Virginia, il destino di vivere in catene di Masolino D'amico

Virginia, il destino di vivere in catene Virginia, il destino di vivere in catene Masolino d'Amico M ANCHESTER County è una contea della Virginia immaginaria come la Yoknapatawpha di Faulkner, ma il periodo di cui Edward P. Jones si occupa in questo vasto romanzo vincitore del Pubtzer 2004 è assai anteriore, antecedente alla Guerra di Secessione: quando lo schiavismo era un fatto accettato da tutti, comprese le sue vittime, che in qualche caso, una volta liberate, non si peritavano di possedere schiavi a loro volta. L'autore, che è un uomo del Sud e che ha la pelle scura, fa rivivere quel sistema in modo vivido, attraverso una concatenazione di avvenimenti in gran parte apparentemente casuali e una serie molto ampia di perso- naggi nessuno dei quali, nemmeno i pochi dotati di più cervello o di miglior senso etico (ma tutto è relativo), riesce a controllare il proprio destino o quello di chi gli è caro. Dalle tante vicende emerge un quadro caotico di legalità govenrata dal capriccio individuale; eppure, paradossalmente (questo, Jones non lo dichiara, ma lo fa intendere in modo non equivoco), per qualche verso la condizione degli schiavi non sarebbe migliorata dopo la vittoria dell'abolizionismo. Quando gli schiavi erano tali, infatti, ciascuno di loro costituiva un piccolo patrimonio, e chi lo menomava doveva risarcirne il proprietario; se il proprietario era lui, lo faceva solo dopo averci pensato bene, salvo raptus autolesionisti. I linciaggi dei negri sarebbero diventati molto più frequenti dopo, quando costoro non erano di proprietà di nessuno, e magari minacciavano di alzare la cresta (vedi il film di Griffith La nascita di una nazione, 1914, e la sua celebrazione del Ku Klux Klan). Nel Mondo conosciuto, lo schiavo in quanto tale gode di una certa protezione. Certo, ci sono le eccezioni: in un episodio particolarmente incisivo, un ex schiavo che col lavoro e col talento ha conquistato già da molti anni la libertà per sé e per suo figlio, è fermato di notte da un brutale aiuto sceriffo il quale cinicamente straccia, anzi, letteralmente si mangia, i suoi documenti, e quindi lo vende a un farabutto di passaggio, il quale espatria poco dopo. E lo sceriffo Skiffington, che pure a suo modo è una brava persona, informato tardi perché la cosa non sta a cuore a nessuno, reagisce in modo poco efficace, senza trovare nemmeno il coraggio di punire il sottoposto. Alla lunga il trafficante, che ha combinato altre malefatte, verrà arrestato e incarcerato in un altro Stato, ma il povero Augustus, rivenduto per quattro soldi a una famiglia di bianchi poveri e maldestri, è ucciso quasi per sbaglio da uno di loro mentre li sta informando con calma dei propri diritti. La storia della morte di Augustus arriva verso la fine e fa parte di una serie di epiloghi cruenti e spesso grottescamente insensati. Al centro della narrazione, che ha coperto alcuni anni con tuffi nel passato e anticipazioni del futuro, anche molto lontano, c'è stato il personaggio di Henry, figlio del predetto Augustus, il negro che si era affrancato grazie alla sua abilità di intagliatore di mobili. Giovane non meno dotato del padre, e per di più liberato, grazie a lui, quando era ancora adolescente, questo Henry ha fatto quattrini trafficando in calzature, si è sposato e ha messo su un ménage discreta- mente opulento di cui fa parte, sia pure con orrore del genitore, un certo numero di schiavi che Henry ha acquistato a sua volta. Evidentemente voleva prosperare giocando il gioco secondo le regole, ma cosa davvero gli frullasse nella testa non lo sappiamo, perché già all'inizio del libro Henry è morto, inopinatamente e ancora piuttosto giovane. Una buona parte di quanto succede riguarda dunque le conseguenze della sua scomparsa, come il destino di alcuni suoi schiavi e in particolare del primo di coloro, tale Moses, che diventando l'amante della vedova di Henry si monta la testa e concepisce un piano strampalatissimo per liberarsi della propria consorte e figlia, con conseguenze rovinose. Moses non è il solo schiavo a comportarsi in modo illogico o imprudente, molti dei personaggi di colore quando non sono dichiaratamente folli, come una certa Alice che si aggira la notte dando spettacolo di sé, sono portati ad agire con scarso discernimento - conseguenza questa dell'ignoranza, dell'ingenuità, del loro essere tenuti fuori dalla cultura dei bianchi (guai a chi insegna loro a leggere!), ovvero della generica condizione di disumanità in cui vivono. Del resto i bianchi, quasi tutti gretti, superstiziosi, infidi, stupidamente violenti, non offrono grandi esempi da seguire. Jones non pronuncia giudizi, descrive obiettivamente, facendo parlare solo i fatti, e di fatti ne ha una scorta inesauribile, anche coloriti e non necessariamente truci, coordinati con maestria. L'efficacia della sua ricostruzione dipende anche dal tono pacato e dalle evidenze di un sobdo lavoro di ricerca, più notevoli delle tentazioni di andare qualche volta verso un barocchismo alla Faulkner o verso un reabsmo magico alla Garda Marquez, due antecedenti subito segnalati da lettori e critici, non negativamente bensì con condivisibile ammirazione. «Il mondo conosciuto» di Edward P. Jones: prima della Guerra di Secessione, quando lo schiavismo era un fatto accettato da tutti, comprese le sue vittime, che in qualche caso, una volta liberate, non si peritavano di possedere schiavi a loro volta Edward P. Jones Il mondo conosciuto trad. di Andrea Silvestri Bompiani pp.510. «78.50 ROMANZO La schiavitù impronta il romanzo di Jones, premio Pulitzer 2004

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