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Amore e sangue, nella terra barbara di Fenoglio
Amore e sangue, nella terra barbara di Fenoglio COLLEZIONE D'AUTORE - LA STAMPA Amore e sangue, nella terra barbara di Fenoglio Gabriele Pedullà PUBBLICARE assieme I ventitré giorni della città di Alba (1952) e La malora vuol dire in qualche modo assecondare la volontà dello stesso Fenogho che considerava quest'ultimo testo, pubblicato autonomamente nel 1954, nient'altro che un racconto appena più lungo degh altri, da includere senza esitazione in un'ipotetica (ma mai realizzata) raccolta di tutte le sue short stories. Ma soprattutto, offrendo la possibilità di leggere accostati i suoi primi libri, Tedizione congiunta dei due libri d'esordio ci consente di recuperare per un attimo l'immagine che, vivente Fenogho, i contemporanei ebbero di lui Se infatti Fenogho è oggi, agh occhi di tutti, principalmente l'autore di Una questione privata e de II partigiano Johnny, vale a dire lo scrittore itahano che ha sapu¬ to reinventare megho, in termini fantastici, l'esperienza partigiana assurta a grande allegoria dell'esistenza umana (qualcosa di simile a ciò che Conrad ha realizzato con la vita marinara), negli Anni Cinquanta la sua fisionomia risultava assai diversa ai lettori. Negh anni in cui si dibatteva di ritomo al realismo, il romanziere di Alba appariva essenzialmente un narratore di argomento contadino, ancorato a un luogo e a una terra assai più che a una stagione particolare della storia italiana, anche se Fenogho non mancò mai di manifestare il proprio fastidio per qualsiasi collocazione «regionale» e per l'immancabile paragone con Pavese, determinato esclusivamente dalla comune origine geografica. A distanza di cinquant'anni, l'equivoco verista die ha gravato su questi testi e che era strettamente connesso all'interpretazione «locale» della sua opera, pare finalmente dissipato. In realtà, anche quando rappresenta con esattezza ammirevole la vita contadina delle Langhe, Fenogho trascende sempre il dato realistico superficiale, dando sfogo a una fortissima tensione verso gh archetipi del racconto. Non è affatto un indizio trascurabile, in questo senso, che in un progetto m sceneggiatura di argomento langarolo risalente al 1960 Fenogho si riferisca ai due protagonisti semplicemente come a Caino e ad Abele: prova che dò che lo interessava nella vita della dura campagna piemontese era l'inesauribile potenziale mitico delle vicende d'amore e di sangue. Proprio come la Resistenza, nei suoi scrìtti anche la fame e la povertà hanno la funzione di assolutizzare i conflitti portando,a nudo il caratte- re degh uomini ridotti all'essenziale deUe loro funzioni biologiche. La particolare vocazione «barbara» di Fenogho, di cui molto è stato detto in passato (il primo titolo dei ((ventitré giorni» doveva essere Racconti barbari e il termine fu adoperato da Vittorini, direttore della collana, sulla quarta di copertina di pre¬ sentazione), non è altro che una strenua volontà di andare alla radice delle cose. Nonostante si soffermino anch'essi su un mondo di povertà materiale e spirituale, dal punto di vista delle tecniche narrative tanto La malora quanto I ventitré giorni sono in realtà lontanissimi dal romanzo ottocentesco. Al posto dell'oggettività del narratore-sperimentatore (come in Zola) o del coro della comunità di pescatori siciliani (come in Verga), nel racconto del 1954 è direttamente il protagonista a rivolgersi ai lettori in prima persona, con un'infrazione decisiva del codice verista. Ma oltre alla voce di Agostino (secca, scabra, segnata dall'oralità), la vera invenzione letteraria di queste pagine è soprattutto la disposizione degli eventi, con Agostino che prima ripercorro retrospettivamente i fatti che hanno portato alla morte del padre, per poi proseguire nel racconto in maniera lineare. L'effetto è dirompente, e questo proprio perché la cesura non annuncia alcuna remissione; nulla può realmente cambiare, ogni speranza di mighorare la propria sorte è destinata a rimanere delusa, senza che i conflitti sotterranei tra i personaggi giungano mai a un qualsiasi scioglimento liberatorio. Piuttosto, l'azione distruttiva della «malora» prosegue inesorabile, in ima lenta ma sistematica opera di erosione della volontà umana ad opera della natura: perché il Fenogho di queste pagine non è un verista attardato ma uno scrittore metafisico, nel quale cioè non c'è dettagho fisico, a cominciare dalle precipitazioni atmosferiche, che non venga istantaneamente trasfigurato in simbolo. «I ventitré giorni della città di Alba» e «La malora»: la Resistenza, la fame, la povertà, la necessità di portare a nudo il carattere degli uomini Beppe Fenoglio I ventitré giorni delia città di Alba-La malora La Stampa, pp. 265. e 5,90 più il prezzo del quotidiano La «Collezione d'autore» sì può richiedere al numero verde: 800.011.959
Persone citate: Beppe Fenoglio I, Fenoglio, Gabriele Pedullà, Pavese, Vittorini
Luoghi citati: Alba
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