La democrazia irachena ai tempi supplementari

La democrazia irachena ai tempi supplementari UN MINISTRO CURDO: FINORA NON CI SIAMO UCCISI La democrazia irachena ai tempi supplementari analisi GIUSEPPE ZACCARIA BAGHDAD George Bush si compiace «per gli sforzi eroici dei negoziatori ùacheni», il segretario di Stato Condoleeza Rice si dice «colpita dai progressi realizzati negli ultimi mesi», l'ambasciatore statunitense a Baghdad Zalmay Khalilzad ammette la delusione aggiungendo che «la democrazia è all'opera», ma per quanti speravano che in Mesopotamia finalmente si avviasse un processo democratico il colpo è forte. La sera di Ferragosto, alla scadenza del termine imposto dalla legge di transizione l'Assemblea nazionale irachena non è stata in grado di varare una Costituzione. Fino quasi a mezzanotte l'ambasciatore Khalilzad aveva passeggiato nervoso nalla sala adiacente a quella delle riunioni, poco prima che il termine scadesse due colpi di mortaio erano rimbombati nella «green zone» ricordando a tutti che la guerrigUa è sempre in agguato. Poi a venti minuti dalla scadenza padri e patrigni della democrazia irachena si sono trovati d'accordo solo sulla necessità di chiedere un rinvio. Avrebbero avuto bisogno di dieci giorni, glie ne sono stati concessi sette, entro lunedì prossimo o l'Assemblea riuscirà a superare contrasti che paiono gravissimi o il processo politico avviatosi fra bombe e fiumi di sangue rischierà la paralisi. Anche se non è del tutto inatteso, questo parziale fallimento sembra già dehneare l'approssimarsi del collasso. Se il presidente Jalil Talabani tenta di gettare acqua sul fuoco («Non c'è delusione perchè molto è stato fatto e questo ritardo non scuoterà la fiducia de popolo iracheno») le dichiarazioni di altri membri dell'assemblea suonano ben più allarmanti. «Se il rinvio risolverà i problemi va bene - dice ad esempio Haseeb Aref, rappresentante dei sunniti - se no, bisognerà sciogliere l'Assemblea nazionale e ricorrere a nuove elezioni». Un altro sunnita, Saadoun Zubaidi, già ambasciatore di Saddam Hussein afferma che il rinvio del voto «è un affronto ai tempi imposti da Bush, accellerare la nascita della Costituzione significa creare un castello di carte e innescare una bomba a tempo». Il commento più salace è stato quello di Bahram Saleh, ministro curdo: «Andiamo, è stato un successo, finora non ci siamo ammazzatil'un l'altro...». In effetti da molti giorni nell'Assemblea il tono delle discussioni ha sovente sfiorato la rissa, in un dibattito rancoroso e settario determinato non dagli interessi dell'Iraq ma dal peso dei riti, delle tribù, delle etnie. Fonti sunnite affermano che «su almeno il cinquanta per cento della Carta manca ogni accordo», osservatori più distaccati continuano a rilevare profonde differenze sugli elementi fondanti del nuovo Stato. La prima, incolmabile differenza attiene alla «Sharia» come principio ispiratore di ogni legge futura: si parla di un articolo soltanto che però influenzerebbe tutti gli altri. I sunniti, eredi di uno stato laico, respingono ogni riferimento all' interpetazione coranica, gli esponenti più radicali della maggioranza sciita ribattono che senza questo principio-guida la Costituzione non si farà. Il dissidio appare incolmabile, il tentativo di aggirarlo ha già partorito due bozze, una sostenuta dal portavoce del Parlamento, Hasani, l'altra dal presidente del comitato costituzionale, Hamoudi. Da questo nodo scaturiscono tutti gli altri dissidi: i sunniti che fino a tre anni fa governavano il Paese non hanno alcuna intenzione di cedere agli sciiti del Sud e ai curdi del Nord le fonti petrolifere e dunque si oppongono ad ogni ipotesi federale e se la maggioranza dei seguaci di Ali può permettersi lunghi tempi di attesa vista la schiacciante maggioranza elettorale, fra gli esponenti curdi c'è già di parla apertamente di secessione. Se poi l'Assemblea non dovesse giungere a un accordo entro lunedì 22 agosto (il che appare probabile) le conseguenze sul faticoso processo di normalizzazione sono del tutto imprevedibili. L'ipotesi di un rinvio era stata prevista dalla legge di transizione però la stessa norma fissa un referendum costituzionale per il 15 di ottobre. Nell'ipotesi ancora remota che si giunga a una sorta di accordo il referendum dovrà slittare o no? E se invece le cose resteranno cosi bisognerà indire nuove elezioni, con tutti i rischi che l'operazione comporta? I leaders dei gruppi religiosi ed etnici rappresentati nell'Assemblea hanno promesso all' ambasciatore americano che si farà di tutto per concludere in tempo ma i contrasti sull'identità nazionale paiono troppo forti per essere superati in un tempo così breve. Il commissario curdo Mahmoud Othman dice: «Ci resta la speranza».

Luoghi citati: Baghdad, Iraq, Mesopotamia