Sequestri lampo Spa Con gli italiani a Caracas si finanzia la guerriglia di Emiliano Guanella

Sequestri lampo Spa Con gli italiani a Caracas si finanzia la guerriglia VENEZUELA VA Di MODA RAPIRE I NOSTRI CONNAZIONALI Sequestri lampo Spa Con gli italiani a Caracas si finanzia la guerriglia Aiuti ai ribelli e soldi facili per i banditi Dal 2000 le vittime sono già cinquanta Emiliano Guanella CARACAS «Come ho resistito per ventuno giorni chiusa in uno scantinato Pensavo a mi nino, Eduardo, che non si merita di rimanere orfano a tre anni». Paola Carlesi D'Amico si riprende lentamente dal sequestro che ha scosso Ciudad Bolivar, centro industriale sperduto nel Venezuela orientale a metà strada tra l'Oceano e la Cordigliera delle Ande. Ha ventotto anni ed è impiegata nella fabbrica di prodotti di plastica fondata dal padre emigrato nel secondo dopoguerra da Milano. I rapitori l'hanno presa mentre andava in ufficio. «Conduco una vita semphce che ruota tutto intorno a mio figlio. Alla mattina lo porto all'asilo, la vado a prendere per il pranzo e poi tomo al lavoro. Non esco molto la sera, non vada in discoteca, non faccio una vita ostentata. Ma questo, a loro, non interessa». «Loro», sono la banda di delinquenti specializzata nei sempre più diffusi «sequestri express»: richiesta rapida di riscatto, trattative veloci, bottino quasi sempre assicurato. «Non so - confessa Paola quanto sia stato il riscatto che ha pagato la mia famiglia. L'unica cosa che voglio, adesso, è stare tranquilla, tornare alla mia attività e pensare ad un altro posto dove andare a viverel». I Carlesi d'Amico non sono certo i magnati di Ciudad Bohvar ma hanno una posizione consolidata negli anni che fa gola a chi ja perfettamente che con un po' di logistica e la manovalanza della delinquenza comune si può portare a casa un buon gruzzolo. E sono italiani, fanno cioè parte della comunità di emigrati che ha fatto più strada in Venezuela. Spirito imprenditoriale, in una terra dotata di grandi risorse naturali. Attraenti perché hanno fortune che non si preoccupano di nascondere, non amano le guardie giurate e le macchine blindate e hanno un grande attaccamento alla famiglia. E perché pagano. Una cinquantina i connazionaU sequestrati dal 2000 ad oggi. Ne rimangono altri otto. Dopo diversi appelli arrivati dai rappresentanti della collettività, la Farnesina ha mandato degli specialisti, con mandato e compiti limitati: stare vicino alle famiglie, parlare con le forze di polizia locali, insegnare come ci si deve comportare. Il nuovo funzionario, Emanuele Trofè, è a Caracas da due giorni e sta studiando i casi ancora aperti. Come quello di Giorgina Frigo, rapita con il figlioletto di tre anni a El Tigrito nello Stato di Anzoategui. O di Guido Giovannone, originario del Lazio, titolare di una piccola fabbrica di borse di pelle, portato via agli inizi di agosto a San Cristobal, capitale dello stato occidentale del Tachira, a pochi passi dalla Colombia. Sua moglie Ileana era al telefono con lui quando l'hanno rapito. «Ero da mia suocera con i nostri tre figli. Guido stava parcheggiando ì'auto.davanti a casa. Ho sentito dei rumori e poi la linea è caduta. Ho capito subito cosa stava succedendo». La prima richiesta di riscatto è stata infinitamente supe¬ riore alle possibihtà della famiglia: più di un milione di dollari. Poi il silenzio, in un copione assodato per far crescere l'angustia tra i famigliari. «Il consoe italiano ci sta vicino e questo ci fa piacere. Ma c'è ben poco da fare. Possiamo solo aspettare le loro mosse». Tachira è terra di droga e di criminalità segnata dalla presenza di una delle frontiere più calde del mondo. I delinquenti comuni catturano le vittime per conse¬ gnarle alle Fare o all'Eln, i gruppi guerrigheri colombiani. La polizia fa poco al punto di essere sospettata di connivenza. Gh italiani sono appena quattromila ma si conoscono tutti. Il primo a finire nelle mani dei sequestratori è stato Silvano Diamante, proprietario di una rete di stazioni di servizio e di una grossa rivendita di pneumatici, liberato dopo il pagamento di un riscatto consistente. L'ultimo è Silvio Stan¬ co, fighe di immigrati napoletani, liberato agh inizi di novembre dopo quattro mesi di prigionia. «Stavo andando a lavorare nel nostro allevamento di polli. Quattro uomini armati mi hanno fermato. Mi hanno bendato e portato nella selva e poi in canoa per mi paio di ore fino ad arrivare al rifugio». Stanco racconta tutto con ima lucidità disarmante. «I primi due giorni sono stati i più difficili. Mi minacciavano costantemente. Un comandante in uniforme mi ha spiegato di che cosa si trattava. Credo ancora oggi che si siano sbagliati di persona, che cercavano qualcuno molto più ricco di me. Dopo un po' non avevo più paura di morire e ho iniziato a dialogare con loro. Ho capito che erano dei soldati, che obbedivano a degli ordini e che mi volevano vivo e non morto». Una volta pagato il riscatto è iniziato il viaggio di ritomo. «In canoa e poi a piedi fino a un villaggio in territorio venezuelano. Mi hanno messo su un taxi che mi ha portato a casal». Il giorno dopo la polizia di San Cristobai si è presa il merito della liberazione. «Della polizia confessa - preferisco non parlare. Di tutta questa vicenda ho imparato molte cose. E oggi non mi fido più di nessuno». Come molti altri ex rapiti, vuole andarsene e pensa agli Stati Uniti dove vive suo fratello. «Conosco l'Italia, ci sono stato per visitare i parenti. Avete uno stile di vita più lento del nostro, credo che non mi ambienterei bene». Per chi resta nel Tachira esiste da qualche mese un'opzione. Una compagnia d'assicurazione inglese vende in assoluto riserbo una polizza antisequestri: ventimila dollari all'anno per un premio-riscatto che può arrivare fino a dieci milioni di dollari. I chenti aumentano. Paola Carlesi D'Amico è appena stata rilasciata a Ciudad Bolivar «Ho resistito ventuno giorni in uno scantinato pensando a "Mi nino"» Silvio Stanco E' stato liberato all'inizio di novembre dopo quattro mesi di prigionia. «Mi minacciavano costantemente», racconta dei suoi rapitori. Ora vuole andarsene dal Venezuela, come molti altri italiani vittime di sequestri Guido GlOVannone L'imprenditore originario del Lazio (foto a destra) è ancora nelle mani dei sequestratori. Sua moglia Ileana (sopra con una foto del marito) parlava al telefono con lui quando è stato rapito, ad agosto: «Ho sentito dei rumori e poi la linea è caduta. Ho capito subito cosa era successo».

Persone citate: Bolivar, Carlesi D'amico, Giorgina Frigo, Guido Giovannone, Paola Carlesi D'amico, Silvano Diamante, Silvio Stan, Silvio Stanco