Graffiavano la Patria di Giorgio Boatti

Graffiavano la Patria LUOGHI COMUN Giorgio Boatti (gboatti@venus.it) Graffiavano la Patria Gli umoristi che sferzarono i padri del Risorgimento, da Mazzini a Cavour M ATITE appuntite, certo, quelle che nel corso del Risorgimento infilzano con le loro caricature senza remora alcuna né ombra di prudente rispetto - pontefici e sovrani, presidenti del consigho come Cavour e popolarissimi eroi, compreso quello "dei due Mondi", vale a dire Garibaldi. Ma - come è possibile vedere visitando sino a domenica 2 ottobre l'interessante mostra «La satira al tempo di Mazzini. Caricature italiane tra il 1805 e il 1872» aperta tutti i giorni al Museo della Satira e della Caricatura di Forte dei Marmi - i vignettisti di quell'epoca non risparmiano neppure gli amici/ nemici, gh eterni arrabbiati, i perenni abbonati alla sconfitta. In una vignetta de Lo spirito folletto, testata milanese di iniziali simpatie repubblicane, Mazzini, il gran dipanatore di cospirazioni, viene presentato come un maestro stregone che, tutto occupato ad attizzare incendi rivoluzionari, non s'accorge che l'unica cosa che sta andando in fiamme è la sua testa. Il materiale esposto nella mostra, in gran parte proveniente dalla collezione di Giovanni Marianetti, pisano di nascita e torinese d'adozione che, assieme alla Domus Mazziniana di Pisa e al Museo della Satira, è stato un po' il terzo artefice di questa bella iniziativa, aiuta a comprendere aspetti fondamentali della politica e della storia di quei decenni. Proprio il linguaggio esplicito e pungente della satira consente di misurare l'estrema durezza delle contrapposizioni politiche che prendono posto all'interno della vicenda risorgimentale. Viene inoltre messo in luce l'ampio e profondo divario aperto nella società e cultura italiana dalla questione romana e dalla protratta contrapposizione tra laici e clericali. Una contrapposizione che la satira registra con estrema vivacità, non arretrando neppure davanti al pontefice, sottoposto con assoluta regolarità da alcune testate (a cominciare dal don Pirlone pubblicato a Roma durante il periodo della Repubblica mazziniana) a sferzanti ironie, a pesanti accuse, ad esempio di foraggiare il brigantaggio nel Meridione. Da questo punto di vista le vignette esposte a Forte dei Marmi, e riunite nel bel catalogo curato da Cinzia Bibolotti, Andrea Bocchi e Franco Angelo Calotti, illuminano con immediata efficacia verità e aspetti di memorie italiane che la successiva storiografia ufficiale ha edulcorato e rimosso. Del resto già nei primi del Novecento si era imposto quel!' ideale quadriumvirato di padri dell'unificazione nazionale che dai saggi accademici si diramerà velocemente lungo i manuali scolastici e opererà sulle masse attraverso l'iconografia popolare e l'intitolazione delle vie e delle piazze. Senza dimenticare ovviamente il ruolo assunto dal diffondersi di monumenti e busti patriottici che avranno il compito di scolpire le diverse ma complementari icone assegnateal re Vittorio Emanuele in e a Garibaldi, a Cavour e a Mazzini (ultimo cooptato nel quartetto). Una "monumentalizzazione" funzionale al calibratissimo gioco di legittimazione condotto dalle forze politiche e istituzionali post-risorgimentah. La satira che emerge dalle caricature e vignette in mostra a Forte dei Marmi, rappresenta l'esatto contrario della monumentalizzazione dei padri della patria. Le testate esposte mettono in luce quanto fossero presenti, nelle vicende risorgimentali, le minoranze più estreme, tacitate e successivamente rimosse non appena prevalsero i moderati. Non mancarono tuttavia, all' intemo delle formazioni governative, le cooptazioni di espo- nenti appartenenti alle ah più estreme, personaggi che - incendiari e cospiratori in gioventù approdarono in età matura allo scranno parlamentare, al laticlavio, al portafoglio ministeriale (magari dell'Interno). Meno consuete furono le cooptazioni tra i protagonisti della satira del periodo, uomini dalla matita ma anche dalla vita appuntita e burrascosa, come va a raccontare Enrico Gianeri-Gec in un irresistibile e gustoso saggio che compare nel catalogo deUa mostra. In effetti il piccolo universo dei primattori della satira del periodo meriterebbe un racconto a sé, perché solo un densissimo e mosso affresco potrebbe riassumere le incredibili parabole esistenziah, le furiose sfide, le pazzie, le caratterialità che presero corpo nelle redazioni, ricche di idee e poverissime di mezzi, dove nascevano le varie testate. Tra queste le torinesi JZ/ìsc/iietto, il Pasquino e II Diavolo, le milanesi La cicala politica. Il Pungolo e L'uomo di Pietra, le fiorentine La vespa, L'arlecchino e il Lampione, la bolognese La rana, e l'elenco potrebbe continuare a lungo. Le polemiche tra schieramenti opposti si risolvevano non solo a colpi di matita: nel 1849 i supporter del governo e dello schieramento guerrazziano minacciarono i redattori de La vespa di «pugnalarli ovunque li avessero trovati». E, per cercarli, invasero la tipografia Pascigli dove si stampava la testata, razziarono gli impianti tipografici e la carta e bruciarono il tutto in piazza del Granduca. Vita ancora più difficile per Nicola Dagnino, discepolo di Mazzini, che a Genova pubblicò tra il 1849 e il 1850 il più scatenato giornale satirico del Risorgimento, La Strega. Era un bisettimanale violentemente anti-sabaudo, anti-borbonico e anti-papalino e non aveva simpatie neppure per Cavour e i liberali illuminati. Una «Crocefissione» del marzo 1850, in cui si vedeva un'Italia messa in croce da tutti i protagonisti della vita politica del momento, provocò il sequestro del giornale e l'arresto di Dagnino. Contemporaneamente un gruppo di ufficiali sabaudi decise di chiudere la faccenda a modo proprio; salì nella redazione de La Strega e la distrusse. Ben altro stile ebbe il maresciallo Radetzky verso Radaelli, il direttore milanese de Lo spirito folletto, giornale antiaustriaco pubblicato tra il 1848 e il 1849. Quando gli austriaci rientrarono a Milano, Radetzky, stupito che la testata, prudentemente, tardasse a uscire, fece chiamare Radaelli e lo invitò a ripigliare sollecitamente le pubblicazioni. Poiché non stava bene che un governo serio non avesse qualcuno che lo mettesse alla berlina. Una mostra della satira politica dal 1805 al 1872 a Forte dei Marmi, vignettisti e giornali, dal Fischietto al Pasquino, dalla Vespa alla Rana, senza riguardi per nessuno TRA I BERSAGLI ANCHE GARIBALDI E VITTORIO EMANUELE III, LA CHIESA E IL VATICANO: UNA VISIONE ANTIRETORICA, UN'OPPOSIZIONE ESTREMA, TACITATA, RIMOSSA O COOPTATA La satira al tempo di Mazzini. Caricature italiane tra ili 805 e il 1872 a cura di Cinzia Bibolotti. Andrea Bocchi e Franco Calotti.pp. 191.^20 Catalogo della mostra al Museo della Satira di Forte dei Marmi, fino al 2 ottobre. tutti i giorni h. 17-20; 21-24 tei. 0584/876277. Sopra, Cavour e Napoleone MI come due Gargantua che si mangiano l'Italia (da «Il Fischietto») e, sotto, una tavola da «L'Arlecchino» in cui un passante chiede «Che fate, buonomo» e Cavour risponde «Fo l'Italia»