L'ultimo siluro alla riforma del Tfr di Luigi Grassia

L'ultimo siluro alla riforma del Tfr PREVIDENZA INTEGRATIVA OGGI IL CONSIGLIO Dpi MINISTRI DOVREBBE VARARE IL PROVVEDIMENTO, SINDACATI E CONFINDUSTRIA INVITANO COMPATTI AD APPROVARLO L'ultimo siluro alla riforma del Tfr Scontro nel governo: Tudc Baccini frena. Maroni e Alemanno: «Bisogiia chiudere» Luigi Grassia Nel Paese delle pause di riflessione il ministro udc Mario Baccini ne invoca una anche per la riforma del Tfr, la cui approvazione è in agenda per oggi a Palazzo Chigi. «Credo che sia opportuna», ha detto ieri il titolare della Funzione pubblica, immediatamente rimbeccato dal collega del Welfare Maroni: «Forse Baccini non si è accorto che siamo in pausa di riflessione dal 5 ottobre. Quindi sono quasi due mesi. Il tempo è scaduto: o la riforma si fa o non si fa. Inutile prendersi in giro». Maroni ha aggiunto che «se si vogliono dare argomenti allo sciopero generale di venerdì la cosa da fare è proprio non approvare una riforma che i sindacati apprezzano». E infatti il leader della Cisl, Savino Bazzotta, dice che «sarebbe veramente una cosa vergognosa se il provvedimento non passasse» e Adriano Musi della Uil parla di ( polemica avvilente» e ricorda che «non c'è più tempo». Per la Cgil Morena Piccinini chiede al governo di «rispettare gli impegni» e afferma che «ogni modifica al testo di Maroni rischia di essere peggiorativa». Inviti pressanti a chiudere sono venuti ieri dal ministro Alemanno di An («siamo a fianco di Maroni, perché dietro questa riforma c'è un accordo faticosamente raggiunto da imprese e sindacati, che rappresentano i naturali garanti delle risorse accantonate nel Tfr) e dai vicepresidenti di Confindustria Andrea Pininfarina («un nuovo rinvio sarebbe strano») e Alberto Bombassei («una volta tanto che diamo un esempio di collaborazione tra industria, sindacati e gran parte del governo, se la riforma non passa c'è qualcosa che non riusciamo a capire»). Però Baccini non si smuove: «Non credo che domani (oggi, ndr) in Consiglio dei ministri si arrivi al voto». Fra i motivi del contendere c'è la parità di trattamento con i fondi chiusi negoziali che viene reclamata dalle compa¬ gnie di assicurazione. Queste si candidano a gestire il denaro che a tutt'oggi confluisce nel trattamento dì fine rapporto e che in futuro andrà a finanziare la previdenza complementare. La riforma, come concepita da Maroni, privilegia i fondi chiusi e trova d'accordo non solo buona parte della coalizione di governo ma anche i sindacati e l'opposizione di centrosinistra, mentre suscita resistenza da parte di alcuni ministri che sostengono le ragioni degli assicuratori. Restano poi dubbi sulla soluzione proposta per le compensazioni alle industrie che perderanno i fondi finora accantonati per le liquidazioni. Baccini si dice «preoccupato che la riforma possa penalizzare il mondo produttivo e che ci siano ulteriori aggravi per il bilancio dello Stato». A suo giudizio «se non c'è un accordo è meglio non votare. Bisogna evitare contrapposizioni, soluzioni laceranti. Dobbiamo sforzarci di fare una nuova mediazione, i tempi per riflettere ci sono e la mia è solo una proposta di buonsenso». Da questo orecchio Maroni non ci sente. «Il tempo è scaduto - dice -. Non si vuol fare questa riforma perché non consente alle assicurazioni di fare quello che vogliono senza regole? Si abbia il coraggio di dirlo una volta per tutte e ognuno si assuma le sue responsabilità». Ricorrendo alla metafora del registratore Maroni dice che «siamo già in pausa e ora bisogna schiacciare il tasto play oppure il tasto stop. La pausa inserita il 5 ottobre dal governo passa automaticamente allo stop se non si interviene, perché il 4 dicembre la delega scade. Se questo succede non sa'-à un buon risultato, però io da solo non posso decidere». Ieri si ipotizzava come compromesso che il contributo del datore di lavoro dopo 5 anni di parcheggio nei fondi negoziali possa essere trasferito nei fondi aperti con il consenso del lavoratore. Oppure si potrebbe votare la riforma così com'è e fare il punto dodici mesi dopo l'approvazione con la possibilità di apportare modifiche. Se il provvedimento cui Maroni ha legato la sua credibilità in anni da ministro saltasse, la Lega a cui appartiene potrebbe reagire con misure estreme come un emendamento alla Finanziaria per cancellare tutta la riforma previdenziale (in base alla quale dal 2008 si andrà in pensione d'anzianità a 60 anni con 35 di contributi). Una mossa tipo muoia Sansone con tutti i filistei. Ancora polemica. Il ministro del Welfare Roberto Maroni