Nella testa del kamikaze di Richard Newbury

Nella testa del kamikaze UNO STUDIO SULLE MISSIONI SUICIDE Nella testa del kamikaze Dai piloti giapponesi del 1944-45 alle Tigri Tamil ai terroristi seguaci di Bui Laden Richard Newbury e missioni suicide sono antiche come il mondo o sono il | risultato di «avanzamenti» moderni della nostra psico■m logia o della nostra tecnologia? E c'è un habitat comune in cui poter trovare e addirittura snidare gli individui motivati a perpetrare o a inviare una missione suicida? A queste domande cerca di rispondere un gruppo di sociologi di spicco guidati da Diego Gambetta dell' Università di Oxford nel saggio Moking sense of Suicide Missions, appena pubblicato dall'Oxford University Press. Gh studiosi hanno indagato in tutto il mondo esempi di «morire per uccidere». Peter Hill ci dà una concisa visione d'insieme dei 4000 piloti kamikaze giapponesi, i divine wìnd che nel 1944-45 attaccavano le navi alleate nel Pacifico. Pur senza gran successo, usarono nel modo più efficace quel che rimaneva del patrimonio militare giapponese e secondo l'ammiraglio Brown «inflissero più perdite tra la flotta americana al largo di Okinawa di quanto l'esercito giapponese fece alle truppe d'invasione nella lunga battaglia a terra». Il fatto che il 9907o delle forze armate giapponesi e della popolazione civile di Okinawa fosse decisa al suicidio piuttosto che alla resa porta a chiedersi che cosa sia una missione suicida. Specie in confronto alla lotta fino all'ultimo uomo che si calcolava sarebbe costata un milione tra morti e feriti gravi agli uomini degli eserciti alleati nella progettata invasione del Giappone che la bomba atomica inaspettatamente rese superflua. Gh induisti delle Tigri Tamil, in lotta per l'indipendenza dai buddisti cingalesi nel Nord-Est dello Sri Lanka, fin dagh anni 70 usano missioni suicide per assassinii e attentati dinamitardi pohtici, quasi «per forza» dato che combattono una guerra asimmetrica e non hanno sofisticati sistemi di lancio di armi. Il loro scopo non è il terrorismo ma la vittoria. «U FAMA È LO SPRONE» Luca Ricolfi respinge le diffuse teorie che il terrorismo sia iujo strumento per compromettere il processo di pace o che ci sia un ciclo nella violenza. Vede invece le missioni suicide come un mezzo per rinforzare il morale e per aumentare il prestigio delle organizzazioni rispetto ad altre rivali. Inoltre gh attentati suicidi come i dirottamenti aerei impongono una «piccola difficoltà locale» al vertice dell'agenda intemazionale. Se questo è lo scopo degh organizzatori, qual è la motivazione degh esecutori, che sono persone di ceto medio, psicologicamente equilibrate, istruite e addestrate per 18 mesi? Per prima cosa si sentono scelti da Allah e il vantaggio è l'assoluzione dai peccati, l'intercessione per i parenti e 72 vergini. In secondo luogo hanno un senso di rivalsa per l'umiliazione subita da Israele. In terzo luogo sono contrari alle posizioni moderate nell'Olp. Però soprat' '.tto si tratta di pressione del peer group (coetanei), come dimostrano i casi in cui i terroristi suicidi erano compagni di giochi o di sport. Certamente «la fama è lo sprone», come per gh antichi eroi dell'Iliade. Divenir martiri è la via più breve per raggiungere posizioni ragguardevoh in una società in cui l'Intifada è il solo vero sistema sociale. «La vera domanda è perché la gloria è diventata così importante in Palestina? La risposta è tanto semplice quanto disarmante: perché manca quasi tutto il resto». L'Il settembre è la missione suicida che ha sconvolto il mondo. Tale è stato il suo impatto politico. I 19 giovani e la squadra alle loro spalle saranno pure stati fanatici rehgiosi, però hanno usato non solo il macchinario ma anche le logistiche e i media del mondo occidentale secolarizzato. Stephen Holmes ammette che «la religione può spiegare la volontà dei dirottatori di morire o può semplicemente aver reso i loro desideri non religiosi più accettabili socialmente». Tuttavia una religione estranea all'Occidente e le sue pratiche possono aver contribuito alla solidarietà, alla segretezza e alla sorpresa. La colpa nei confronti delle tentazioni della vita occidentale può essere espiata con il suicidio. La Piccola Jihad si combatte sul campo contro l'infedele, la Grande Jihad è una guerra intema. L'Il settembre «prendeva due piccioni con una fava», dato che i suoi protagonisti simultaneamente divenivano memorabili eroi di Allah e insieme risorse consumabili. Tali auto-immagini così vicendevolmente inconciliabili possono averli anestetizzati davanti aU'imminente morte. IL VALORE AGGIUNTO DEL IVI ARTI RIO Quel che colpì gli Stati Uniti lìl settembre non è stata la religione ma l'unificazione di sedizioni, combattenti e imam del Medio Oriente arabo spimi in esilio in Europa e motivati dal successo contro l'Unione Sovietica in Afghanistan. Il Califfato è l'equivalente rehgioso dell'utopia comunista, ineccepibile perché mimmaginabile e perciò invitante e nelle fantasie deir«Eurabia» capace di unificare ciò che invece non si riusciva ad amalgamare nella realtà del Medio Oriente. L'organizzazione dell'11 settembre, a cura di Khalid Shaikh Mohamraad più ispirato da Lenin che da Maometto, non era né irrazionale né fanatica, dato che le missioni suicide uccidono quattro volte più di altri attacchi terroristici e hanno quindi il più alto rapporto costo/beneficio. L'Il settembre era diretto al proprio pubblico, non alle 3000 e più vittime dai momento che il «terrorismo suicida» imphea anche il potenziale valore aggiunto che il «martirio» gh conferisce. Chi ha un martello vede in ogni problema un chiodo. Gh Stati Uniti inaccuratamente usano la forza militare contro un terrorismo non di Stato. Al Qaeda usa le missioni suicide perché è la sua unica arma e ne ha sovrastimato l'utilità. «Perciò anche se i cospiratori dell'I 1 settembre per un verso erano irrazionali, le loro deviazioni dalla ragione non erano necessariamente ù risultato del loro credo religioso». Diego Gambetta ci ricorda che gh anarchici dinamitardi suicìdi descritti da Joseph Conrad nell'Agente segreto iniziarono le loro attività un secolo fa, quando i nuovi mass media si coniugarono agli esplosivi moderni. Il nichilismo dei suiddi fece più notizia della morte delle vittime e si può solo speculare su come potrebbe essere il mondo ora se non avessimo «assistito» a questo «martirio». Donne palestinesi aspiranti kamikaze durante una conferenza stampa nel 2002

Persone citate: Brown, Diego Gambetta, Joseph Conrad, Khalid Shaikh, Lenin, Luca Ricolfi, Peter Hill, Stephen Holmes

Luoghi citati: Afghanistan, Europa, Giappone, Israele, Medio Oriente, Palestina, Stati Uniti, Unione Sovietica