La Telefonovela del Quartierino di Massimo Gramellini

La Telefonovela del Quartierino La Telefonovela del Quartierino caso Fazio tra Goethe e Vanzina DALLA PRIR/tA PAGINA Massimo Gramellini banca Antonveneta (appetita dagli olandesi) e a tante altre belle cose, sostenuti in incognito dal governatore Fazio, che pur di tenere lontano lo straniero decide di sacrificare la sua quiete (qualcuno dice la sua anima) per conservare intatta la propria influenza sul Paese, che i beneficiari del suo agire avevano, come Mefistofele, messo per primi in discussione. Quello che altrove sarebbe un dramma di titaniche passioni rivela subito l'italica tendenza a deteriorarsi in bisticcio fra comari ossessionate da pettegolezzi e complessi di inferiorità. I sogni grandi e terribili che agitano il racconto si perdono dentro i soliti dialoghi da avanspettacolo, smozzicati e contorti, spesso grotteschi, talvolta irresistibili come un canovaccio di Totò. TONINO (Fazio Antonio, governatore della Banca d'Italia. Gh altri personaggi lo chiamano anche Numero Uno o Number One, come nei film di James Bond. In scena indossa una quantità imprecisata di panciotti e un carattere tormentato e incline al sospetto, che al telefono lo induce a cospargere le frasi di puntini di sospensione). E' il fratello ciociaro di Faust, simbolo dell'uomo in cammino verso la redenzione. L'intellet,tuale che, dopo una vita di studi., sente franare le certezze e accetta di vendere l'anima a Mefistofele (Fiorani Gianpiero, detto Gianpi, vedi sotto) pur di riavere la giovinezza, incontrare la sapienza e consolidare il potere. Alla fine, nell'opera di Goethe, la pietà divina riconoscerà a Faust il desiderio di bene che era stato all'origine di tanto peccare. Fondamentale si rivelerà l'intercessione di Margherita, la ragazza che lui aveva condotto alla foiba, qui interpretata dalla moglie Cristina, ma solo fino a un certo punto, perché lei non impazzisce per niente. La prima battuta che Faupt Fazio rivolge a Mefistofele è ;onfia di trepida titubanza: «Ti io svegliato...?». Ma la seconda già s'inabissa nel cuore del dramma: «Va beh, va beh... allora ho appena messo la firma eh...». La Banca Popolare può scalare l'Antonveneta, ma non c'è entusiasmo nelle sue parole, solo l'eco dell'ineluttabile. Sia rimorso o semplice imbarazzo, dinanzi all'ombra diabolica Faust non riesce a sentirsi a suo agio, mai. Ha paura di essere intercettato, o anche solo di essere visto in sua compagnia: ((Allora l'unica cosa passa come al solito dietro di là.... dal retro... sì sempre sempre guai guai.... guai sempre, dietro allora...». Teme soprattutto che l'altro esplori il terreno accidentato dell'imprudenza e per questo cerca continuamente di ammansirlo: «Stai tranquillo, stai sereno, calma calma... A quelli (i controllori della Consob ndr) ci penso io... Ma che colpa tua, vabbè... va benissimo... Non bisogna sbagliare nessuna mossa adesso... Tu vai avanti con quella cosa che... adesso non mi dire quello che... insommabiso;na andare avanti, ecco, va aene adesso, eh vabene?» Insomma, mica tanto. GIANPI (Fiorani, Gianpiero, presidente della Banca Popolare di Lodi poi Bpi, vuole impossessarsi di Antonveneta come Amelia del primo cent di Paperone). Fa il matto a freddo con tutti («io mi incateno!»), ma solo per spaventarli e indurli ad agire. Al telefono pianifica tali spostamenti di denaro che dopo una decina d'intercettazioni verrebbe il mal di testa a un ragioniere. Tendenza tipicamente italica a indentificare il proprio tomaconto col bene supremo della Nazione (è uno che ha cominciato a leggere Machiavelli, ma ha smesso appena si è reso conto che lo conosceva già). Mefisto Gianpi possiede al- meno tre maschere. Con Fazio usa quella del patriota. Dapprima insinuante: «Fossi in te. Tonino, la firmerei stanotte la cosa». Poi piagnone-riconoscente: «Tonino, io sono commosso, con la pelle d'oca, io ti ringrazio ti ringrazio. Tonino, io guarda ti darei un bacio, in questo momento, un bacio sulla fronte. So quanto hai sofferto, credimi, ho sofferto anch'io. Prenderei l'aereo e verrei da te, se potessi». Ancora pochi giorni prima telefonava a un amico: «Sono amareggiato col governatore. Il rapporto con lui mi ha solo danneggiato». Memorabile il suo promemoria a un assistente di Number One: «Devo piangere una cosa importantissima». Ma la frase che si sarebbe attirata gli sghignazzi di Montanelli è questa: «Caro Tonino, il Paese oltre a Gianpiero - ti saranno per sempre grati». Il Paese e Gianpiero: una cosa sola. La seconda maschera del Gianpi rimanda a Fouché, l'ex giacobino che si riciclò sotto Napoleone come ministro degli Interni, grazie al rapporto di fiducia instaurato con la moglie dell'Imperatore, Giuseppina. Quando telefona alla signora Fazio, Fiorani sciorina l'armamentario completo del vero amico. Compatendone il marito: «Poverino... E' talmente buono, è talmente buono, è talmente, talmente, sì». Poi librandosi nei cieli della poesia: «Tu, Cristina, sei il nostro aquilone. Noi possiamo tirare i fili, ma l'aquilone che deve volare alto sei tu». E atterrando infine sulla prosa: «Domani ti porterò il primo documento di versamento che t'ho fatto da.... mmh, da noi e poi da anche altri che saranno fatti su quel conto corrente di conto terzi, ricordi. Ma cambiamo discorso...». E con levità davvero diabolica si mette a parlare dell'intervento cardiaco che sta per subire la mamma di un sacerdote amico loro. L'ultima maschera, il Gianpi la indossa coi soci d'affari ed è quella del duro. Al finanziere Chicco Gnutti dice: «Noi siamo pronti con i bazooka. Gli uomini lavorano per paura, bisogna partire noi con le minacce». E a un interlocutore ignoto: «Ho augurato ieri davanti al giudice la morte di Geronzi (presidente di Capitalia, ndr). E' il cancro del Paese. Spero che mi ascoltino al telefono». Accontentato. SORA CRISTINA (Rosati Cristina in Fazio, casalinga per nulla disperata. Dietro l'aspetto da telespettatrice di Cucuzza si nasconde ima donna dai nervi d'amianto. Rispetto alla Margherita di Goethe, la trama le assegna un rapporto privilegiato con Mefistofele, che lei sembra governare con maggior piglio del marito). E' la vestale della Banca e del gran sacerdote ciociaro. «E' in gioco la reputazione di mio marito, di 40 anni di vita» dice a Mefisto Gianpi. E quando lui insinua: «Ma voghono farlo fuori, Cristina...», lei reagisce con la fermezza di carattere dei vittoriosi: «Lo so, stai tranquillo, stavolta guardo io... e tu lo sai...». Sottinteso: di cosa sono capace. La sua missione consiste nel rassicurare Gianpi di essere Gianpi, cioè il cocco di Tonino. Si assegna perciò il ruolo di garante gianpiana alla corte di Number One: «Ho detto a mio marito: va', perché tu, dico, mica mi puoi trattare così Gianpiero». Lei sola sa come trattarlo, ricorrendo a qualsiasi arma, anche le più vezzose: «Non mi vuoi più bene, Gianpiero.... Sono gelosa, gelosa... Adesso mi devi fare una promessa. Fino a domani devi stare zitto. Non parla (licenza ricucciana, ndr) con nessuno. Sei in una botta di ferro, tran-quil-lo... Io che fai, mi butto dal balcone domani?». Ovviamente no. ((Ascolta, Titanio mica l'hanno fatto già due volte... Ma guarda, io sono notti che non dormo ma stasera, chiamala pazzia, stasera sono molto tranquilla». Tranquilla e perb ossessionata dalla segretezza, anche più del marito: «In questo momento meno si parla con i telefoni e meglio è. Compriamoci due, tre, acquistiamo una decina di numeri, qual è il problema?» Che ve li hanno intercettati tutti, signora mia. MACCARONE (Ricucci Stefano, coniugato Falchi, odontotecnico miliardario che parla come l'Americano di Sordi: «Maccarone tu me provochi e io mo' me te magno». Compagno di cordata del Gianpi, forse impresentabile, sicuramente ruspante e quindi simpatico. Trent'anni fa avrebbe fatto l'attore con Risi e Monicelli. Adesso fa il finanziere con Gnutti e Fiorani: il declino dell' Italia, in fondo, è tutto qui). Le intercettazioni che lo riguardano hanno ridotto le barzellette di Totti a letteratura stucchevole per intellettuali. Fin dall'esordio: «Stanno a fa' i furbetti der quartierino». Segue monologo degno del Maccarone: «Ma quando uno deve seguì la strada maestra, p'annà a Napoli tocca piglia l'autostrada del Sole, nun è che tocca annà sulla Casilina, no? Eh? No, guarda, io vado al manicomio. Ma che, uno ha rubato? E' 'na robba incredibbile.... No, dice, er concerto. Ma che me ne frega a me de sto concerto, o no? Ma che è, na cosa penale?» E io mo' me la magno. FURBETTI DEL QUARTIERINO In Faust appariva l'Homunculus, qui un'umanità da Billionaire. C'è il Chicco Gnutti da Brescia che «abbiamo pure trovato un trucchettino bancario, perché con i pierini bisogna giocare da pierini», e al telefono usa lo stesso intercalare ispido del Tremonti satireggiato da Corrado Guzzanti. (Ricucci: «Eccoci». Gnutti: «Porca tr...». Ricucci: «Da oggi siamo ufficialmente concertisti». Gnutti: «Ma pensate, porca tr...». Un poeta. Poi c'è Falchi Anna, coniugata Ricucci, che manda al marito sms d'amore pieni di maiuscole (ma quelli sono, giustamente, fatti loro) e altri da vera ossessionata: «A mio fratello Sauro è scoppiata una gomma. Potrebbe essere un attentato?». Ci sono i politici che smentiscono di conoscere Ricucci e quelli che si limitano a non confermarlo. E due don Gigi, uno prete e l'altro senatore, tanto per confondere le acque. Ma c'è soprattutto Flavio Briatore, il manager con la faccia da capovillaggio del Club Med, che con Ricucci forma una coppia sensazionale di caratteristi, entrambi interpretabili da Christian De Sica. A un certo punto, proprio come in un film di Natale, Christian chiama De Sica: «Vorrei darti ima mano. Sto organizzando una cena, vieni? Ci sarà Aznar e inviterà anche Berlusconi e Galliani». Mancano solo Alonso, Zaparero e Ancelotti. E Moratti: come al solito non lo chiamano mai. Per Ricucci, Briatore è un amico multiforme. Una volta gli serve per andare a cena con Aznar, un'altra per diffidare la Ventura dal fare la sua imitazione a «Quelli Che». «Ho parlato con Simona», assicura il sollecito Flavius, «dovrebbe aver bloccato tutto». Tanto nessun sosia reggerebbe il confronto con l'originale. IL SALOTTO BUONO L'elenco dei nemici, in questa storia, lo stila quasi tutto Fiorani. Si va da Cardia, il presidente della Consob che non vuol dare l'autorizzazione alla scalata, «questi maledetti, è come ammazzarti col piede e poi schiacciarti, allora mettiamogli paura anche noi perché sono veramente stufo stufo stufo». Si prosegue con l'economista Guido Rossi e il già citato Geronzi, che non sta tanto simpatico neppure alla sora Cristina, che «non vado al funerale di sua suocera, perché ho paura che lui possa approfittare di Tonino». In genere tutto il cosiddetto salotto buono, gh eredi delle dinastie industriali che un tempo si stringevano intorno a Cuccia. In chiusura. Ricucci li gratifica di un altro monologo dei suoi: «Ma tu l'hai letta l'intervista di quel deficiente di Tronchetti Provera, stamattina?», chiede al sodale Chicco Gnutti, quello che «porca tr.» «E leggitela va, che parla de me e de te. L'intervista del dottor Tronchetti Provera, che loro sono il salotto sano... C'ha 45 miliardi de debbiti... Il salotto sano lui c'ha!». Sipario. Purtroppo si replica. Quello che in altri Paesi sarebbe un dramma di titaniche passioni da noi rivela subito la tendenza a deteriorarsi in italico pasticcio Dalle intercettazioni telefoniche Fazio appare come Faust. Fiorani è Mefistofele, Cristina Rosati Margherita Ricucci e Gnutti da film di Natale L'elenco dei nemici stilato dai nuovi raider è lungo: Cardia presidente della Consob, Geronzi e poi il «salotto buono» della finanza

Luoghi citati: Brescia, Italia, Lodi, Mefistofele, Napoli