L'attacco degli ultrà alla pace
L'attacco degli ultrà alla pace DIALOGO ORA SARA PIÙ' DIFFICILE CONCILIARE LE DUE ANIME CHE SI CONTRAPPONGONO A ISRAELE L'attacco degli ultrà alla pace GERUSALEMME ' L'attacco di Beersheba porta con sé un senso di desolazione maggiore del solito. Sia la caccia delTesercito, mercoledì scorso, a una cellula terrorista conclusasi con cinque morti palestinesi, sia i vari missili Kassam contro gli israeliani e gh attacchi omicidi a fuoco lungo le strade, oltre all'as- sassìnìo di ungiovane nella città Vecchia a Gerusalemme, non avevano sradicato la speranza. Anchei due attacchi dei terrò- analisi FIAMMA NIRENSTEIN ristì ebrei erano apparsi episodi orribili e folli, ma non legati all'attuale processo pohtico. Do- P0 l0 sgombero da Gaza e da parte della Samaria, tutto il mondo desiderava e sognava che si riaprisse uno spazio per la Road Map: il gesto dì Israele arava un campo su cui Abu Mazen avrebbe dovuto, secondo un opinione appena ripetuta da George Bush, coltivare la lotta al terrorismo perché la pace ritro- vasse un po' di speranza. Nel frattempo veniva offerta dagli Usa una grossa donazione all'Au- tonomia Nazionale Palestinese, insieme all'impegno di tutto il mondo per consentire l'avvio di una nuova vita per la Striscia. Ma un attacco come quello di ieri indebolisce di molto le sp e- ranze di pace: è un attentato di stampo classico, che potrebbe essere stato compiuto in qualsia- si momento di questi ultimi cinque anni e porta impressa l'intenzione di uccidere più inno- centi possibili. Era diretto, come sembra, all'ospedale di Soroka; è identico, quanto a provenienza geografica del terrorista dal sud di Hebron; e la mano, così appa- re, è quella di Hamas. Insomma, è identico all'attentato che ebbe luogo il 31 agosto di un anno fa. Allora ci furono 16 morti e stavolta soltanto un caso fortu- nato ha fatto sì che non ci sìa stato lo stesso alto numero dì vìttime. Ci sono due motivi per cui questo attentato è stato compiu- to, uno tattico e l'altro strategi- co. Quello tattico è interno: con lo sgombero dì Gaza, tutte le organizzazioni palestinesi han no ingaggiato una gara per riven dicare agU occhi della popolazio ne il merito della «fuga» di Israele. Il terrorismo è stato rivendicato come arma decisiva soprattutto da Hamas. Sul suo sito web l'organizzazione in que- stì giorni presenta tutta la sua ricchezza terroristica, dimo- strando con orgoglio che le sì debbono il 54 per cento degli attentati suicidi, 277 su 400, dice. Anche le sue credenziah in termini di sangue versato conta- no orgogliosamente 145 dei 215 «martiri». Muhammed Deif, il mitico caP0 militare di Iz'a din al Kas- sam'ricercat0 dal 1991, ha fatto sabato una sua straordinaria apparizione video, coprendo Israele dì minacce - «riconquiste- remo col fuoco Acco, Giaffa, Safed, Beersheba, Ashkelon...» - e annunciando che «tutta la Palestina diventerà un inferno per gli ebrei», Ieri poi il portavoce di Ha- mas, Khaled al Bach, ha definito l'attentato «una naturale espressione della Jìhad». Bisogna sottolineare che Abu Mazen, dopo un'intervista in cui dichiarava la sua volontà dì proseguire la tregua indefinitamente, n?. condannato il gesto, e così i suoi uomini. Ma il problema non sta nelle condanne o nell'esaltazione, non è nelle parole, ma nella ccelta della strada per trovare la vìa del cuore dei palestinesi e vìncere alle prossime elezioni che, per ora resta il martirio, la jihad, in definitiva il terrore. Abu Mazen alcuni giorni fa aveva di fatto esaltato l'uscita da Gaza come «la fine della piccola jihad che segna l'inìzio della grande jìhad» e aveva indicato, m quel contesto, la strada dì Gerusalemme come prossima tappa; domenica scorsa Abu Ala, il Primo ministro dell'Autonomia, si era incontrato a Damasco con tutte le fazioni palestinesi e aveva promesso loro un salvacondotto per il post sgombero: questo è il vero problema. Infatti, nella dimensione tattica di cui abbiamo parlato, Abu Mazen non rinuncia a cercare il consenso, suggerendo in maniera sottintesa che l'uscita da Gaza sia stata frutto della violenza. Invece Fatah potrebbe condannare il terrorismo nei fatti e propoire così una nuovi strada. Anche ammettendo che l'Autorità Palestinese abbia difficoltà ad affrontare Hamas, la Jihad Islamica e le sue stesse Brigate dì al Aqsa (e molti esperti sostengono che le forze militari di Abu Mazen siano robuste), pure qui si tratta almeno di dare un segnale, ad esempio dì perseguire almeno l'incitamento più brutale, dì arrestare qualcuno. Ma ecco la dimensione strategica dì cui parlavamo all'inizio, quella invecchiata del ramoscello d'ulivo in una mano e del mitra nell'altra dì arafattìana memoria. Ma se Arafat è stato l'inventore delle due dimensioni, del discorso all'Onu subito dopo lo spettacolare attentato intemazionale delle Olimpiadi di Monaco, per Abu Mazen la situazione è ben diversa. Oggi l'influenza dell'mt egr alismo islamico e la conseguente forza acquistata da Hamas, può rovesciare insieme a ogni speranza di pace anche il rais stesso. Abu Mazen lo sa: dà frequenti segni di voler cambiare la cultura e l'azione del suo popolo, ma non agisce. Sa che gh si presenta un'opportunità storica enorme, quella di diventare il primo Stato arabo ricco e democratico, ma non sa da dove afferrarla. TJll attentato "VPPehìa di a ^ a vc^i a mflniei ci Cile VllOlB . SOltclIltO UCCldere • v . ,. .tm piU UlIlOCGUtl pOSSlDlle t^^A^an^r^r^^n^ M,JU IVlaZ,ei I IIUI11 II IUI ILIO ^rnrrcira\\rr\r\car\cr\ d UJILdlt; Il LUIIbtMIbU e,,nnaror\f\c\ rV\fì\\Kr^7K jUyytJItnlUUUlc I UiULd jT/^X^a eia cta+a "".^r.0!.^ ?..r— jj fri i^^ Hpila rPQktpnya " ' .u ^..^ .^. .^ . ., .^. Ha] ci IO nnn^Ìn i?^^^
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