Del Turco Il mio Luglio e le barricate

Del Turco Il mio Luglio e le barricate Del Turco Il mio Luglio e le barricate intervista Michela Tambunrino Barricate e sapore di mare. Botte e tramonti. Era il 1968, quello degli studenti che volevano rifare il mondo, di Parigi a ferro e fuoco, di Berkley scossa dalla furia del rinnovamento mai indolore. Era il 1968 anche per Riccardo Del Turco, con la faccia da bravo ragazzo e una canzone romantica nel cassetto. Spopolò parlando d'amore, antesignano della soap in melodia. Ma Riccardo pensava e valutava, questa dicotomia spuria lo affliggeva. Lui e il mondo estemo erano simili, eppure gli urgeva dentro la voglia cfl miele e cielo stellato da restituire in rime baciate. Ci ride sopra il Del Turco del nuovo millennio, un signore di 65 armi che ne ha viste tante e ne ha passate altrettante. È in Versilia a prendere i bagni, in famiglia, non gli piace tanto la Versilia, da toscanaccio verace qual è, non si perita di tacere i suoi umori. Del Turco, allora, come si stava nel 1968 quando una parte del mondo si prendeva a botte con l'altra e lei cantava «Luglio col bene che ti voglio...»? Era l'armo del mio enorme successo ed era l'anno delle contraddizioni. Avevo scritto una canzone "easy" che non voleva essere più di quello che era. Invece scatenò il putiferio di giudizi contrastanti. Molti storcevano il naso perché non mi occupavo del disagio giovanile. "Luglio" era fresca, io avevo scritto le musiche e Bigazzi le parole. Appena la sentì il paroliere di Becaud, Delanoel, la volle, cambiò il testo e ne fece un altro enorme successo. Certo, ebbi contestazioni ma i più mi premiavano comprando il disco». Rimase in hit parade per molte settimane? «Per dodici settimane fu il primo nelle vendite, riuscì a scalzarmi solo Celentano con "Azzurro". Fu un momento magico, irripetibile, fantastico». E poi? «E poi arrivo il 1969. Suppergiù l'atmosfera era la stessa e io scrìssi "Che cosa hai messo nel caffè?". A Sanremo a momenti mi mangiano. Mi difese Mario Soldati che appoggiò la leggerezza con sentimento di quella mia canzone». Poi arrivarono gli Anni '70... «...E il successo come era venuto se ne andò. Vede, è in questi casi che bisogna avere i nervi saldi e un buon rapporto con se stessi. La vita è fatta a fasi e bisogna prenderne il buono. Bisogna mettere in conto le nostalgie e non vivere di rimpianti rìncorrendo un successo che non c'è più. Casomai, se di nostalgia si deve parlare, oggi io la rivolgerei verso il mondo di allora che non c'è più. Adesso conta solo l'apparire, l'esserci, nessuna felicità nel proprio mestiere. Meno sono bravi e più si mettono in mostra. Cantanti, presentatori, attori, sono come le cattive notizie, sempre alla ribalta, sempre in prima pagina». Invece lei? «Io non ho saputo sfruttare il momento favorevole. Non ho fatto servizi per le riviste, il mio privato non l'ho mai messo in vendita. Avrei dovuto cavalcare l'onda di "Luglio", come si dice, seguirne il filone. Invece pubbhcai una canzone sulle città inquinate, "Babilonia", un disastro. Poi ho fatto cinque dischi in RCA ma jocbi se ne sono accorti. La cosa luffa è che questo mestiere non l'ho mai preso sul serio, mi sentivo un privilegiato, innanzitutto, uno che con le canzoni ci campava e basta, dici niente».' Però negli Anni '70 fu dura? «Fu dura per tutti, un inferno artistico che travolse anche gli altri, persino Morandi. Si stava cambiando modo di fare musica, si cantava l'impegno sociale. Io ne rimasi sconcertato. Mai depresso, mai preso un tranquillante. Nascevano Venditti e Renato Zero e io scrìssi "Tanto io non vinco mai"». Dunque cambia fase? «Cambio e faccio la cosa che più mi è piaciuta. Apro un caffè nella mia Firenze a piazza della Signorìa recuperando una vecchia struttura. Un successone. Di lì passava il mondo intero; Fellini, Benigni, De Niro. Adesso l'ho dato via perché non riconosco più la mia città, l'hanno distrutta. Firenze è come una bella donna che invecchia male. Mi piange il cuore. Sono andato a vivere a Fiesole ma vorrei fosse più lontana da Firenze. Sto con Magda, la mia seconda moglie, abbiamo cinque figli in due e ora ho anche due meravigliose nipotine. Adesso vorrei comprare un bel podere con un buon uliveto, vorrei fare dell'olio come il amico Gino Paoli. Lui lo fa buonissimo, in Maremma». Eppure lei non ha attaccato lo spartito al chiodo. Parliamo dei «magnifici quattro»? «Quella fu ima bella idea di Pasquale Mammaro. I superquattro erano quattro amici che facevano le serate insieme, un po' teatrali, molto musicali; Nico ' Fidenco, Gianni Meccia, Jimmy Fontana e io. Per reggere dieci anni bisognava av ""e il piacere di stare insieme e noi siamo innanzitutto grandi amici. Abbiamo smesso quando le proposte cominciarono ad essere patetiche, superficiali, ci vedevano come fenomeni d'antan». La sua vita oggi com'è? «Non sto mai con le mani in mano. Sono in Siae in una commissione e lavoro all'associazione degli autori che ha inventato Mogol. E poi ho ricominciato a scrìvere canzoni. Per armi il pianoforte l'ho lasciato chiuso. Come fosse un deposito di carte. Ora ho ricominciato per me, galvanizzato dopo aver vinto in tribunale la causa contro Bacalov, l'autore delle musiche del "Postino" copiata da quella scrìtta nel '75 da me e da Endrìgo. Ho ricominciato a scrìvere e ho raccolto tutte le canzoni in un Cd. Lo vorrei fare ascoltare ai miei colleghi. A Mina, alla Vanoni, per confrontarmi. Però ho anche paura, non è facile proporre le proprie cose agli altri. Ma lo farò. Forse me lo devo». «Quel brano scatenò un putiferio di giudizi contrastanti: molti storcevano il naso perché non raccontavo il disagio giovanile» Riccardo Del Turco ai tempi di «Luglio» e, in alto, una manifestazione studentesca. Ora i cantante vorrebbe comprare un oliveta Riccardo Del Turco ai tempi di «Luglio» e, in alto, una manifestazione studentesca. Ora i cantante vorrebbe comprare un oliveta

Luoghi citati: Fiesole, Firenze, Parigi, Sanremo