Brecht, l'arte della gentilezza

Brecht, l'arte della gentilezza Brecht, l'arte della gentilezza Guido Davico Bonino L 14 agosto 2006 saranno cinquant'ànni che Bertolt Brecht è morto. Aveva solo cinquantott'anni, ancora quattro giorni prima aveva preso parte a una prova del suo Galileo, e tra il 6 e il 13 febbraio era stato a Milano, al Piccolo di via Rovello, ospite di Strehler in occasione della prima dell'Opera da tre soldi, con le scene di Teo Otto (lui sul palco, e in platea, alla matinée di domenica, una matricola torinese di Palazzo Campana, che scrive queste righe). Molto opportunamente la Feltrinelli e la Einaudi ci ricordano con adeguato anticipo questa ricorrenza: la prima ristampa la «storica» protobiografìa di Federic Ewen, la seconda conclude splendidamente l'edizione completa delle liriche, Poesie II (1934-1956), ancora ima volta a cura di Luigi Forte, autorevole specialista. Questo secondo volume, ancor più del primo, ci conferma l'eccezionale statura del Brecht poeta, uno dei massimi dell'intero Novecento: lo ribadisco, giacché a tutti non è dato conoscerlo. La silloge, 1790 pagine stampate in Normandia e rilegate a Parigi, consta di 1400 poesie in tedesco con la loro versione a fronte (alcune firme di traduttori sono prestigiose, Caipitella, Cases, Castellani, Fertonani, Fortini, Ruth, Leiser, a cui si affiancano i giovani Barbon, Braun, Cenato, Groff, Mucchi) e di 390 di fittissimo commento, cui hanno atteso Barbon, Niccolini, Ulrich. Chiedo scusa del puntigho bibliografico, ma in tempi in cui sui giornali hanno diritto di citazione le ultime aspiranti veline, jmiriBembra appena doveroso offrire un minimo rilievo a chi i^Aobbeirca ben più aspre fatiche. Le raccolte, presentate nella loro integralità, sono tredici: si va dai Sonetti inglesi, scritti a Londra nel 1934 per la lontananza dell'amata Margaret Steffin, ricoverata in sanatorio in Georgia (english vuol anche dire angelici) alle Elegie di Buckov, composte nel luglioagosto 1953 e intitolate alla «seconda casa», a una cinquantina di chilometri da Berlino, che sarà il buen retiro dello scrittore negh ultimi anni: «Il primo sguardo alla finestra il mattino - il vecchio libro ritrovato - volti entusiasti - neve, il mutare delle stagioni - il giorna¬ le - il cane, la dialettica...». Parto di qui, da questa rabbrividente lirica (ho perdonato per anni a Strehler, che la leggeva così male) da Buckov, che finisce con un verso paradigmatico, Freundlich sein, «essere gentili», per dire che più di metà delle poesie di questo magnifico volume sono all'insegna della gentilezza. Parlo di forma, ma anche di contenuto: è come se i quindici anni di esilio, che questo secondo tomo documenta (dal '34, come s'è detto, al 1949: è nel novembre che viene inaugurato il Berliner Ensemble con Puntila e il suo servo Matti, a mio avviso il capolavoro assoluto di B.B.) avessero trasfuso in lui, giorno dopo giorno, dolore dopo dolore, un'altra linfa, ne avessero fatto un altro uomo, certo un altro scrittore. Nella sua densa e profonda introduzione Forte lo spiega con un fervore pari al rigore (a proposito, ad esempio, dei rapporti con gli esuli e con i «rimasti»): io lo dico così alla buona, come se lo spiegassi ai miei allievi a lezione. Qualcuno dei sohti bene intenzionati (una volta erano solo di destra, adesso è di moda esserlo anche da sinistra) potrebbe allora insufflare tartufescamente: «Ecco l'ennesima riprova del crollo delle ideologie!». No, signor mio, non è affatto così: «La città di Hollywood mi ha istruito - paradiso e inferno - possono essere una città: per chi non ha mezzi - il paradiso e l'inferno...». Ho citato stavolta dalle Elegie di Hol- lywood: e questa definizione del capitalismo, messa in musica da Eissler, non mi sembra d'uno che ha abdicato alla sua fede pohtica: anzi, è semmai la rabbiosa conferma della propria coerenza da chi è stato visitato dal dubbio dopo anni e anni di separatezza, di sofferto silenzio: «Certo la ruota gira senza posa - in alto non si resta eternamente - Ma in basso all'acqua resta una cosa - sola: girare per sempre...». Questa Ballata della ruota venne scritta nel 1934, in occasione della messinscena di Teste tonde e teste a punta in Danimarca: ma nel 1950 Brecht la corresse così: «La ruota allora più non si volge - e il piacevole gioco ha una pausa - se l'acqua infine con le sue forze - libere, lotta per la sua causa». E' una correzione che.abbisogna forse di commenti? Nessun crollo ideologico, signor mio... Semmai la sopraggiunta saggezza di chi ha compreso che altre armi si devono affilare per un'altra lotta pohtica: e non sono certo le armi della violenza e della guerra (contro le quah si possono qui rileggere le liriche delibici, il diario in versi degh anni della devastazione bellica hitleriana, corredato da fotografie ritaghate dai giornali e debitamente incollate, a dimostrare ch'esse in mano ai nazisti erano «armi contro la verità»). Sono semmai le armi del distacco critico, di una diversa tolleranza, anche (perché non ammetterlo?) del beneficio costante dell'incertezza: «Siedo sul ciglio della strada. - Il guidatore cambia la ruota. - Non mi piace da dove vengo. - Non mi piace dove vado. - Perché guardo il cambio della ruota - con impazienza?». Le «Poesie» fra'34 e'56 documentano la radicale metamorfosi dell'uomo e dello scrittore morto mezzo secolo fa: aveva compreso che altre armi si devono affilare per un'altra lotta politica, non la violenza e la guerra, ma il distacco critico, una diversa tolleranza, il beneficio dell'incertezza Bertolt Brecht con Paolo Grassi sul palco del Piccolo di Milano nel 1956 per la prima de «L'opera da tre soldi», regia di Strehler :jli( ii/m s,:» Bertolt Brecht Poesie. Il: 1934-1956 a cura di Luigi Forte Einaudi, pp. XC-1790,690 CLASSICO

Luoghi citati: Berlino, Danimarca, Georgia, Hollywood, Londra, Milano, Parigi