Islam a Sarajevo

Islam a Sarajevo TERRORISMO IL GOVERNO TEDESCO HA RECENTEMENTE SEGNALATO LA PRESENZA DI CAMPI DI ADDESTRAMENTO MUSULMANI Islam a Sarajevo Cinquecento mujaheddin vivono nella capitale con nomi e documenti falsi: che cosa fanno? reportage GIUSEPPE ZACCARIA inviato a SARAJEVO La Cekaluscia è una stradina che dal centro città oppone palazzoni austroungarici all'intrico di vicoli turcheschi della Barsjarsja, uno di quei luoghi in cui più che altrove Sarajevo appare sospesa fra il passato ottomano e le rilucenti insegne di un futuro che non arriva. Al numero sedici, in un palazzo restaurato nella zona delle ambasciate una delle targhette affisse sul portone segnala la famiglia Catic però suonare è mutile, qui da qualche giorno non rispondono. L'appartamento si è svuotato quando pochi giorni fa il settimanale più autorevole di Bosnia ha svelato che in quella casa vive Abu Maali, 38 anni, kuwaitiano, già combattente nelle brigate musulmane e oggi sospettato di essere fra i capi di Al Qaeda, ma soprattutto persona che non dovrebbe trovarsi in Bosnia. LA BRIGATATRAVNIK Ufficiale della «brigata el Mujaheddin» più nota come Brigata di Travnik (quella che decapitava i nemici serbi) Abu Maali aveva lasciato il Paese dopo l'il settembre. Questo almeno era stato risposto alle autorità americane che lo stavano cercando e avevano appena arrestato sei bosniaci di origine algerina per trasferirli a Guantanamo. Maali invece aveva semphcemente ottenuto un nome diverso ed un nuovo passaporto, anzi due (Bh 540623 rilasciato nel '95 e Bh 0857563, emesso nel '99): oggi però nomi, elenchi, provenienze, numeri dei documenti appaiono tutti sul!' ultimo numero di «Dani», Esad Hecimovic, giornalista specializzato nei temi del terrorismo ha pubblicato un'inchiesta dai risultati clamorosi e per il governo bosniaco clamorosamente imbarazzanti. L'indagine è stata compiuta fra carte occultate degh uffici pubblici e rivela che centinaia di sospetti, anzi più che probabili terroristi islamici sono nascosti nel centro dei Balcani e nessuno sa che cosa combinano. Ufficialmente dopo l'attentato alle «Twin Towers» la Bosnia Erzegovina aveva espulso 740 musulmani venuti dieci anni prima per combattere in nome dell'Islam: erano maghrebini, afghani, arabi del Golfo che per meriti di guerra, vivente Alja Izetbegovic erano stati assimilati ai bosniaci e quasi sempre avevano sposato musulmane alte e bionde dei villaggi di montagna. Il settimanale dimostra invece che 504 «mujaheddin» ufficialmente espulsi hanno ottenuto nuovi documenti, false cittadinanze e cognomi con la desinenza in «ic», presi dalle mogli oppure dagli elenchi delle vittime di guerra. Polizie di tutto il mondo continuano ad arrestare (l'altro giorno in Arabia Saudita) uomini di Al Qaeda con documenti targati BiH, e Sarajevo continua a nasconderli, con la sola differenza che nell'immediato dopoguerra li relegava in periferia, fra Maglaj, Konjic, Visoko, Buzim mentre adesso (forse per controllarli meglio) li ha registrati tutti nella municipalità di Stari Grad ovvero nel centro città. Chiedere un commento al governo è mutile: la questione, risponde un portavoce, ''sta per essere valutata». No, non è un'allucinazione. Uno sta ancora almanaccando sulle conseguenze di una rivelazione del genere e appena girato l'angolo si trova calato in una scena mediorientale. Due donne velate stanno entrando in un supermercato del centro con tre bambini, una è molto giovane e mostra il viso sotto un caffetano celeste, la madre è interamente coperta da un «nikab» da cui spuntano grandi occhi azzurri decisamente poco arabi. Nazda el Hadz viene da un villaggio nei pressi di Zenica e in piena guerra, quando ancora si chiamava Dizdarevic, aveva sposato Boudellaa Omar el Hadz, algerino messo a capo di un'organizzazione umanitaria saudita. Suo marito da tre anni e mezzo è a Guantanamo accusato di appartenere ad Al Qaeda e di avere tenuto i contatti fra Bosnia e l'Afghanistan dei talebani, lei parla volentieri, racconta di aver organizzato già quattro manifestazioni di islamici. BASI PER LA J!HAD «Vogliamo che il governo ottenga la liberazione di quei sei detenuti, cinque di essi fra cui mio marito erano già cittadini bosniaci, l'altro aveva un permesso di soggiorno...», dice. «Chiede com'è cambiata la mia vita? Mi sono avvicinata maggiormente ai precetti dell' Islam, esco solo a volto coperto, in casa mostro il viso ma continuo a portare il velo, ormai leggo e scrivo correntemente la lingua araba. Gh americani? Sì, ci aiutarono durante la guerra contro i serbi ma dopo...». Ecco, è sulle implicazioni di quel «dopo» che bisogna inteirogarsi per capire cosa sta succedendo in Bosnia e se davvero Sarajevo - come i governi di mezzo mondo continuano e sostenere - sia tornata ad essere una delle tre grandi basi di penetrazione della «jihad» in Europa assieme con la Spagna e le moschee metropolitane. E' vero, questo è il solo Paese europeo dove cittadini di Paesi arabi possano recarsi senza bisogno di visto, è vero anche che ripetute informative segnalano «corsi di specializzazione» tenuti a cavallo fra Bosnia e Kosovo dal mujahed che ha appena superato il «master» iracheno. Molti pensano che questa stranissima forma di «laissez-faire» derivi da patti d' fiorra antichi quanto inconfessabili. Ma può, questa Sarajevo, essere , incubatrice di progetti simili? A prima vista la città sembra tutt' altra cosa, i segni della guerra sono scomparsi quasi del tutto, lungo la vecchia Titova, la Ferhadja, le rive della Miljacka il grigio polveroso dei palazzi so¬ cialisti oggi è squarciato dalle macchie di colore di costruzioni nuovissime e dalle insegne dei caffè-bar che si chiamano «Brazil»,«Teatro»,«Senator». Dappertutto si vedono manifesti dell' undicesimo «Sarajevo Film Festival», iniziato l'altro ieri. «E' vero, se la si osserva in superficie Sarajevo sembra tornata quella di un tempo, luogo di un Islam diverso perchè abituato a convivere col cristianesimo, tollerante, aperto e anche piuttosto godereccio. LEMADRASSE Però accanto alla ragazze con le gonne corte si vedono sempre più donne velate, un fìloamericanismo di facciata fatto di Reebok e Nike convive con la costruzione di sempre nuove moschee e la nascita di madrasse, la scuola femminile islamica è la migliore della città. Essenzialmente nella devastazione economica di questo Paese il modello americano appare irraggiungibile, mentre quello islamico parte dal basso e si afferma attraverso aiuti concreti e comportamenti quotidiani». L'uomo che ci parla è un funzionario tedesco che si trova in una situazione imbarazzante. Come funzionario delle Nazioni Unite sovrintende allo sviluppo di una democrazia concepita in un gioco di pesi e contrappesi che l'ha paralizzata fin dall'inizio, ma d'altro canto è stato proprio il suo governo a segnalare di recente a quello di Sarajevo la presenza di campi di addestramento per guerriglieri islamici in Bosnia, il che ha raffreddato alquanto i rapporti. «Prima qui l'Islam sopravvissuto al comunismo conviveva con religioni che avevano subito la medesima sorte mentre oggi islamici rilassati convivono con jihadisti e tetri missionari waha- biti. Una minoranza, però sempre più aggressiva e se vuole verificarlo faccia un salto alla moschea di Vratnik». Ieri era venerdì e per l'antica moschea di Vratnik anche un giorno speciale poiché a condurre la preghiera era r«imam» Sulejman Bugari, appena rientrato da un viaggio al Cairo, quarantenne nato in Kosovo, laureato a Medina, vicino alla disciplina «sufi» e dai suoi considerato un santo. Un santo viaggiatore, poiché i suoi sermoni si svolgono in Bosnia come in Kosovo o in Egitto o in Sr.udja. Qualche tempo fa in un memorabile venerdì' aveva spiegato ai fedeli che «bere Coca Cola è male perchè il dieci per cento del prezzo di ogni lattina va ai sionisti che col loro danaro impestano il mondo». Il direttore della fabbrica di Sarajevo gh aveva chiesto cosa sarebbe stato dei suoi operai e lui aveva risposto: «Imbottigliate la Mecca Cola e quel dieci per cento andrà ai fratelli palestinesi». Poco dopo aveva aggiunto: «Abbiamo chiesto aiuto all'America ed è per questo che Allah ci punisce». ■ CREDENTI CI AIUTANO Ieri è stato più moderato e dopo il sermone ha anche accettato quattro chiacchiere con l'infedele: sorridente, non troppo alto si è prestato allo scambio di idee col sereno distacco di chi trasmette le parole dell'Altissimo: «Quella storia della Coca Cola fu esagerata, io in realtà dico che anziché comperare beni stranieri dovremmo vivere di quel che si produce qui. Gh Stati Uniti ci hanno aiutato durante la guerra oggi però tutti devono ricordare che nessun credente deve essere umiliato nella sua fede. I mujaheddin nascosti? Ci sono tanti credenti che aiutano la Bosnia...». GLI SCOMPARSI All'indomani dell'11 settembre la Bosnia aveva espulso oltre 700 combattenti islamici Adesso si scopre che molti sono rimasti nel Paese. E sempre più membri di Al Qaeda arrestati nel mondo hanno passaporti di qui Una celebre e agghiacciante fotografia diffusa durante la guerra di Bosnia. A Crni Vrh un «mujahed» saudita con la testa di un serbo decapitato in battaglia Soldati musulmani pregano in un cimitero a Sarajevo Una brigata musulmana dell'esercito bosniaco sfila a Zenica nel dicembre dal 1 -195, all'indomani degli accordi di pace di Parigi

Persone citate: Brazil, Catic, Dizdarevic, Izetbegovic, Nike, Sulejman Bugari, Titova, Towers