I ribelli di Siena: una trappola evitata di Fabio Martini

I ribelli di Siena: una trappola evitata IL MONTEPASCHI DISSE NO I DS LOCALI HANNO IGNORATO LE PRESSIONI DEI VERTICI A SOSTENERE LA SCALATA DI BOLOGNA I ribelli di Siena: una trappola evitata Fabio Martini inviato a SIENA Sul viso del sindaco di Siena, qualcosa che somiglia ad un sorriso: «Alla luce di ciò che sta accadendo viene da tergersi la fronte. Se il Monte dei Paschi si fosse infilato in quella storia, sarebbero stati dolori per tutta la città...». Il sindaco Maurizio Cenni, ds, è uomo troppo navigato per abbandonarsi a giudizi lapidari sui compagni della Unipol in difficoltà, ma la prudenza non gh impedisce di aggiungere: «Sarebbe sin troppo facile dare ora giudizi morali, dire che avevano visto lontano coloro che hanno scelto di stare alla larga da un certo modo di far finanza. No, dirlo oggi non sarebbe corretto...». Eppure mai come oggi i notabili di Siena si compiacciono tra di loro per essersi salvati dal Soduku nel quale si sono infilati gh assicuratori bolognesi che volevano diventare banchieri. Che paradosso, Siena «la medievale» che appare più saggia della pragmatica Bologna, i comunisti senesi più avveduti degli emiliani e dei romani. In una città nella quale la Quercia sfiora il ^"/i, il vero centro del potere è il «rosso» Monte dei Paschi, quinta banca italiana per capitalizzazione di Borsa. Al momento giusto il Monte ha saputo dire no al leader dell'Unipol Giovanni Consorte che voleva annoiare la più antica banca del mondo nella scalata alla Bnl. Ma non fu solo Consorte a chiedere aiuto a Siena. Anche i vertici ds sondarono e consigliarono ai compagni senesi di dare una mano. Come fa capire, tra l'altro, una chiacchierata captata dalla magistratura l'S luglio scorso. Stefano Bellaveglia, vicepresidente del Monte dei Paschi, dalemiano, parla al telefono con Chicco Gnutti della scalata alla Bnl: «È un'operazione che avrei voluto far fare al Monte ma non ci sono riuscito. Io sto con D'Alema e Fassino, ma bisogna tener conto del fatto che qui ci sono il Comune, la Provincia e l'azionista che non la pensano allo stesso modo». E' andata proprio così: a Siena i notabili ds, in gran parte dalemiani, non hanno seguito i consigli di Roma. E al «Botteghino» si sono risentiti: l'ex ministro delle Finan- ze Vincenzo Visco è arrivato a definire «medievale» l'approccio prudente dei senesi e subito dopo il «gran rifiuto» del Monte, in Parlamento si è consumato un passaggio curioso. La maggioranza ha presentato un emendamento per sterilizzare i diritti di voto delle Fondazioni nelle banche quando la lóro quota di partecipa¬ zione eccede il 30 per cento. Uno sfregio per la Fondazione senese che detiene il 4994 del Mps. Ma la vera sorpresa è stata un'altra: l'astensione di due senatori ds. Massimo Bonavita e Nicola Latorre, braccio destro di D'Alema. A distanza di cinque mesi, seduto al suo tavolo, Fabio Ceccherini, pragmatico e popolare presidente della Provincia (secondo nella graduatoria nazionale del Sole 24 Ore) la vede così: «Quel che è accaduto in Parlamento non lo dimentichiamo: è stata un'operazione oscura che può danneggiare tutto il sistema bancario. Soltanto un cretino non si rende conto che si è trattato di un atto di ritorsione messo in atto guarda caso subito dopo la decisione del Monte di non partecipare all'operazione Bnl assieme a Ricucci, Coppola, Statuto». Ceccherini, ds anche lui, assolve i compagni di partito astenuti sull'emendamento anti-Monte? «In aula tutto il centrosinistra ha votato contro, ma una cosa è certa: sulle scelte industriali della Banca non è possibile nessun collateralismo. E il Monte ha deciso calcolatrice alla mano». E a Roma? Piero Fassino nella contesa Unipol-Monte dei Paschi non ha tifato più di tanto, anche se in un'intervista al Sole 24 Ore, a luglio, ha messo a verbale una sommessa critica alla filopofia del Mps: «Troverei sbagliato un arroccamento sul solo terreno senese». Pochissimi nella Quercia hanno condiviso fin dall'inizio la scelta del Monte dei Paschi e tra questi il più deciso è stato il senatore Franco Bassanini, che è eletto da queste parti e ora fa il magnanimo: «Giustamente i senesi hanno sempre respinto la tesi di una guerra Siena-Bologna e hanno sempre rivendicato la tesi che ogni cosa andava fatta sulla base delle convenienze economiche. Certo ha avuto ragione chi ripeteva che politica e affari vanno tenuti distanti». Il sindaco Cenni, che del Monte è un dipendente in aspettativa, annuisce: «Nella scelta fatta a Siena sono state lasciate fuori dalla porta le ideologie, la politica e le chiamate a raccolta sotto le bandiere della retorica». Il messaggio è in tralice: carissimo Fassino, stavolta l'onore della sinistra l'ha salvato Siena, non Bologna. «Le scelte industriali si fanno sui numeri E la Banca ha deciso calcolatrice alla mano» Maurizio Cenni, sindaco di Siena