«L' urlo disperato, poi lo schianto»

«L' urlo disperato, poi lo schianto» GLI AMICI DELLA VITTIMA NON CONOSCONO ANCORA ILTRAGICO BILANCIO DELL'INCIDENTE «L' urlo disperato, poi lo schianto» U n ferito in ospedale: continuo a rivedere la stessa scena testimonianza dall'inviato a CASSINO (Prosinone) «Dicono che, quando hai avuto un brutto incidente stradale, poi dimentichi quello che è successo a causa dello choc. Non è vero. Io ricordo tutto, attimo per attimo: la macchina che carambolava, le urla di mio fratello, il rumore della lamiera che strisciava sull'asfalto... Tutto, insomma». Clemente Schinco, baffi grigi spioventi, il corpo massiccio coperto di lividi e ferite suturate, ha l'affanno mentre parla disteso su un letto nel reparto' di chirurgia generale dell'ospedale di Cassino. Soffre molto, di tanto in tanto tocca con cautela la benda macchiata che gli copre la nuca, e indica con una smorfia l'ingessatura ad un piede. Non sa ancora che il suo vecchio amico. Natale Gioffrè, è morto. Certo, sospetta qualcosa, e ogni tanto chiede: «Ditemi la verità, come sta Natale? Siete proprio sicuri che ce la farà? E Claudio, mio fratello? So che l'hanno trasferito a Roma: è tanto grave? E Francesco, quel povero ragazzo, l'ho visto cresce- re... Spero che stiabene». Ricorda, Clemente, originario di Foggia, gli anni della gioventù che l'hanno legato a Natale Gioffrè, nato a Messina: tutti e due meridionah emigrati più di vent'anni fa a Torino, lo stesso lavoro nella fabbrica di componenti di plastica per auto, le serate trascorse al bar in via Mazzini dove le due famiglie abitavano, e dove «d'estate, quando faceva molto caldo, ci gettavamo addosso secchiate d'acqua». Una decina di anni fa Natale, dopo la separazione dalla moglie, era andato a vivere con il figlio a Milano, dove aveva trovato lavoro come carrellista in un deposito aziendale. Ma non per questo gli Schinco e i Giuffrè avevano smesso di vedersi. «E' venuto a trovarmi spesso, nei giorni di festa, a Torino. Avevamo già fatto una vacanza insieme, in Liguria. Quest'estate io e mio fratello avevamo deciso di andare con lui a Bagnara, in Calabria, nella casetta che il padre gli aveva lasciato aDa sua morte». Sono partiti da Milano venerdì pomeriggio, alle cinque. «In auto scherzavamo, sfottevamo un po' Natale perchè tifa per il Milan, mentre suo figlio, io e mio fratello teniamo per la Juve. Lui era di buon umore. Ha voluto guidare senza quasi fermarsi fino a Roma. «Prima arriviamo al mare, meglio è», diceva. Poco più a sud di Roma ci siamo fermati in un'area di servizio. Abbiamo mangiato un panino e bevuto un caffè, e Natale ha schiacciarto un pisolino». Poi, l'inizio dell'incubo. «Poco prima del casello di Cassino, dopo una curva, abbiamo visto dei copertoni e dei pezzi di metallo e di plastica disseminati sull'asfalto. In ospedale ho saputo che appartenevano a una Clio che si era schiantata contro un masso lanciato da un cavalcavia. Che quei delinquenti siano maledetti per tutto il male che hanno fatto. Ricordo l'urlo di Natale: «Ma¬ donna Santa». L'auto si è rovesciata, è tornata diritta sulle sue ruote e poi si è di nuovo ribaltata. Non so neanch'io quante volte: tre, quattro... Urlavamo, ricordo mio fratello che mi stringeva un braccio e gridava... Non so come abbiamo fatto a uscire, le portiere si sono spalancate e ci siamo buttai fuori. Claudio, mio fratello, si appoggiava all' auto e si lamentava: «Non ce la faccio, non ce la faccio». Eravamo in mezzo all'autostrada: ero terrorizzato dall'idea che un tir ci schiacciasse. Gli ho detto: «Claudio, questa volta mi sa che il Signore ci sta chiamando», ma lui gridava: «No, non voglio»». Natale Gioffrè e il figlio Francesco erano stesi sul selciato: «Li ho visti a terra, li ho chiamati ma non rispondevano. Poi sono arrivati i primi soccorsi. Un automobilista mi si è avvicinato e mi ha portato vicino al guard rail, dicendomi di stare calmo. Le ambulanze sono arrivate presto, e ci finalmente ci hanno portato a Cassino». Al secondo piano dell'ospedale, nella sala di rianimazione, Francesco Gioffrè lotta per vivere. E sembra proprio che possa farcela, a sentire il medico di turno che lo descrive come un paziente «vigile e reattivo». «Che cosa è successo? Non ricor- do nulla. Dov'è papà?»,, ha chiesto a un infermiere che ha tentato di tranquillizzarlo. In serata, a suo capezzale, è giunta da Torino la madre, Daniela Rizzo, accompagnata dalla figlia Jessica. Ancora increduli per tanta fortuna, sono invece tornati a casa Rodiano D'Abruzzo e Giuseppe Martone, i due amici che viaggiavano sulla Clio. «Miracolati, siamo miracolati. La macchina è completamente distrutta e noi siamo qui, vivi e quasi illesi», mormora al telefono Rodiano. E racconta: «Siamo partiti da casa a mezzanotte perchè volevamo viaggiare con il fresco e senza il traffico: una partenza intelligente, insomma, per una bella vacanza a Gallipoli. Poco prima di Cassino, all'improvviso, ho trovato quel masso al centro della carreggiata. L'ho preso in pieno, ho visto i pezzi della mia auto che volevano a ogni parte. Non so come sono riuscito a reggere il volante. Io e Giuseppe siamo riusciti ad aprire le portiere e a correre verso il guard rail. Poi ho visto arrivare la Golf, ed è successo il disastro. Quei delinquenti che hanno lanciato il sasso? Vorrei che provassero per tutta la vita il dolore che hanno provocato negli altri». [f. mil.] L'auto di Natale Gioffrè dopo l'incidente