono molti dei protagonisti degli scontri di piazza Il senatore Duhalde, grande manovratore politico, tra i suoi sostenitori durante un incontro della sua corrente giustizialista

Luoghi citati: Argentina, Buenos Aires, Cile