Baghdad, i marines sparano ai carabinieri di Francesco Grignetti
Baghdad, i marines sparano ai carabinieri UCCISO PER ERRORE DAI SOLDATI USA UN TECNICO DELL'AGENZIA REUTERS, FERITO IL CAMERAMAN CHE ERA CON LUI Baghdad, i marines sparano ai carabinieri Dopo il sorpasso a un convoglio Usa colpi contro Tanto su cni viaggiavano nn nostro diplomatico e i militari Francesco Grignetti ROMA La chiamano l'autostrada della morte. Pochi chilometri che congiungono l'aeroporto di Baghdad con il centro abitato, in particolare con la «Green Zone» arciblindata dove vivono gli occidentali. In Italia è diventata tristemente famosa perché su quell'autostrada è morto Nicola Calipari, il funzionario del Sismi che aveva liberato Giuliana Sgrena. Ma sono morti in tanti, troppi. Un continuo di autobombe ne punteggia il percorso. Imboccarla è un temo al lotto. E giovedì scorso è toccato a una macchina blindata della nostra ambasciata, con un nucleo di carabinieri a bordo, sperimentare sulla loro pelle il grado di tensione che si respira sull'autostrada della morte: dopo essersi accodati a un convoglio di marines, mentre tornavano dall'aeroporto con un diplomatico a bordo appena atterrato, da un humvee americano gli hanno sparato addosso. Il solito soldatino spaventato che ha visto avvicinarsi troppo un'auto per lui sconosciuta. Per fortuna, i colpi sono andati a vuoto. E i carabinieri possono raccontare la loro brutta avventura. Il clima di tensione a Baghdad, al solito, è alle stelle. La firma della nuova Costituzione ha portato a un'impennata di attentati da parte del terrorismo islamico. Ma si muore con troppa facilità lungo le strade irachene. Non si contano i morti e i feriti per «fuoco amico». Giusto ieri, è morto per un colpo di fucile «amico» il fonico di una troupe della agenzìa intemazionale «Reuters» e un cameramen è rimasto ferito. Stando a un rapporto diffuso dagli attivisti di «Reporters sans frontìeres», con l'ultima morte, gli operatori dei media uccisi in Iraq dall'inizio della guerra nel marzo 2003 sono 66: un bilancio più grave di quello del conflitto in Vietnam, dove tra il 1955 e il 1975 furono 63 ì giornalisti morti per cause non naturali. «Eppure pensavamo dì esser- ci fatti abbondantemente riconoscere», ha raccontato uno dei carabinieri coinvolti nell'incidente a fuoco di giovedì. La macchina dell'ambasciata italiana aveva seguito tutte le procedure dì sicurezza che si eseguo¬ no in questi casi. Nel tragitto verso il centro-città, che per ovvi motivi di sicurezza sì fa a tutta velocità, i carabinieri avevano raggiunto un convoglio di automezzi americani. Più lenti. L'auto italiana si è quindi acco¬ data con calma. I carabinieri hanno fatto tutti ì segni del caso. Saluti. Documenti sventolati. E quindi, per non rallentare troppo la loro corsa, hanno segnalato che erano pronti a superare. Ma è proprio a questo punto, quando la jeep blindata dell'Arma si è avvicinata all'ultimo veicolo americano, che il rischio cresce in maniera esponenziale. L'autista deve sperare che il soldato alla mitragliera, che guarda le spalle al convo- glio, deve aver capito con chi ha a che fare. Che il suo gesto di assenso non sia una mossa automatica del capo, ma effettivamente un segnale di riconoscimento. Giovedì scorso, più o meno, è questo che è accaduto. La jeep italiana ha accelerato. E il mitragliere che sembrava aver capito invece s'è spaventato e ha sparato. Tragedia sfiorata penm pelo. Sembra che i militari americani abbiano spiegato di avere invitato gli italiani a mantenere l'accodamento. I carabinieri, invece, erano convinti di essere stati riconosciuti e soltanto con questa certezza hanno tentato di superare il convoglio. L'unica cosa sicura è che dall'ultimo mezzo della colonna un militare ha sparato, colpendo il parabrezza. Successivamente, il personale coinvolto nel fatto si è fermato e ci sarebbe stato un chiarimento tra militari americani e italiani. Nell'incidente, comunque, non ci sono stati feriti: solo il parabrezza dell'auto blindata sarebbe stato danneggiato. Un posto di blocco lungo l'autostrada che porta all'aeroporto di Baghdad
Persone citate: Giuliana Sgrena, Green, Nicola Calipari
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