Chi suggerisce al piccolo presidente?

Chi suggerisce al piccolo presidente? Chi suggerisce al piccolo presidente? Farìan Sabahi Perché il presidente iraniano Ahmadinejad, eletto a giugno, prende di mira lo Stato di Israele, dichiarandolo dapprima ottobre «un tumore», un'entità da «cancellare dalla cartina geografica» e giungendo persino, in questi giorni, a negare l'Olocausto? La stampa iraniana reagisce positivamente alle dichiarazioni del presidente, definendo le sue osservazioni «logiche e meno passive di quelle del governo precedente». Molti iraniani - sia in patria sia nella diaspora che coinvolge milioni di individui - rabbrividiscono invece di fronte a un presidente cosi poco diplomatico, che peggiora ulteriormente l'immagine dell' Iran nel mondo, e ricordano i tempi di Ciro il Grande quando l'Iran dava riparo agli ebrei. Il problema è nella costituzione della Repubblica Islamica, dove si legge che l'Iran rifiuta lo Stato di Israele e dà il proprio appoggio al popolo palestinese. Sebbene inseriti nella costituzione della Repubblica Islamica, questi punti sono sempre stati una questione più di retorica che di sostanza. Negli anni Ottanta mentre le Guardie rivoluzionarie iraniane aiutavano la Siria a formare il movimento Hezbollah in Libano, il governo iraniano acquistava, attraverso una triangolazione con Israele, armi americane da usare nella guerra contro l'Iraq di Saddam. Durante la presidenza del riformatore Khatami (1997-2005) avevamo sentito parlare di dialogo tra civiltà. Era ovvio che Khatami non condividesse il rifiuto dei falchi verso una soluzione con due Stati. E in occasione del funerale del Papa era stato visto mentre stringeva la mano al presidente israeliano, nato e cresciuto nella stessa cittadina iraniana da cui proviene Khatami. All'Occidente sembrava che la retorica contro Israele fosse finita nel dimenticatoio. Anche ai tempi del presidente riformatore sulla televisione di Stato iraniana continuavano però a passare messaggi verbalmente violenti contro Israele e contro il premier Ariel Sharon. Il telegiornale apriva spesso con il numero di morti e feriti nei Territori occupati e, quando veniva inquadrato il primo ministro israeliano, appariva una stella di fuoco che lo divorava. Tutto questo sulla televisione di Stato (non sulle emittenti via satelhte, che trasmettono in persiano dalla Ca¬ lifornia), controllata dal leader supremo Ah Khamenei. È quest'ultimo, e non il neopresidente che molti si ostinano a definire capo di Stato, colui che è veramente al potere, visto che controlla le forze armate e i paramilitari - le guardie rivoluzionarie (pasdaran) e le milizie islamiche (baisji), e i mezzi di comunicazione e ha l'ultima parola su tutte le questioni nazionali e anche di pohtica estera. A conti fatti, Ahmadinejad è in carica ma non al potere, al punto da non riuscire nemmeno nominare il ministro del petrolio senza l'accordo del parlamento. Le prime tre candidature a questa importante carica (IW/o del budget iraniano dipende dal petrolio) sono state rifiutate dal parlamento e, in particolare, proprio da quella fazione conservatrice che dovrebbe essere invece in sintonia con Ahmadinejad. Pur elevatosi nella gerarchia sociale in seguito al matrimonio con la figlia del potente ayatollah Jannati, il neopresidente è figlio di un umile fabbro. Apparentemente la sua elezione dimostra quindi che gli ideali populisti della rivoluzione islamica del 1979 sono diventati realtà. Il problema è che in ventisei anni l'Iran è molto cambiato e la classe dirigente, composta di mercanti e membri del clero sciita, si è arricchita. Con le sue dichiarazioni, e soprattutto con le purghe nei ministeri e ai massimi livelli del sistema bancario allo scopo di combattere la corruzione, Ahmadinejad fa vacillare delicati equilibri. Nonostante le ripercussioni a livello intemazionale deUe sue dichiarazioni, Ahmadinejad non ha comunque il potere di attacca¬ re Israele. A comandare sono infatti, oltre al leader supremo, i membri del clero e i giuristi che siedono in alcuni organi non elettivi. E l'ultima parola spetta sempre, in caso di contenzioso tra i vari organi, al Consiglio per l'interesse nazionale presieduto dal potente Hashemi Rafsanjani. Nel complesso sistema politico lasciato in eredità da Khomeini alla sua morte, nel 1989, nessun processo pohtico è veramente democratico. La stessa elezione di Ahmadinejad è avvenuta dopo che il Consiglio dei guardiani (composto da dodici conservatori) ha selezionati otto persone tra gli oltre mille candidati. Il requisito fondamentale, oltre a essere di sesso maschile, è l'aderenza ai principi della rivoluzione e alla costituzione, tra cui figura proprio il rifiuto dello Stato di Israele e l'appoggio al popolo palestinese. Infine, Ahmadinejad non è il solo leader mediorientale a inveire contro Israele: si tratta di una retorica utilizzata occasionalmente anche dai capi di Stato di alcuni Paesi arabi, persino di quelli vicini all'Occidente. Lo fanno a fini intemi, ma non fanno notizia. Sull'Iran, invece, i riflettori sono accesi e ogni pretesto è buono per fare pressione su Teheran a causa del nucleare. Ma anche per l'intenzione degh ayatollah di aprire nel 2006 un mercato di scambio internazionale per il petrolio in euro. Considerato l'interesse già manifestato dalla Russia, dal Venezuela e dalla stessa Cina -eia minaccia che la borsa del greggio in euro rappresenta per la supremazia del dollaro - ci sono molte buone ragioni per tenere l'Iran sotto pressione.