Nostra signora dei Papiri di Silvia Ronchey

Nostra signora dei Papiri MEDEA MORSA, LA MAGGIOR STUDIOSA DI CIVILTÀ ANTICHE IN EPOCA FASCISTA Nostra signora dei Papiri Silvia Ronchey SOTTO il fascismo per la prima volta nella nostra storia nazionale gli intellettuali sono diventati compartecipi del potere. Nell'Italia giolittiana un bravo accademico al massimo diventava senatore, ma non contava politicamente. Mentre l'interventismo culturale fascista ha dato agli universitari unaposizione di primissima fila. L'intellettuale organico nasce col fascismo. La sua versione divulgata dagli esperti di Gramsci nel dopoguerra in finizione dell'egemonia comunista è spesso vicina al bottaismo. Una forza d'attrazione peraltro non estranea al fatto che molti di loro erano slati fascisti». A parlare è Luciano Canfora. H suo Popiro di Dorigo (Adelphi, pp.812, «32), ambientato nelle università italiane degli Anni 30,40 e 50, potrebbe apparire solo uno splendido saggio sul rapporto tra antichisti e regime fascista, un libro di storia del ventennio prodigiosamente documentato e moderatamente revisionista. In realtà affronta uno dei problemi cruciali del nostro presente - la crisi del ceto intellettuale italiano e in particolare della sua élite accademica - e contiene una diagnosi sul loro camaleontico Dna. La «smania di gratificazioni degli intellettuali, la corsa ai piedi del potere, il desiderio dì contare e di farsi premiare», sono analizzati nel loro originario proliferare e moltiplicarsi. La politicità dei concorsi non è una scoperta, ma Canfora ne ha scoperto l'utilità documentaria. Lo studio degli incartamenti concorsuali è entrato a far parte del lavoro d'archivio dello stonco. Nella parabola che Canfora ha ricostruito i concorsi a cattedra sono sanguinosi come battaglie. Dominano le vite dei protagonisti, ne determinano non solo la camera, ma la salute mentale o la pazzia e la sopravvivenza stessa, nell'esacerbata Piccola Dio del potere accademico. «Si scannano - dice Canfora - perché sanno che è lì il loro accesso alla classe dirigente». Morto fucilato a Dongo il papirologo Goffredo Coppola, fascista di sinistra, spia delle SS, invaghito della rivoluzione e deUe "potenze proletarie". Morto in un ospedale militare il suo allievo Alberto Graziani, passato attraverso una breve ma dura esperienza dì gueira, giovane fascista già critico eppure in apparenza indifferente alla persecuzione razziale. «Provo sempre simpatia e ammirazione per chi resta coerente con le sue idee, anche se alla fine diventano mostruose». Alla fine quando? «Almeno a partire dal '38». E' proprio con le leggi razziali che Coppola rompe i rapporti con Medea Norsa, sua guida per tanti anni, che fino ad allora ha appoggiato e che tradisce per passare all'avversa fazione papirologica milanese dì Achille Vogliano, eroe negativo della vicenda e non a caso unico a sopravviverle indenne. Forse solo Medea Norsa, donna, ed ebrea dì nascila austroungarica, epitome di ogni possibile minoranza, figura di intellettuale inappartenente, la più lucida, la più brillante per titoli eppure l'unica fra tutti a non ricevere mai una cattedra, in questa storia di discriminazioni e vendette emei^ge come possibile eroina. - Non che non condivìda anche lei alcuni dei compromessi dell'epoca. «Non più giovane, nel tempo in cui le discipline antichìstiche erano di punta per la propaganda imperiale fascista, sulla scia del disincantato maestro Vitelli anche lei sì è iscritta al partito, anche lei ha esercitato il suo serio mestiere con le sovvenzioni del governo in una sorta dì distratto conformismo. Ma non di doppiezza». Quando la polìtica le piomba addosso, Medea Norsa perde all'istante, e per sempre, la sua impoliticità. «Rivendica con corag- gio il suo diritto, però nemmeno nella catastrofe, diversamente da un Momigliano - osserva Canfora -, elenca mai fra ì suoi meriti la tessera dipartito». Medea è forte, autorevole, intelligente, avventurosa, parla e scrive inpiùlingue. Sameravighosamente il greco, legge ì papiri come pochi al mondo, ma sa anche attraversare in cammello il deserto egiziano, trattare alla pari con gli archeologi e i predatori di tpmbe, con i mercanti arabi e i colleghì oxfordiani. Per ì quali è la più grande studiosa della sua epoca. Smagliante, coraggiosa, ironica su ogni «zucca vuota che galleggia» e eie «sì veste sempre del colore più opportuno», Medea, la perseguitata accademica, resta nel libro l'unico modello positivo. «Dopo il fascismo, la non benevola accademia, pur dì sbarrarle il passo, la farà passare per pazza e nessuno, neppure il dotto amico cardinale Mercati, riuscirà a salvarla». Il suo distacco dalla programmatica doppiezza del mondo in cui è vissuta semìgnara fino al '39 non solo non la riscatterà ma finirà per darla in pasto al ceto accademico trasversale che sta ricreando alla velocità del lampo il suo tessuto lacerato. Sarà il comunista Concetto Marchesi a negare a Medea Norsa la chiamata per alta fama. Sarà il liberale Arangio Ruiz a salvare il fascista Vogliano. «Il reclutamento universitario seleziona le élites, allora e in fondo ancora oggi. Quella universitaria è, fin dal fascismo, una classe costruita e epurata dl'ingresso». Dunque è sostsT'zìalmente fascista il modello italiano di intellettuale? «Diciamo che è da allora che gli intellettuali non hanno mai perso la volontà dì ricominciare a contare mettendo le tende da qualche parte». Ma come mai questa pulsione, da parte dì chi dovrebbe avere invece nella società un ruolo critico? «Gli intellettuali - spiega Canfora - percepiscono molto più in fretta degli altri la direzione in cui va la storia. I corpi polìtici sono lenti. Gli intellettuali lì anticipano sempre. Gli intellettuali, inoltre, sanno dove è il male, ma fingono dì non vederlo. Gli opportunisti, ì furbi intelligenti prevalgono sugli altri. L'adesione massiccia dell'elite accademica al fascismo ne è la prova». In quest'organismo che non premia ì sinceri e ì critici, in questo schema di comportamento perdurante al dì là del regime che l'ha generato, in cui il conformismo polìtico regola il meccanismo d'accesso alle cattedre universitarie, la sopravvivenza della specie intellettuale è una lotta a chi è più mimetico. Canfora evoca Cantimori e il dibattito sul nicodemismo: «Siamo il paese della Controriforma, è questa la nostra vera malattia». La doppiezza dell'intellettuale, secondo Canfora, è doppia colpevolezza: «Sono .più colpevoli perché più colti». Già, perché in Italia i più colti sono sempre più ■tàsààiì Ce rierano tanti di antifascistì tra le persone semplici e molto pochi, a quanto sembra, trai cattedratici. «Il caso di Bobbio è illuminante. La sua autojTiustificazione è stata sempre, convintamente la stessa: attraversare le forche caudine del potere è orribile ma è necessario per potersi esprimere. E' il narcisismo a differenziare gli intellettuali da altri ceti ben più coraggiosamente resistenti. La convinzione che dò che hanno da dire sia straordinario, che se c'è da pagare un prezzo lo sì deve pagare, tanto è importante dirlo». L'elite intellettuale dunque è vìttima dì un inevitabile meccanismo entropico? «La crisi attuale del nòstro sistema universitario nasce dal fatto che a lungo andare al timone non si sono ritrovate persone morali. Sì sarebbero ribellale al falso rìvoluzionarìsmo che dopo il '68 ha dato al popolo il regalo avvelenato dì una falsa cultura spacciata per democratica. Chi era al timone allora, invece, non lo ha lasciato neppure quando ha visto arrivare ì barbari. Leopardi aveva detto: "Dove tutti sanno poco, si sa poco". Ma non gli hanno creduto, e hanno colpito forse mortalmente l'università». Ma l'università sempre C; .le negò una cattedra: Luciano Canfora racconta una storia esemplare | v^: del rapporto fra potere e intellettuali, i camaleonti " e conformisti Medea Norsa, la più grande studiosa di papiri durante il fascismo, in un ritratto di Ettore Viola perttL

Luoghi citati: Dongo, Italia, Medea