TRISTI BANLIEUE di Barbara Spinelli

TRISTI BANLIEUE TRISTI BANLIEUE Barbara Spinelli NON si capisce bene come mai un'osservazione sensata come quella fatta da Romano Prodi sima rivolta delle banlieue abbia suscitato, in Italia, uno scandalo così vasto e persistente. La diagnosi formulata dal capo dell'opposizione non è qualcosa di specialmente provocatorio, eccentrico. Non è un' invettiva elettorale ma una descrizione fredda, quasi ovvia, di fuel che sta accadendo non solo in Francia ma in molte periferie d'Europa, d'Occidente, e logicamente anche d'Italia. Non siamo una nivea isola di serenità in mezzo al generalizzato naufragio delle periferie che assediano i centri di ricchezza e potere. Non un parti- INTERVISTA«Finalmefa Rivoltcolare acume ma il semplice buon senso dovrebbe indurci a constatare l'evidenza: quel che accade nelle borgate fi^ncesi può succedere anche nelle nostre periferie, perché tutte le politiche d'integrazione oggi barcollano, e son bisognose d'esser ricostruite tenendo conto che qualcosa si è spezzato nel vivere insieme delle società, in maniera profondamente diversa dal passato. Lo strappo è questa volta anche verbale, perché i rivoltosi non dispongono più cu un'avanguardia che traduca quel che essi vorrebbero dire, né hanno il linguaggio della lotta e dell'autonomia di classe per farsi capire e ottenere riconoscimento sociale: il rogo, come nei Demoni di Dostoevskij, è la loro lingua. E lo scontro non è più tra chi si è sopra e chi sotto, con gli inferiori che si sforzano di salire ai piani superiori. Lo scontro oggi è tra dentro e fuori, tra chi vive nella storia e chi da essa si sente emarginato, e lo è. Si parla molto di ascensore sociale rotto, ma la metafora balzante è quella del treno che alla tua stazione anziché fermarsi corre via. È ovvio dunque , che «non siamo cosi diversi dalla Francia». Che anche (de nostre periferie sono una tragedia umana». «La violea quei giper difenJacopo tacbbAPAGINA7 ente a» come quelle bruciano a Lione o Saint-Etienne, e che «se non facciamo interventi seri, sul piano sociale e con l'edilizia, avremo tante Parigi». È ovvio che da noi esistono borgate ancor più caotiche, e che «ci sono condizioni di vita pessime e infelicità anche nei quartieri periferici dove sono tutti italiani». Per aver detto queste evidenze Prodi è accusato di speculare sul disordine, addirittura di aizzarlo. Come se fosse meglio tacere, chiudere occhi e orecchie, far finta di nulla nella speranza che la mondiale eruzione delle banlieue ci passi accanto senza sfiorarci. Come se fosse vantaggioso pohticizzare i fatti presentati dal medico («il paziente ha la febbre») nell'inane speranza di sottrarre alla vista la febbre, il paziente, e tutto intera la realtà. Per molti anni in Francia i politici e i governi hanno adottato proprio questo metodo. Le periferie sono malate dalla fine degli Anni 80, le scuole pubbliche sono alle prese con uno scontento e una violenza che non riescono ad arginare, e le autorità pubbliche reagiscono non solo in disordine, ma senza riflettere, senza trovare le parole che convincano il popolo delle periferie con mezzi non - -': v a- solo di coercizione ma di persuasione. Senza dare soprattutto, alle periferie, l'opportunità di parlare e farsi sentire. Eppure c'è ormai una cultura delle banlieue, da esplorare. Ci sono graffiti e tag, c'è l'odio che cerca di esprimersi e addomesticarsi nel rap (anche l'odio deve poter tradursi in parole, se si vogliono fermare i Demoni). E ci sono film rivelatori, che avrebbero dovuto destare attenzione assai prima che l'autunno dello scontento dilagasse: nel 1995 Mathieu Kassovitz girò La Heine L'Odio, e più di recente, nel 2003, c'è stato il bellissimo film di Abdel Kechiche, L'Esquive (La Schivata), che descrive l'esistenza claustrofobica, la segregazione CONTINUA A PA6INA2 PRIMA COLONNA nza serve ovani dersi» ohì

Persone citate: Abdel Kechiche, Dostoevskij, Heine, Mathieu Kassovitz, Prodi, Romano Prodi

Luoghi citati: Europa, Francia, Italia, Lione, Parigi