Iraq, gli americani sparano sui civili all'entrata di una base di Paolo Mastrolilli

Iraq, gli americani sparano sui civili all'entrata di una base CHENEY DIFENDE MURTHA, IL DEPUTATO CHE HA CHIESTO IL RITIRO IMMEDIATO Iraq, gli americani sparano sui civili all'entrata di una base Cinque i morti. In corso gli esami del Dna per stabilire se Zarqawi domenica è stato ucciso Paolo Mastrolilli NEW YORK Quando un Presidente degli Stati Uniti va in missione all'estero, soprattutto se visita una quasi superpotenza come la Cina, si aspetta di dominare il dibattito pohtico a casa. Stavolta però è successo il contarlo, non solo perché ieri un incidente di fuoco amico ha imbarazzato gb americani che hanno ucciso per errore 5 civili (ma le ufficiali ammettono solo 3 morti) a Baquba. Il capo della Casa Bianca è stato costretto a seguire le polemiche domestiche, rispondendo a chi chiede di ritirare le truppe dall'Iraq. Le notizie dì ieri, arrivate mentre Bush tornava a Washington dalla Mongoba, non lo hanno aiutato a cambiare soggetto. I soldati Usa hanno sparato contro un pulmino che si stava avvicinando pericolosamente all'ingresso della loro base, nella città di Baquba. A bordo però c'erano solo civili, tre uomini e due bambini. «E' stato uno di quegli incidenti tragici e incresciosi», ha commentato il portavoce Steven Warren. Per qualche ora, domenica sera, gh americani avevano anche sperato di aver fatto il colpo grosso a Mosul. Otto presunti membri di Al Qaeda erano morti in uno scontro a fuoco e alcuni si erano tolti la vita per non farsi cattuare. Il Pentagono aveva deciso di attaccare la loro casa perché aveva ricevuto una soffiata secondo cui dentro c'era anche Abu Musab al Zarqawi, considerato il capo dell'organizzazione di Osama bin Laden in Iraq. Gh esami del Dns sui resti delle vittime sono ancora in corso, ma prima il portavoce della Casa Bianca, Trent Duffy, ha detto che «è altamente improbabile che si tratti di lui», e poi l'ambasciatore americano a Baghdad, Zalmay Khalilzad, ha aggiunto: «Purtroppo non lo abbiamo preso a Mosub. L'Iraq aveva comunqe dominato l'informazione negli ultimi giorni, anche se Bush era in Cina. I talk show domenicali, ad esempio, sono tradizionalmente dedicati alla questione centrale della settimana, ma stavolta nessuno si è concentrato sul viaggio del capo della Casa Bianca o sulle sollecitazioni a Pechino affinché rispetti i diritti civili e la libertà religiosa. Tutti hanno parlato della guerra, e il Washington Post ha sintetizzato l'umore con questo titolo in prima pagina: «Il dibattito sull'Iraq eclissa gh altri temi». Era così da diverse settimane, ma la disputa si è accesa quando giovedì scorso il deputato democratico Jack Murtha ha chiesto di ritirare le truppe nel giro di sei mesi. Gh ignoranti di cose americane lo hanno liqui¬ dato come uno sconosciuto disfattista, forse anche perché il portavoce della Casa Bianca Scott McClellan lo aveva paragonato al regista Michael Moore. Ma Jack è un veterano del Vietnam, rispettatissimo al Pentagono, e quindi anche Bush è stato costretto a smentire il suo portavoce. Il presidente ha definito Murtha un patriota, prima di precisare che non è d'accordo con lui. Ieri lo stesso compito è toccato al vice Cheney, che lo ha chiamato «mio amico», prima di bocciare la sua proposta. Cheney ha definito «illegittima, disonesta e biasimevole l'impbcazione da parte di alcuni senatori che il Presidente degli Stati Uniti, o qualunqe membro della sua amministrazione, abbia imbrogbato di proposito gh americani suU'intelhgence usata prima della guerra». Quindi ha aggiunto che andare via ora lascerebbe l'Iraq in mano ai terroristi. Ma l'ex capo dello staff del segretario di Stato Powell, il colonnello Wilkerson, ha ripetuto che l'intelligence era stata manovrata da «una cabala presieduta da Cheney e Rumsfeld», accusando proprio il vice di Bush di aver creato le condizioni che hanno favorito l'uso della tortura contro i prigionieri, smentito ancora ieri dal capo della Cia, PorterGoss. Murtha ha preso nota delle parole di Cheney e ha risposto così: «La gente si era rivoltata contro questa guerra anche prima che io parlassi, e vuole una soluzione. I parlamentari hanno paura di alzare la voce, perché temono di essere umiliati, e i soldati non possono farlo. Ma noi li abbiamo mandati in guerra e noi dobbiamo parlare. Non possiamo vincere militarmente. Le nostre stesse tattiche ci impediscono di vincere».