Canzoni & visioni addio, scocca l'ora del tortellino

Canzoni & visioni addio, scocca l'ora del tortellino FINE DI UN'EPOCA CON LE ELEZIONI VICINE, LE PAROLE D'ORDINE SONO SERIETÀ E BUON SENSO Canzoni & visioni addio, scocca l'ora del tortellino Dair«I Care» veltroniano al pragmatismo di Bersani ronfkH'aafii repOrtage JACOPO IACOBONI : - - , Inviato a FIRENZE Una volta i simboli erano Imagi- ne di John Lennon, oggi il mezzo stivaletto a punta in pelle punzec- chiata nera, stile ragazzo da bar emiliano, di Bersani (Pierluigi, non Samuele). Un tempo pare di ricordare che pullulassero cita- zioni riferimenti letterari canzo- ni, e chi più ne aveva meglio era, oggi latitano le visioni, non si vuole dire i sogni, figuriamoci slogan e immaginario pop. Forse perché l'ora è grave, la stagione del governo probabilmente vici- na, e si vuole apparire seri al limite del grigiore; forse perché il partito-I care di Veltroni è diven- tato il partito-tortellino del suo responsabile per il programma, Non un cantante, a dispetto del nome; e anche questo è un simbo- lo: in altri tempi la relazione d'apertura l'avrebbero fatta farea Samuele. La transizione la spiega proprio lui, Pierluigi Bensani, alzan- dosi un po'dalla sedia-tortura per EBSSBpartito democratico, gh slogan, I care... ma dai, su, questo è chiac-chiericcio. Mi dicano che voghe- no fare il partito democratico e mi siedo subito al tavolo, ma amici, ci voghono due anni, non due mesi!». Prima ci sono le elezioni; e l'intervento inaugurale della con- ferenza ha magari risposto all'ac- cusa di programmismo, ma non produce simboli. Niente visioni. Poco che scaldi il cuore. «L'abbia- mo fatto apposta», spiega Bersa- ni. «Beh sì, ci sarebbe questo "amare l'Itaha', ma mi rendo conto... qualcosa se lei guarda nella mia relazione c'è, per esem- )io "aprire la porta a chi resta ùori e bussa"... o in quella di Massimo, "unire l'Itaha",.. ma insomma, dai, se avessimo fatto imo slogan da soli domani la Margherita avrebbe fatto il suo, e dopodomani lo Sdi il loro, ed eravamo da capo a dodici... slo- gan e visioni bisogna produrli tutti insieme». Gianni Cuperlo lo dice dottamente, «per i simboli e ^e i1111113^1^ ^ lavoro comincia adesso. Con gli alleati». Nicola Zingaretti ha un'altra teoria, «non abbiamo più bisogno di immagini perché ormai siamo fuori dal dramma», come se saper scaldare i cuori servisse solo quando si è messi male. Certo c'è Fabio Mussi che si ribella, ((va bene il realismo emiliano, ma non c'è principio di realtà senza lo spazio per un grande sognol», però lui si ribella sempre; e poi è anche tecnicamen- te minoranza. Vi sono stati anni in cui pur si vedevano reboanti pashmine comprate nel mercatino di Co- vent Garden ma fatte rigorosa- mente arrivare via Peshawar; oggi c'è uno sciarpouesimil pash- mina rosso di Roberto Cuillo, che non è esattamente la stessa cosa di Lilli Gruber; una sciarpa che è palesemente per non prender freddo sempre di Bersani; un completo viola di Anna Serafini, molto elegante ma non altrettan- to evocativo. Qualche cronista forse per rallegrare il tutto corteg- già Gianni Cuperlo. Fassino avrà pure ragione che «iDs non vendo- no sogni», ma forse adesso esage- rano unpo'. E comunque. I simbo- ij nell'oggettistica rimasti sono ^ magUoncino giallo portato sotto la giacca di Cesare Salvi; una pipa del medesimo colore infilata nel taschino sinistro di Sandro Curzi, che la offre gentil- mente per riscaldare i cuori per- che anche lui è convinto, «se ne stanno a frega un po' troppo della comunicazione, della tv, del mes- saggio, troppo pragmatismo...»; un'altra pipa ciancicata da Diaco, interprete delle sollecitudini del gruppo dirigente sulle opportunità da dare ai giovani. Si parla molto di Giddens, Fitoussi, Touraine, ma erano qui, cosa volete che scaldino? Veca cita Kant, «dato che la terra è tonda noi esseri umani siamo tipi destinati prima o poi a incontrarci», sì, da Mario, prima o poi. È coltissino Fassino, cita il grande Zygmunt Bauman e tiene gli appunti del suo discorso infilati dentro 77ie world isflat, ponderoso saggio di Tom Friedman, ma via, mica è Dylan, anche Friedman in fondo è bersanismo stile New York Times. Ci sarebbe Shakespeare, ma con due piccohssimi problemi: primo, è Shakespe- are del Re Lear che dice «noi dobbiamo accettare il peso di questo tempo triste», ciò che appunto dicevano le nonne emiliane cinquant'anni fa, con altro accento; e secondo, lo si scova a pagina 187 dei «Materiali per un contributo al programma de l'Unione», testo di agile lettura, 220 pagine, presumibilmente non godute appieno dall'intera platea. I tortellini no, sono andati tantissimo; come certe sfogliatine (sempre emiliane in onore a Bersani) nonostante fossimo a Firenze. Amato menziona Marcuse, D'Alema Gramsci, due semi-interdetti nel partito-I care. Pragmatismo serietà, pragmatismo serietà. Viva l'Emilia, operosa e silente. E se alla fine proprio si deve cantare che sia Rino Gaetano e non i gingillini Coldplay, Il cielo è sempre più blu e non dobbiamo fingerci allegri, e comunque D'Alema, lo si legge dalle labbra, risponde così a chi invoca una sua partecipazione all'unico ritomeUo della tre giorni: «No no, io non canto». D^ JUq «arnU ^r rULI le [Jdl Ulc jJcI c^j Jar^ j -j |r.rp -)*-dlUdIc I MJU'C •-^:rr"-^-^;p"2-"^"^""-" ^v3ll bUydll. LlIdlciIIU mi rnn /-ili a ìpati^ '"c' t-u" \J" d ItrdU» —--^^—^^^-^ ^Ul^.1. iuiìc-si cjaycia Qui sopra la scenografia del congresso di Torino del 2001. A sinistra Pierluigi Bersani, uomo-simbolo della concretezza tante volte evocata alla convention di Firenze

Luoghi citati: Emilia, Firenze, Torino