Una saga dell'odio più che della gioia
Una saga dell'odio più che della gioia DIFFICILE RICONOSCERE NELL'ASSALTO I SEGNI DI UN FUTURO MIGLIORE PER LA PACE Una saga dell'odio più che della gioia Fiamma Nìrenstein Prima che U sole sorga suUe dune di Gaza, i carri armati escono in una rumorosa, monotona teoria. L'aria è calda e umida. Affacciati dal loro tank due soldati tengono la bandiera del loro Paese in mano, senza enfasi, senza gioia ma come ha detto ieri il Capo di Stato Maggiore ammainando le insegne israeliane da Gaza, «a testa alta». Ormai da anni la pace ha assunto U volto deU'araba fenice. E' ancora buio quando l'ultimo ufficiale israebano, Avi Kochavi, chiude U cancello. Dice, come il comandante di tutta l'area del Sud, che questo è un momento di speranza «per noi e i nostri vicini». Nel buio ancora fondo era cominciata la saga deUa gioia e dell'odio palestinese: a niente servono gb 8500 uomini armati dispiegati lungo U confine, la foUa di migbaia di ragazzini e i camion strapieni di gente col mitra imbracciato si precipita neUa parte ex-ebraica della Striscia, e certo non è facUe riconoscere i segni di un futuro migbore per la pace in quello che accade di b a poco: le sinagoghe di Kfar Darom, Netzarim e Nevet Dkabm sono le prime a venire assalite daUa foUa come un corpo vivo. Non è solo U fuoco, sono le picconate, il lancio di pietre e anche la decisione del leader di L'amma Hamas Mahmoud Zahar di pregare (secondo l'antico uso musulmano di conquista) proprio nelle rovine del tempio a forma di SteUa di David di Neve Dkabm, sono le espressioni di trionfo che danno da pensare: tutto quello che la gente dice riflette le indagi- ni per cui U 90 per cento dei palestinesi pensa che l'uscita di Israele da Gaza sia U frutto deb'attacco terrorista portato a Israele dal settembre 2000, e non certo una mano tesa. Poco lontano, a Alei Sinai, col sole alto, Mahmoud Abbas promana un messaggio diverso quando pianta la bandiera palestinese sube sabbie di fronte al mare: ristabiliremo l'ordine, comincia un periodo nuovo, l'Autonomia palestinese garantirà benessere e tranquiUità. Ma per compiacere il pubbbco sia Abu Mazen sia i suoi, come Jibril Rajub, ripetono nelle orecchie di Hamas la promessa di non disarmarli; e per galvanizzare la popolazione Abu Mazen ripete che quebo di Gaza e solo un 3asso, il prossimo è Gerusaemme. E se da una parte esalta U coraggio di Sharon, dall'altra ne sminuisce U gesto dichiarando che Gaza può diventare sempbcemente una cella più grande. Insomma, già da ieri due sono le letture deUo sgombero: da una parte, i palestinesi lo leggono come vittoria mibtare e seguitano a proporre l'idea che anche dentro Dekalim Gaza continui l'oppressione israebana. E tuttavia U messaggio pobtico dei fatti è anche la scelta, persino da parte di Hamas, di aver fatto uscire l'esercito israeliano tranquillamente, e non sotto il fuoco: anche Hamas sa che la reazione sarebbe stata durissima e non vuole venire accusato di aver lasciato inutib «martiri» sul terreno. DaU'altra la lettura ebaha: com'è"'"si è sentito ieri dire del ministro della difesa Shaul Mofazfsurbordo diiGaza, i palestinesi hanno ora in mano un patrimonio prezioso: esso consiste non solo nel territorio di Gaza, ma anche nella possibibtà di costruirsi, affrontando i gruppi terroristi, una credibilità che riconduca alla road map. E se l'Autorità Palestinese si sottrarrà aUe sue responsabbità, allora ci sarà ima più dura e «nuova» reazione israebana, dice Mofaz. Ma mentre le ceneri deUe smagoghe ancora sono calde, insopportabili a tutti gli uomini di buona volontà e condannate dal sempre mite Presidente della Repubblica Moshe Katzav, una parola di speranza viene da Shimon Peres da Kiriat Shmone, al Nord: «Qui quando siamo usciti dal Libano la gente temeva di essere bombardata ogni giorno: invece la vita si è fatta molto più quieta. I palestinesi riusciranno a controllare la situazione». L'ammainabandiera nel comando israeliano Bandiere palestinesi sulla sinagoga di Neve Dekalim
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