Gente senza nome e senza volto che fa parte della «società parallela»
Gente senza nome e senza volto che fa parte della «società parallela» I PROCURATORI DELLE CiTYA ASSEDIATE ILTIMORE CHE RITORNI LA «STAGIONE DI MANOLO» Gente senza nome e senza volto che fa parte della «società parallela» nordest GIOVANNI CERRUU MILANO Sono passati dieci giorni e la signora Pinuccia Biffi è ancora in ospedale, la mandibola fracassata, le guance graffiate e la psicologa che le sta accanto. «Adesso ho paura di tornare p casa», dice lei. A casa, nella villetta di Aicurzio, appena fuori Monza, dove sono entrati in tre e giù botte anche al Cesarino, il marito. «Continuavano a picchiarci, ma perché, non bastavano i soldi?». Erano in tre, zingari o forse rumeni. Li hanno presi l'altra mattina, ma per la signora Pinuccia poco cambia. E se capitasse come a Clarence Seedorf, il calciatore del Milan? In due settimane sono andati due volte. Bande diverse. Le statistiche, per quel che vangono, sono già da buttare. Sarà anche vero che nei primi sei mesi del 2005 le rapine in villa sono state 166, in calo, ma è anche vero che da un paio di settimane ce n'è una a sera. L'ultima (l'ultima?) a Gambolò, provincia di Pavia. Più o meno il solito schema, quello che nel Nord-Ovest sarebbe stato inventato, brevettato e collaudato da Tom Tufi e Clodian Ndoy, due latitanti albanesi. Arrivano in tre, quasi sempre senza pistole, bastano un coltello e un cacciavite, minacciano, alla prima reazione menano, se ve vanno con soldi, gioielli, orologi e l'auto del padrone di casa. Lombardia, Veneto, Trentino, Friuli, a chi tocca tocca. Villette isolate, non lontane da tangenziali o autostrade. Famiglie tenute sotto osservazione. Colpi piuttosto facili. «Non sa¬ prei dire se questa è un'escalation, ma di certo si tratta di reati dal forte impatto sociale», spiega Ennio Fortuna, procuratore generale a Venezia. Anche qui rapine in villa. Nel Vicentino, nel Trevigiano, nel Bellunese. E anche qui s'interrogano sul che fare. «Più carabinieri nelle strade? - si domanda il pg Fortuna - E dove li prendiamo? La coperta è corta e non abbiamo la bacchetta magica. Faremo anche noi come a Milano. Un pool». A Milano è servito per arrestare chi ha malmenato e rapinato la signora Pinuccia e il signor Cesarino. «Pool investigativo», lo chiamano i carabinieri di via Moscova, «per analizzare tutti i dati e rilevarne collegamenti e matrici comuni nelle indagini condotte dalle diverse autorità giudiziarie» della Lombardia. Ma è un pool, ammettono, che può funzionare solo se si realizza la «Sicurezza partecipata», due parole che sono poi un appello. «Queste rapine, che spesso sono furti che si trasformano in rapine, avvengono in zone dove i cittadini dovrebbero partecipare, segnalare macchine o persone sospette». Avevano cominciato, con gli Anni 90, gli slavi di Ljubisa "Manolo" Vrbanovich nel Bresciano. «E quella sì che fu un escalation», ricorda Fabio Salamone, sostituto procuratore a Brescia. Poi, e per anni, le rapine in villa erano sembrate più un affare da statistica che un pericolo diffuso. Un'eccezione in mezzo ai furti. «La rapina è più complessa, richiede più uomini e più informazioni spiega il pm Salamene -. Una delle cose più frequenti è che il furto diventi rapina perché il proprietario di casa rientra proprio in quel momento». E così il furto precipita in aggressione, e il cacciavite diventa un'arma. Quando se ne vanno con la macchina del padrone di casa allora è una cosa seria, è una rapina da professionisti. Robe dà Tom Tufi e Clodian Ndoj, gli albanesi. Tra novembre 2004 e il febbraio di quest'anno almeno 30 rapine in villa. Dai confi- ni con il Piemonte su fino al Friuli, e la loro base stava a metà, sul Lago di Garda. Tom Tufi sceglieva le ville, studiava orari e movimenti. A Clodian Ndoj, arrestato ed evaso in aprile da San Vittore, la rapina. Le auto rubate nelle ville, tutte o di grossa cilindrata o fuoristrada, si possono trovare in circolazione a Belgrado, Tirana, Zagabria. Targhe nuove e vere. Dalla rapina di Gambolò se ne sono andati con un fuoristra- da Mercedes. Da quella di Aicurzio e da quasi tutte le ultime no, solo soldi, gioielli e botte. Mica tutti sono come il calciatore Seedorf, che se l'è cavata senza un graffio e ha capito perché; «Non sapevano che era casa mia, però mi hanno riconosciuto subito». E niente cazzotti. Ma per altri, come ad Aicurzio, la novità che nessuna statistica raccoglie è, come dice Antonio Pizzi procuratore della repubblica a Monza, «la violenza ascrivibile alla brutalità dei singoli». Quel che è successo a casa Biffi, il figlio legato alla sedia, la caviglia spezzata a calci. Appena passato da Busto Arsizio e dall'inchiesta sulle Bestie di Satana a questa Monza capoluogo della Brianza, il procuratore Pizzi cita il film "Arancia Meccanica". E una sua idea ce l'ha. «Ormai siamo in presenza di quella che definisco "Società parallela" - spiega -. Sono immigrati clandestini, gente sconosciuta, senza nome e senza volto. Una "Società parallela" che ricorre alla violenza per sfregio, per una sorta di rivincita nei confronti della nostra società». Colpevole di «non riconoscere i diritti e di non consentire di realizzare progetti di vita». Risultato, «i sistemi sociali non reggono». La Brianza dei dané e delle fabbrichette, dei macchinoni e delle villette. Degli antifurto, anche. E dei vigilantes privati. Sembra questa la zona più a rischio, quella dei furti che diventano rapine violente. La Brianza che parte da Aicurzio e arriva a Lecco, dove l'altra sera hanno rapinato e mandato per venti giorni in ospedale il parroco di Calco, appena rientrato a casa con ia sacchetta delle offerte per il Presepio. «Dio mio, quante sprangate che mi hanno dato», si è lamentato don Marino Rossi con il naso rotto. Rapina in Canonica, questa, non in villa. Chissà se la metteranno nelle statistiche. «Ricorrono alla violenza per sfregio, per una sorta di rivincita nei confronti del nostro mondo» La banda degli slavi Terminò proprio in questi giorni 15 anni fa, con la cattura a Belgrado, la «carriera» della famiglia slava che più di ogni altra ha seminato paura e terrore in Italia: quella degli Vrbanovic. La carriera di Manolo «Ljubisa», Nenad e degli altri fratelli iniziò la sera dell'I i novembre 1986 a Pescina quando la studentessa di Avezzano Marina Cairoli venne violentata e uccisa. L'excalation di violenze, accertata dalla presenza di una pistola da Far West, una Magnum 357, culminò nel colpo di Pontevico dì Brescia dove venne massacrata un'intera famiglia. Ennio Fortuna, pg di Venezia
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