Addio al primo Maradona della storia Re del Manchester e mito degli inglesi

Addio al primo Maradona della storia Re del Manchester e mito degli inglesi Addio al primo Maradona della storia Re del Manchester e mito degli inglesi LONDRA. George Best è morto ieri alle 12,55 nel reparto di terapia intensiva del Crcmwell Hospital dove era ricoverato dal primo ottobre. Aveva 59 anni, era attaccato al respiratore già da tre giorni. Accanto al suo ietto c'erano il figlio Calun, 24 anni, e il padre Dickie, 87. Era stato ricoverato dopo Il rigetto del trapianto di fegato (operazione subita nel 2002). Per evitarlo avrebbe dovuto restare astemio. Sarà sepolto a Belfast nella tomba accanto a quella della madre Ann. Data e ora del funerale non sono ancora state stabilite. personaggio PIERANGELO SAPEGNO Cantavano «Wboll stop the rain», chi fermerà la pioggia, baby, quando lui correva in un campo di calcio. Adesso che George Best è corso fuori dalla vita, con la sua bottiglia di whisky in mano e le sue donne nel cuore, è facile dirlo, che non poteva che fioire così, morto come un disperato al Cromwell Hospital, con le lacrime della sua ex moglie, Alex, e dei pochi amici che dividevano le birre nei pub, e con quella foto angosciante mandata ai giornali per dire «Non fate la mia fine». Ma Best è stato qualcosa di più dello sciagurato che se n'è appena andato per sempre, di quei 50 chili afflosciati su una barella. È stato un genio del pallone. Il primo Maradona della storia. George ha fatto l'ala tutta la vita, ha corso e ha corso sempre su quel bordo, lasciando i terzini per terra ad acciuffare l'aria. Fare l'ala è come una missione, è l'unico ruolo dove devi sempre saltare l'uomo, e quando hanno ucciso un po' il calcio hanno ucciso l'ala, quando la palla bisognava solo toccarla e darla via e allora non serviva più uno che dribblasse i terzini e corresse sul fondo con il pallone al piede. George ha continuato anche quando hanno smesso tutti, ha continuato anche quando non aveva più le gambe per correre più veloce degli altri sulla linea del fallo laterale, quando i fianchi si erano allargati e le guance erano cascate, quando bastava una spinta per fermarlo, e lui non s'è fermato. Ha fatto l'ala fino all'ultima notte e all'ultimo respiro, con la sua pinta di birra e il bicchiere di whisky per perdere i sensi e non smettere di sognare, ha fatto l'ala fino a ieri, George, che gli anni erano 59, i capelli erano grigi e i denti sporchi e gli occhi vuoti, ha fatto Ida come in tutta la sua vita, perché era l'unica cosa che sapeva fare, sempre ai bordi del campo: di qua c'è la vita, di là la morte. Una volta, quando è cominciato il suo calvario, l'avevano quasi tirato fuori per i capelli: era su una panchina ubriaco marcio, marzo 2000, e l'avevano portate in ospedale senza conoscenza. H medico aveva detto: «Un altro bicchiere e muore». Lui avevarisposto: «Sono diventato quasi bravo. Solo 12 birre al giorno. E un whisky alle 4 del mattino, perché se no non dormo». Pochi sono riusciti a capirlo: ha continuato a correre. Anche se non poteva più, ha continuato a farlo fino alla fine. Era nato a Belfast, padre protestante che lavorava aiì porto, e lui giocava a pallone nei docks, tra casse e container. Papà era sempre ubriaco. Lui faceva a pugni e guardava le donne. Il suo destino era già segnato: doveva fare il tipografo. A calcio ci giocava solo per divertirsi, nei campetti di periferia. Ma un amico irlandese del grande Matt Busby, l'uomo che avrebbe inventato il Manchester degli Anni 60, lo vide e rimase folgorato. Quello che gli disse quella volta al telefono è passato alla storia del calcio: «Matt, I think Tve found a genius». Prima di ammetterlo che quel ragazzo con la frangetta dei Beatles era davvero un genio, the Big Busby aspettò ima notte magica di Coppa Campioni 1966 a Lisbona contro il Benfica. Però, gli dette retta da subito, all'amico, e andò a prendersi quel giovanotto di Belfast. Matt Busby gli fece da padre e finché lui restò al Manchester, George diventò una stella del calcio, un mito che poi quando si spense, sopravvisse ugualmente a se stesso, alimentandosi della sua maledizione. Best durò 5 anni solo, dal '63 al '68, per salire le scale dell'Olimpo e farsi chiamare il quinto Beatle, come lo battezzò il nomale portoghese Ola alla fine di quel Benfica-Manchester, quarti di finale di Coppa Campioni 1966. Ma in quei cinque anni riuscì a prendere tutto, due scudetti, la Coppa Campioni, il Pallone d'Oro nel 1968. Quando lo vinse aveva solo 22 anni. E aveva già cominciato a bere, come confessò in un suo libro, proprio quella notte di Lisbona, dopo aver messo a sedere tutta la difesa dei lusitani, e Matt Busby che non stava più nella pelle: «E' vero, sei un genio», gli disse. I think l've found a genius. Quella sera George Best aveva vent'anni: «Ho cominciato a bere per festeggiare la vittoria e non ho più smesso». Per imo che doveva fare il tipografo a Belfast tutto questo era un sogno da diventare pazzi. Non so se Best era davvero come un folle. Però, continuò a correre ai bordi del campo, e della vita. Pieno di donne. George, nella mansarda della signora Mary Fullaway dove stava in pensione, o nella villa a Branhall, nel Cheshire, ci aveva fatto passare il mondo, e poi a Londra, a Chelsea, quando aveva smesso di giocare, non di scappare e correre. Aveva collezionato donne come le sue birre. Una volta disse: «Se non fossi così bello sarei più forte di Pelé». Intanto faceva collezione. Susan George, che aveva girato con Peckinpah, Carolyne Moore, miss Inghilterra, Sinead Cusack, attrice (che preferì a una partita con il Leeds: lo aspettavano nello spogliatoio e lui era a letto). Pamela Ewarth, modella. Marie Elfverson e Birgitta Korsemann, starlette come Charlotte Cervin ed Elisabetta Bengson. La modella Angle MacDonald, la sua prima moglie per pochi giorni. E poi miss Mondo Magone Wallace, per la quale rischiò la galera per furto. E Stephanie Sloniecki: una multa per lite e ubriachezza molesta. Aveva tutte queste donne quando lasciò il Manchester nel '72 a soli 26 anni, perché, raccontò al Sunday Mirror, il pallone gli aveva bruciato le adi: «Mi sento un naufrago. Un relitto umano. Nessuno sa quello che è avvenuto dietro l'immagine affascinante di George Best. Solo adesso sto tornando normale. Bevo una dozzina di birre e qualche whisky. E riesco pure a dormire». Non ha smesso di bere mai, nemmeno quando gli hanno cambiato il primo fegato, aprile 2002, e continuò a non smetter dopo che quello nuovo era già gonfio come una zampogna. «Mentre giocavo bevevo e bevevo anche quando non giocavo. Avevo bevuto anche quando nel 1990 venni invitato al Wogan Show in tv. Wogan mi chiese di tutte le donne che avevo avuto e io dissi: «Terry, a me piace scopare, va bene? Lui imba- razzato cercò di cambiare argomento. Che cosa ti piace fare nel tempo libero? Mi chiese. Risposi: fottere». Nel 1997, sua moglie, Alex, si presentò al commissariato di Kensington con il volto tumefatto: «Mio marito mi ba preso a pugni», disse. Fecero pace ma 3 anni dopo erano di nuovo da capo e il 13 luglio 2000 Best uscì di casa sbattendo la porta e finì in un pub a ingurgitare quanto alcol poteva. Lo trovr alle 7 il custode di un parco; era steso su una panchina con ima bottiglia di champagne in mano. Fu quella volta che Londra venne tappezzata dai manifesti scritti dal dottor Roger Williams: «Non date da bere a quest'uomo se veramente gli volete bene. Potrebbe costargli la vita». Gli installarono un controllore antialcol nello stomaco. Gli cambiarono il fegato. Finì tutti i soldi. Vendette tutti i suoi trofei. Incassò 235 mila euro. Divorziò da Alex a pianse: «Non ho avuto nessuna come lei». Ma il giorno della sentenza era già ubriaco. Usciva dai pub e entrava nei tribunali. L'ultima volta che lo vide un giornalista se ne stava andando da un tribunale del Surrey. Gli uscieri gli avevano aperto la porta: «Arrivederci signor Best». Non avevano fatto tempo a sorridere. «Arrivederci un cazzo». Era stato rinviato a giudizio per l'aggressione a Vicky Pope, amica della sua ultima fidanzata, Gina Devilo. Aveva cercato di tirarle un pugno. Era ubriaco. Best s'era perduto eoa, correndo ai bordi del campo. Ma il suo testamento ideale l'aveva recitato il giorno che era morto il suo secondo padre, Matt Busby. «Ogni cosa ha il suo tempo», disse, recitando la Bibbia. «Un tempo per seminare e un tempo per raccogliere. Un tempo per piangere e un tempo per ridere. Un tempo per conservare. E un tempo per buttare via». Così è andata. Come in quella canzone, nessuno ha fermato la pioggia. Talento e ironia «Accidenti, se non fossi così bello sarei di certo più forte di Pelé» La vita in una frase «Ho speso molti soldi per l'alcol, le donne, le auto Il resto l'ho sperperato» L'inizio della fine «Sono diventato bravo Solo 12 birre al giorno E un whisky alle 4, altrimenti non dormo» Come verrà ricordato Tony Blair «Non l'ho mai visto dal vivo eppure non scorderò come giocava. È stato l'eroe di una generazione» Bob Geldof «La prima pop star dei calcio. Di colpo si è trovato pieno di soldi ed è stato del tutto travòlto» Paul Gascoigne «È stato perseguitato più di ogni altro calciatore in ogni giorno della sua vita Giudicato da tutti» Bobby Charlton «Ha arricchito la vita di chiunque lo abbia vistp giocare Un modello inarrivabile per noi» Roberto Bettega «Ricordo bene la sua estrosità sul campo Un vero mito per me ragazzino» Michel Platini «Best inventò il calcio rock'n'roll Con il Manchester fece vibrare tanta gente ai suo ritmo»