Il Wto con la sindrome cinese di Francesco Sisci

Il Wto con la sindrome cinese HONG KONG AL VIA IL NEGOZIATO PIÙ' INCERTO DELLA STORIA DELL'ORGANIZZAZIONE. ATTES110 MILA NO GLOBAL Il Wto con la sindrome cinese Francesco Sisci PECHINO I cinesi, i nuovi eroi della globalizzazione che negh ultimi venticinque anni hanno moltiphcato di almeno sei volte il loro reddito prò capile, grazie anche al più libero sistema degli scambi intemazionali, affrontano per la prima volta al vertice del Wto, l'organizzazione del commercio mondiale che inizia oggi a Hong Kong, la protesta anti globalizzatrice. Dall'Italia Vittorio Agnoletto fa sapere che sarà nell'ex colonia di sua maestà britannica, oggi territorio cinese. Dalla Francia il suo sodale José Bove, tetragono degh straprotetti agricoltori transalpini, sembrava che prima dovesse essere cacciato e poi invece è stato fatto entrare. Agnoletto si è subito fatto sentire chiedendo solidarietà per Bove. «L'Europa denun¬ ci pubblicamente davanti all'Assemblea del Wto la grave discriminazione nei confronti di un suo cittadino e sui gravi episodi di questi giorni. Gli affari non possono comprare il silenzio», ha protestato Agnoletto. Questi sono solo alcuni degli elementi che affollano la disordinata scacchiera di Hong Kong per la sei giorni del vertice. Gli ospiti cinesi si preparano alle dimostrazioni e hanno affidato alla polizia locale, addestrata e allenata dagh inglesi, le eventuali proteste di forse 10 mila attivisti domestici e intemazionali. Già ci sono blocchi stradah e controlli di sicurezza per assicurare la tranquillità dei lavori. Come prevede l'etichetta di qui però i cinesi voghono tenere un profilo basso: niente disordini eccessivi ma neanche voglia di mettersi in mostra nel dibattito dominando l'agenda della riunione. Da Pechino dicono: lasciare il campo a India e Brasile. I due paesi su molte questioni hanno un programma simile a quello cinese ma sono al centro di minori polemiche. I paesi più industrializzati, tra i 149 del Wto, infatti, vorrebbero parlare del renminbi cinese secondo loro sottovalutato e vorrebbero affrontare la dibattuta questione del tessile, dove le esportazioni cinesi minacciano tanti mercati. Ma è difficile che riescano ad andare troppo lontano. La rivalutazione del renminbi è controversa, avrebbe un effetto inflattivo nel mondo e aumenterebbe la capacità di acquisto delle aziende cinesi ah'estero. Da Bruxelles Franco Frattini, vice presidente della Commissione dell'Unione Europea, ha detto che un fallimento della conferenza ministeriale Wto a Hong Kong mostrerebbe un'Europa «molto fragile» sul fronte della globalizzazione. Ma a tale fallimento sembra già preparato Peter Mandelson, commissario Uè al commercio e capo negoziatore del Vecchio Continente. Lui è pessimista. I paesi Uè che non vogliono ulteriori riduzioni della Pac, la politica agricola comune. L'unione europea ha proposto di taghare dal 35 fino al 60 per cento i dazi doganali sulle importazioni di prodotti agricoli. Invece India e Brasile vorrebbero l'apertura dei mercati agricoli europei e americani. Chiedono perché per una mucca francese ci devono essere più sussidi che per mantenere una intera famiglia povera di Bombay. Secondo il ministro degh esteri brasiliano Celso Amorim i Paesi industrializzati sono colpevoli di danneggiare gh interessi del 70 per cento della popolazione dei paesi in via di sviluppo, per proteggere quelli di una ristretta categoria deUe loro popolazioni, gh agricoltori. La Cina su questo terreno è più prudente, i suoi prodotti agricoli sono spesso più cari di quelli americani e un'apertura di questo mercato potrebbe mettere in pericolo il lavoro di centinaia di milioni di suoi contadini. Questa sfiducia reciproca grava come una cappa di umidità inquinata e appiccicosa sul vertice, nuova tappa del¬ l'interminabile Doha round, la maratona negoziale iniziata nel 2001 nella capitale del Qatar. Quindi il paradosso si avvolge su se stesso. Bove che difende gh agricoltori francesi, è anti globalizzatore, mentre Amorim, che vuole mercati più aperti per il suo zucchero e la sua carne di manzo, pensa evidentemente che di globalizzazione non ce n'è abbastanza. L'agenda che a Seattle nel 1999 sembrava avere unito i poveri contro i ricchi del mondo in maniera trasversale dagh stati. Contro la globalizzazione c'erano i paesi emergenti e le classi deboh del primo mondo. Sei anni dopo a Hong Kong alcuni interessi nazionah appaiono ricomposti. I governi di paesi emergenti come Cina, India, Brasile non hanno più paura della globalizzazione anzi ne voghono di più, per trascinare fuori dalla povertà milioni di loro diseredati. Bove e i suoi invece sono sempre più spaventati dei danni che la globalizzazione sta procurando ai suoi aiuti e alle sue barriere. I governi dei Paesi emergenti, come India e Brasile, non hanno più paura della globalizzazione Per la prima volta Pechino dovrà affrontare i cortei e le proteste dei dimostranti occidentali Una colorita protesta degli agricoltori delle Filippine