Un rampollo chapliniano di Sergio Pent

Un rampollo chapliniano Un rampollo chapliniano Sergio Pent A provvisorietà estemporanea del clima sociale di questi mmm anni si riflette - quasi per istinto - nelle prove narrative di parecchi giovani scrittori. Incertezze diffuse, malesseri nebbiosi, disagio da potenziali benestanti costretti a cincischiare col sottobosco della produttività e dei sentimenti senza mai ufficializzare una situazione lavorativa o d'affetto. Gli antieroi senza storia di narratori come Lagioia, Drago, Balani, Mancassola e numerosi altri di ogni latitudine nazionale sono lo specchio riduttivo dei sognatori cosmopoliti del primo De Carlo, divenuti forse l'ultima infornata di professionisti intellettuali - con relativa sicurezza economica - prima del frustrante apprendistato a vita che caratterizza i ventenni ma anche i trentenni - di oggi. Tuffarsi nelle gestione irrazionale di se stessi può essere dunque il diversivo che consente di sopravvivere, e se la società da un lato pretende professionalità e specializzazioni assolute, d'altro canto prospera e si arricchisce sulle spalle di quanti tirano i remi in barca e si arrendono alla professione del precariato. Il protagonista del nuovo romanzo di Gianluca Morozzi ha fatto un culto della sua marginalità a tutto campo: figlio di un ex hippy diventato scrittore universalmente famoso fuggito in Messico vent'anni prima, vivacchia alla meglio in una Bologna dove se esci di casa incontri più scrittori che vigili urbani. Il suo nome di battaglia è Lajos, come Lajos Detari, dimenticato calciatore ungherese che militò nel Bologna. La sua arma di sopravvi¬ venza è costituita da lavoretti occasionali, in attesa di una botta di fortuna che non arriva mai, E non può certo arrivare, a uno che pubblica il suo primo romanzo - L'era del porco - con un oscuro e improbabile editore che lo manda in giro per l'Italia a gestire presentazioni deserte senza rimborso spese. Non può arrivare, ancora, per uno che passa il suo tempo libero a strimpellare nei locali più biechi con una band che cambia bassista ogni mese. E la stessa fortuna in campo sentimentale non può baciare uno che si innamora di una ragazza di nome Elettra, chitarrista del gruppo femminile «Le Lingueveloci», amante delle telefonate a notte fonda, appassionata dei pornofilm di Lucy Lesbo Su1 perstar e pronta a sparire nell'improbabile carriera di seconda chitarrista per il mitico Bob Dylan. Miscelate insieme tutte queste stravaganze esistenziali a dir poco estreme, aggiungete un bel drappello di personaggi fuori di testa come l'Orrido, il pavido Lobo - sosia perfetto di ogni artista della musica nel suo disarmante anonimato - la sessualmente iperattiva Betty - che ci sta con tutti tranne che con lo sbavante Lobo - e altri ancora, e avrete un campionario di figure emblematiche che rammentano assai da vicino il caotico mondo di Irvine Welsh, come già evidenziò a suo tempo Bruno Quaranta. La leggibilità del testo di Morozzi è riposante, poiché se talvolta eccede in siparietti sessuali un po' goliardici l'autore possiede una disinvoltura stilistica innata e un senso all'ironia che potrebbe graffiare a fondo su tematiche anche meno marginali. Questa odissea irrisolta di un giovane rampollo dei nostri tempi, che gira attorno a se stesso e alla sua generazione senza neanche un vero tentativo di fuga, vale soprattutto come testimonianza grottesca, a tratti surreale, di una deriva contemporanea in cui non esistono più credibili punti di riferimento. Se da un lato sorridiamo spesso alle disavventure chapliniane del povero Lajos, dall'altro ci chiediamo quale potrà essere il futuro di personaggi senza troppi ideali come quelli raffigurati da Morozzi. E vorremmo che fosse proprio lui a dircelo, magari tra un decennio, calandosi in quel divenire senza orizzonti che è quest'Italia di oggi, attizzando la pagina con l'ironia dolente di cui sembra capace, magari con qualche frecciatina personale in più, per intervenire in diretta con i suoi personaggi e per far sentire che l'autore c'è, pensa, critica e polemizza, non si limita solo a rappresentare. «L'era del porco» di Gianluca Morozzi: il figlio di un ex hippy, ironico vagabondo, vivacchia a Bologna, campa grazie a lavoretti occasionali, si fidanza con una chitarrista appassionata di pornofilm Giorno dopo giorno l'odissea irrisolta di una generazione che non sa osare un vero tentativo di fuga Studenti nei corridoi dell'Università a Bologna, dove è ambientato il nuovo romanzo di Gianluca Morozzi Gianluca Morozzi L'era del porco Guanda pp.294,ei5 ROMANZO

Luoghi citati: Bologna, Italia, Messico