Con i barboni sulla strada una prigione senza sbarre di Giorgio Boatti

Con i barboni sulla strada una prigione senza sbarre LUOGHI COMUNI di Giorgio Boatti Con i barboni sulla strada una prigione senza sbarre 'mm I in settimane co^ me queste, quando le città bai si svuotano e ì media raccontano del «grande esodo» verso le locahtà di vacanza, che gli «invìsibiU» si lasciano vedere. Si stagliano, distaccandosene, da queUe gradinate, da quei ponici, da quei sottopassaggi, coi quah, nei giorni normali, sembrano fare corpo unico notte e giorno, pochi cartom a far da giaciglio e casa. Sotto Ferragosto non ci sono più equivoci possìbih: i pazzi senza casa non possono più essere scambiati con chi normalmente passa loro accanto gesticolando animatamente e parlando forte (...nel microfono del ceUulare). QuelU che ora rimangono, e vagano come d sohto per vìe e piazze delle nostre città, parlano con chi non li può ascoltare. Perché non c'è interlocutore, se non nei deliri deUa loro mente. Tutta queste gente compone U popolo che, con linguaggio fattosi pohticamente corretto, viene definito dei senza fissa dimora. Un tempo erano chiamati clochard (in francese clocher significa sìa zoppicare sia essere lento di comprendomo), mendicanti, barboni: denomìnazioni che sono scorciatoie per accomunare vite sotto le stesse sbrigative etichette. «Barbone poi! - racconta Marco, uno dì loro, non senza humour -. Io mi faccio la barba tutti i giorni, a secco perché non ho la schiuma da barba. Ma la gente siccome è troppo pigra per pensare se dà l'etichetta agU oggetti e aUe persone risparmia dì osservarli nel profondo...». Marco è stato un po' U Vìrgiho che ha accompagnato Federico Bonadonna, autore àiln nome del barbone. Vite di strada e povertà estreme in Italia, nel suo viaggio, durato dodici mesi, neU'ìnfemo deUe redtà più marginali e nascoste deUa Roma del post-gìubfieo. Ora, a pochi anni dì distanza daUa prima pubbbeazione, ritoma una nuova edizione di questo libro forte e belUssìmo,, denso di emozioni, retto su un'approfondìta analisi antropologica e sociologica, costruito sulle testimonianze dirette rese daUe figure indimenticabiU che lo popolano. Un armo vissuto suUa strada, in condizioni di marginalità estrema, equivale mediamente a cinque anni trascorsi in condizioni di normalità. Dunque da quando Bonadonna ha concluso la sua impegnativa ricerca, per Marco, per Chicca, per Elvio - per le tante altre vite che sì raccontano neUe pagine dì questo libro non sono trascorsi pochi anni ma un quarto di secolo. Infatti, scrive l'autore neUa nota aUa seconda edizione, «la maggior parte dei protagonisti di questo libro sono morti... la strada tritura il sistema nervoso, rende difficili le azioni più elementari, immette l'indivìduo in una sorta di prigione senza sbarre da cui è impossibile evadere con la sola forza dì volontà personale senza appositi sostegni». I dettagU che emergono ddle testimonianze suUa vita in strada spazzano via molto degli stereotipi che, almeno un tempo, dipingevano U clochard come un antesignano deUa libertà assoluta, pagata in proprio e subito con qualche accettabfie privazione. Qui invece, nel popolo in contìnuo aumento anche in Italia dei senza dimora, angoscia e terrore si saldano in una concatenazione quotidiana. La paura è la compagna inseparabile di ogni notte: «Chicca, una donna che ha vissuto sulla strada più di dieci anni, ha dichiarato di non aver mai dormito di notte, se non per brevissimi ìntervalU e sempre a intervalli distanziati l'uno dall'altro da attività quali fare U caffè, ascoltare la radio, spazzare la strada attorno a sé, riordinare ì propri oggetti... diceva di non riuscire a dormire per U terrore di essere aggredita o derubata, più dì una volta hanno dato fuoco ai suoi cartoni e l'hanno picchiata». Racconti andoghì anche dal vecchio John, detto l'irlandese, sdvatosi per miracolo quando dei ragazzi hanno dato fuoco aUe sue coperte. Da aUora dorme di giorno, davanti aUe chiese e comunque solo dove c'è un continuo, protettivo flusso di gente. Anche U giovane AquUa è stata aggredito mentre dormiva: U ha avuto la sua prima crisi epilettica e da aUora cerca auto abbandonate dove rifugiarsi. E' chiaro che esperienze di questo tipo, comuni ai senza dimora, condizionano con impatto fondamentale il senso del tempo. La privazione del sonno che protratta nel tempo è una vera e propria tortura, responsabfie di alterazioni psichiche e di aUucinazioni visive e auditive, insegna d veterani deUa strada a far tesoro degh attimi di tranquillità che possono venire loro incontro: «Lo stUe - dice uno di loro - è saper utilizzare quei pochi secondi di pace che ti capitano ogni due o tre giorni. Prendere quei secondi e strizzarli, togliere tutta la pace fino a lasciarli come carta straccia. Tre secondi ogni due mesi? Bene, ma che siano tre secondi intensi, che ricaricano le batterie...». E' per questo che U tema. prioritario su tutto U resto, di una pohtica socide per i senza dimora è creare posti di accoglienza notturna: «un luogo asciutto, eddo e protetto a tutti coloro che ne facciano richiesta. Poi - aggiunge Federico Bonadonna che, oltre a insegnare aUa Sapienza, dirige l'efficiente unità organizzativa Emergenza sociale e accoglienza del Comune di Roma ci si potrà permettere fi lusso di disquisire sulle tecniche di accoglienza». O interrogarsi sulle cause e suUe terapie con cui fronteggiare U progressivo incremento dei senza fissa dimora. Poiché non bastano più le tradizionali e stereotipate risposte fomite dai servizi sociah aUe vecchie povertà. Qui si è davanti a un mutamento radiede deUo scenario, irrompono nuove emergenze, nuove emarginaziom. Vengono alla luce situazioni - quaU quelle di madri con figU minori a carico che vivono in strada che sembravano del tutto scomparse, qui da noi, da almeno un secolo e che invece stanno ripresentandosi sempre più spesso. «Vivere suUa strada - scrive Federico Bonadonna - è una delle peggiori torture che l'essere umano possa subire». Le risposte, davanti a questi scenari, sono molteplici e come ricorda U sindaco di Roma Walter Veltroni neUa sua prefazione d volume s'affidano articolatamente all' intervento di molti soggetti, dalle istituzioni d volontariato, d cittadini. Ma, prima fra tutte, viene la garanzia, per tutte queste esistenze, di «avere dei diritti». Che nessuna scelta di vita può indurre a disconoscere, a canceUare. pboatti@venus.it In giorni come questi, quando il grande esodo svuota le città, «gli invisibili» si lasciano vedere: un viaggio nelle «povertà estreme in Italia», un anno nelle realtà più marginali e nascoste della Roma del post-giubileo Federico Bonadonna In nome del barbone. Vite di strada e povertà estreme in Italia pref. di Walter Veltroni, Derive/approdi, pp. 220,614.50

Persone citate: Bonadonna, Federico Bonadonna, Walter Veltroni

Luoghi citati: Comune Di Roma, Italia, Roma