Nell'atelier dello storico

Nell'atelier dello storico Nell'atelier dello storico Da Carocci a Franzinelli: i ferri del mestiere, viaggio nelle generazioni, fra revisioni e revisionismi POTERCI essere, a Copanello! Li, sul finire degli Anni Ottanta, era possibile osservare in. diretta la storiografia italiana, o almeno una parte significativa di essa, che puntava dritta a rifondarsi, mescolando scuole e metodologie. Ovviamente senza rinunciare a un tuffo di fine stagione nelle, onde azzurrine dello Jonio. E facendo onore alle cene generose ammanite dall'hotel che a ogni fine estate si proponeva come quartiere generale di una selezionata compagnia di ospiti che comprendeva Pasquale Villani ed Edoardo Grendi, Giuseppe Barone e Paolo Pezzino, Arnaldo Bagnasco, Raffaele Simonelli e Salvatore Lupo. A questi si aggiungeva un'ulteriore agguerrita pattuglia di studiosi - economisti, sociologi, antropologi - lì chiamati da Piero Bevilacqua e Carmine Donzelli che, in quanto fondatori dell'Istituto Meridionale di Storia e Scienze Sociali (Imes) e della rivista «Meridiana», facevano allora da padroni di casa. La stagione dei «seminari di Copanello» è uno dei tanti scorci aperti sulla comunità, degli storici italiani colta al lavoro, attraverso il susseguirsi di testimonianze, nell'ottimo volume Gli storici si raccontano. Tre Generazioni tra revisioni e revisionismi appena pubblicato da Manifestolibri e curato da Angelo d'Orsi con la collaborazione di Filomena Pompa. Il libro raccoglie gli interventi di una trentina di studiosi - la Giampiero Carocci e Claudio Pavone a Elena Aga Rossi e Giovanni Sabatucci ai più giovani Mimmo Franzinelli e Nicola Labanca - che nel marzo del 2003 avevano partecipato al convegno sul tema che dà il titolo alla pubblicazione, organizzato a Torino - in collaborazione conia Fondazione Istituto Piemontese Antonio Gramsci e con il sostegno e l'ospitalità della Fondazione Giovanni Agnelli - dall'associazione Historia Magistra (www. historiamagistra.org) presieduta dallo stesso d'Orsi. A differenza di molte pubblicazioni, che fissano fiaccamente sulle pagine voci devitalizzate e cristalizzate dai rituali accademici, questo libro esprime una freschezza, un susseguirsi di intelligenti provocazioni e di sagge messe a fuoco, tali da consentirgli di raggiungere non solo il pubblico colto e appassionato di storia, ma anche i ragazzi che in questi giorni stanno decidendo a quale facoltà universitaria iscriversi. Giovani che, magari, si stanno interrogando su come la ricerca storiografica lavori, e, soprattutto, a cosa serva la storia. Del resto questa era anche la semplicissima domanda, posta da uno dei suoi cinque figli, dalla quale era partito un maestro come Marc Bloch nel- lo scrivere Apologia della storia o mestiere di storico, un piccolo capolavoro pubblicato nel 1950 da Einaudi. A fare di quel testo un iibro pieno di vita era certamente la generosità con cpi Bloch, u.jjciiyHM'3 ,| Gestapo.nel ghigno del i'944,, apriva-al lettore irsùo'ttt'&Bèr 3 di storico, mostrava i suoi strumenti di lavoro, definiva i suoi riferimenti e li collegava al suo vissuto personale. Facendo dunque, si direbbe oggi, ego-storia. Un filone che si è poi arricchito in Francia con i contributi di grandi nomi come Ariès, Le Goff, Le Roy Ladurie e, nel mondo anglosassone, primattori come Hobsbawm, autore, qualche anno fa, di Anni interessanti. Autobiografia di uno storico, pubblicato da Bur Storia. Un esercizio, quello dell'egostoria, che non sembra essere mai piaciuto molto - con rarissime eccezioni - agli storici italiani e che proprio per questo rende assai proficuo e prezioso il volume curato da d'Orsi. Infatti ne GZi storici si raccontano è una comunità, quella composta dagli storici italiani, che prende la parola e descrive il proprio operare. Anzi, accetta di esporre i ferri del mestiere poiché - come sostiene Paolo Macry in un bellissimo intervento dove va a riassumere il suo ormai lontano apprendistato storiografi¬ co - «il compito dei maestri è di farsi vedere in carne e ossa mentre costruiscono le proprie opere...». Macry lo spiega ulteriormente, e con vivezza, raccontando, ad esempio, di quando, giovane ricercatore alle prime arinogli capitai di essere catapultato al suo primo convegno, riuscendo finalmente a dare un volto e una voce a chi, fino a quel momento, era stato solamente un nome intimidente impresso su testi fondamentali della propria formazione. Alzi la mano chi, tra i tanti giovani ricercatori di allora e di oggi, non coglie un'aria di famiglia e i tratti di un'esperienza condivisa, leggendo il passo in cui Macry si trova, per la prima volta, a «conoscere i Romeo, i Caracciolo, i Villari, i Giarrizzo; li osservavo - scrive - mentre si attardavano in quiete o corrusche discussioni peripatetiche, trascinavano borse sdrucite gonfie di carte, sgattaiolavano in piscina negli intervelli di lavoro e se mi si chiedesse cosa c'entri tutto questo con la storiografia, risponderei che uno dei momenti della mia iniziazione alla disciplina fu la scoperta di quella che mi sembrò una comunità». E proprio di questo - dei primi passi e del successivo lungo cammino che andarono a compiere da soli, ma sotto la guida di maestri presenti o rimpianti, spesso accomunati a colleghi e contrapposti a schieramenti avversari - parlano con vivace immediatezza le testimonianze riportate in questo libro, che accostano storici di generazioni diverse ma uni-, ti nella fortunata coincidenza di poter esercitare il «mestiere della propria passione». Una passione che non è solo privata e personale ma che viene declinata nella consapevolezza di attendere a un «esercizio di ^pubblica utilità», dove la revisione continua e doverosa del passato, in base a nuove fonti e visioni, noii può essere ridotta a riscrittura «à la carte» degli eventi trascorsi, tramutati di segno a seconda dei venti politici ed editoriali che spirano attorno. In molte delle testimonianze che si succedono commuove la nostalgia per i maestri scomparsi, che hanno dato molto pretendendo altrettanto. Ad esempio rimane incancellabile, a decenni dalla scomparsa, l'inesauribile attivismo e la straordinaria capacità di coinvolgimento di un Ernesto Ragionieri descritto - nel suo prezioso e ingombrante stagliarsi su una ricca nidiata di allievi - nella vivace testimonianza di Simonetta Soldani. O l'eccezionale capacità maieutica di uno storico troppo presto scomparso, e ingiusta¬ mente dimenticato, come Edoardo Grendi - con quel suo toscano che appestava riunioni in cui «i suoi silenzi prevalevano sulle parole e incutevano un certo timore collettivo». Uno storico, Grendi, che con l'esperienza di «Quaderni storici» pilotata assieme ad Alberto Caracciolo, Carlo Ginzburg, Adriano Prosperi, Raffaele Romanelli e altri, segnò un'intera stagione di sperimentalismo storiografico capace di seminare ben più di quanto, allora, sembrasse. Fra le tante voci e figure che scorrono in queste mosse pagine la più indimenticabile è, forse, quella di un decano come Giampiero Carocci che, ripercorrendo la sua operosissima stagione di studioso, indica con impietosa ruvidezza e commovente sincerità quelli che ritiene essere stati i propri limiti, le rimozioni non risolte. Sino a chinarsi severo sulla stessa scrittura di alcuni suoi libri: «di norma i miei lavori di storia sino al 1979 sono scritti male... Il tono perentorio e apodittico con cui esprimevo delle certezze mal si conciliava col carattere di un uomo - me stesso - la cui fede si manifesta nel dubbio assai più che nella certezza». Se nel lavoro dello storico revisione ci deve essere,, è da questa sincerità sincerità da veri maestri - che bisognerà ricominciare. Metodi e obiettivi della ricerca: una trentina di studiosi, maestri e allievi, chiamati a confronto da Angelo d'Orsi. Le caratteristiche di una scuola «altra» rispetto ali'ego-storia di March Bloch, Le Goff, Ariés, Le Roy Ladurie e, nel mondo anglosassone, di Hobsbawm Angelo d'Orsi (ó cu .idi) GII storici si raccontano. Tre generazioni tra revisioni e revisionismi Manifestolibri, pp. 390, e 30 Un disegno di Bruno Caruso apparso su «Il Contemporaneo» l'I gennaio 1955 con II titolo «Una lezione di storia» e la dicitura: «Al recente convegno di di Unità popolare Gaetano Salvemini ha inviato la seguente adesione: "Senza saper leggere e senza essere comunista o compagno di viaggio fui uno dei tanti che per ventidue anni disubbidirono al fascismo finché non vedemmo Mussolini coi piedi per aria"».

Luoghi citati: Bur Storia, Francia, Torino