Libeskind: sarà pronto per il 2009

Libeskind: sarà pronto per il 2009 FAUTORE RISPONDE ALLE POLER/IICHE IMPRESA SENZA PRECEDENTI, BISOGNA VENIRE A PATTI CON L'INTERA CITTA Libeskind: sarà pronto per il 2009 intervista MARIO BAUDINO Inviato a MANTOVA «Il progetto per Ground Zero non rappresenta un singolo edificio, ma una dinamica, che connette la memoria di quanto è successo a una prospettiva sull'avvenire. Deve avere un valore simbolico importante, mostrare al mondo la forza della democrazia, e l'energia di New York». Daniel Libeskind ieri sera era a Mantova, al «Festivaletteratura», per parlare della sua autobiografia «Un'avventura tra architettura e vita», pubblicata in Italia da Sperling SKupfer. E alla vigilia de l' 11 settembre il grande architetto americano di origine polacca, che sta ricostruendo la zona devastata nel crollo delle Torri Gemelle, difende orgogliosamente, in un incontro con la stampa, non tanto il progetto in sé quanto il significato dell'impresa, ivi compreso lo stesso iter burocratico che ha portato alla sua approvazione. Una procedura che per lui vale come un segno importante di democrazia. A questo punto, lei si sente sicuro che tutto andrà avanti secondo i piani, che il progetto verrà eseguito nei termini in cui è adesso? «Credo fermamente nella scadenza, e cioè il 2009, in cui tutto dovrà essere completato. Solo tre giorni fa ero sul sito, dove è stato inaugurato il nuovo terminale sotterraneo della metropolitana, che è parte integrante del piano. L'acciaio per a Freedom Tower è già stato ordinato. Credo, come affermano sia il sindaco di New York sia il governatore, che i tempi verranno rispettati». Il suo lavoro a Ground Zero è stato contestato. Cosi come il Museo dell'Olocausto, da lei realizzato a Berlino. Come spiega questo tipo di reazioni? «Non cerco le controversie, però quando si fanno le cose è inevitabile innescare reazioni Se invece si scompare nella materia grigia dell'essere senza lasciare traccia, non c'è polemica». Quali sono le maggiori difficoltà a New York? «La ricostruzione di Ground Zero non ha precedenti nella storia. Si tratta di riedifeare un'area vastissima nella terza città d'America, un'impresa enorme. E l'idea principale era creare qualcosa di altissima qualità. Un'idea condivisa da tutti. Per questo era necessario un vasto consenso». Lei come ha lavorato? «Il punto cruciale è la memoria di ciò che è accaduto, che va conservata e nello stesso tempo trasformata in modo simbolico, in modo da poter rappresentare un segno importante per le generazioni future. Così ho pensato a un progetto che potesse creare una nuova relazione tra Ground Zero e la statua della Libertà, e che nello stesso tempo esprimesse tutta l'energia di New York». Ha incontrato molte difficoltà? «Certo. Si trattava di coinvolgere tantissime persone ed istituzioni, insomma di venire a patti con l'intera città, dove ognuno aveva una sua idea». Definirebbe ciò che sta edificando come il risultato di un compromesso? «Non sono ovviamente responsabile per tutti gli edifici che sorgeranno. Ci stanno lavorando molti grandi architetti. Però sono convinto che in questi casi non si debba affatto rifiutare o disprezzare il compromesso: è l'espressione di una società democratica, di una volontà collettiva. Chi sta lavorando a Ground Zero rappresenta ancche un'attenzione particolare a una nuova qualità dell'architettura negli spazi pubblici, che va molto oltre l'idea di un progetto privato». Una componente etica? «Senza etica, l'architettura sarebbe solo pietre e denaro. Non dobbiamo mai dimenticare che ogni spazio ha una storia, è collegato al mistero dell'essere umano» Art Spiegelman la critica (ll'ili fi g(nell'articolo qui a fianco. N. d) i ii qd. r.) senza mezzi termini. «Potrebbe anche aver ragione su certi aspetti estetici, anche se lo stesso discorso può essere fatto per tutti gli edifici di New York. Vorrei però osservare che quando si lavora in una città non si può fare tabula rasa, bisogna tener conto di moltissime componenti, di un paesaggio già strutturato, della gente che ci abita. L'architetto non è un solista, l'architettura è un processo partecipativo. E il compromesso, ripeto, è necessario. E' l'espressione della complessità di una democrazia». Daniel Libeskind con la moglie Nina osserva il plastico di Manhattan

Persone citate: Art Spiegelman, Daniel Libeskind, Freedom Tower, Libeskind, Sperling Skupfer