Il soldato Ryan? Lo salva la scrittura di Francesca Paci

Il soldato Ryan? Lo salva la scrittura I SOLDATI INVIT/ SCONTARE» LA LORO GUERRA Il soldato Ryan? Lo salva la scrittura Francesca Paci A salvare il soldato Ryan ci ha pensato la scrittura. Ryan Alexander è un ex marine con alle spalle lunghi mesi di combattimenti tra Baghdad e Falluja. Un vero macho mede in Usa formato alla scuola militare dei duri e puri, i Marine Corps, l'unità speciale dell'esercito americano identificato dal motto «The few, the proud», pochi e orgogliosi. Ma il soldato Ryan è molto diverso dall'immaginario del Rambo a stelle e strisce. Compone versi. Tipo quelli intensissimi che ha appena inviato a Washington, «The cat in Iraq». Descrivono l'incontro tra il poeta armato e una gatta incinta che si avvicina guardinga in cerca di cibo e finisce per diventare ima presenza familiare nei lunghi giorni del bellicoso post-Saddam. Quasi un'amica, «questa creatura selvaggia, che potrebbe essere l'unico vero cuore e mente che l'America abbia conquistato». Gli Stati Uniti sanno che la campagna per la conquista del consenso delle popolazioni musulmane, lanciata da George W. Bush all'indomani dell'11 settembre 2001, è tutt'altro che vinta. Mentre il Pentagono studia l'exit strategy militare dall'Iraq, dove sono caduti oltre 1600 soldati, arriva una soluzione civile. Di National Endowment for the Arts (Nea), l'agenzia governativa per il finanziamento delle arti e della cultura fondata nel 1965 dal presidente Lyndon B. Johnson, ha m cantiere un progetto ambizioso: vuole trasformare i combattenti in scrittori. Si chiama «Operation Homecoming: Writing the Wartime Experìence», incoraggia le truppe e le loro famiglie a raccontare in prima persona l'esperienza della guerra. La forma non conta. Come il soldato Ryan, il caporale Paul Leitch ha spedito una poesia, il luogotenente Cbristophere Cohoes una serie di lettere indirizzate ai suoi due ragazzi, il comandante David R. Brown alcune pagine di diario. Alla scadenza del bando il materiale sarà raccolto e catalogato in un archivio nazionale. I testi migliori verranno pubbhcati in un antologia che potrebbe fornire la soluzione a tante domande ancora senza risposta. Può un marine, un professionista delle armi addestrato alle più sofisticate tecniche di controguerriglia, distinguere le sfumature del conflitto? E' possibile narrare la vita e la morte osservandole da dietro il mirino di una mitraglia? Dana Gioia, presidente del Nea e padre dell'iniziativa, ritiene che valga la pena provare «a dar voce a coloro che solitamente si percepiscono come muti». Alcuni riescono ad esprimere con poche immagini la carica adrenalinica della trincea che esaurito l'entusiasmo iniziale volge in ansia, l'incalzante paura di non poter tornare indietro. Come il sergente Michael Thomas: «Il nostro turno in Iraq era stato prolungato per mesi e finalmente la mia unità stava rientrando a casa. L'anno che pareva dovesse durare all'infinito era agli sgoccioli. Ci eravamo persi compleanni, battesimi, anniversari, la festa del Ringraziamento, Natale. Quando sbarcammo in Germania per cambiare volo e ripartire per gli States, capimmo perché avevamo smesso di pensare fino a quel momento. Scacciavamo l'idea che non avremmo più rivisto le nostre famiglie». Altri hanno bisogno di molte pagine, un discorso diluito quanto un ciclo di sedute dall'analista. Il colonnello Cbristophere Cohoes si mette a nudo nel carteggio con i figli, Cavan e il piccolo Crew che scopre i romanzi avventurosi di Mark Twain mentre il padre sperimenta in Iraq i misteri della realtà. L'angoscia prima: «Sto piangendo. Mi succede sempre quando penso ai bambini iracheni che muoiono e che noi dovremmo proteggere (..). Oggi sono sceso dall'elicottero nella mia base nel deserto e mi ha accolto una raffica di fuoco. Il tipo di raffica che ti fa serrare la bocca per paura che risucchi via ogni molecola del tuo corpo. Mi sentivo in babà del caso. Forse ero in un film di Steven Spielberg...». E poi il senso di tutto questo: «E' l'I 1 settembre 2004, una ricorrenza molto triste. Tre anni fa, 3030 americani sono stati uccisi da un gruppo di terroristi mediorientali. Spero che non lo dimenticherete, boys. Una delle vittime era il mio amico Bill, si trovava al Pentagono. Quel giorno è il motivo per cui mi trovo qui». L'attentato alle Torri Gemelle di New York. Ecco la madre di tutte le emozioni, appena accennata come in una pièce di Anton Cecov, dove le ragioni del dramma che si consuma m scena restano sullo sfondo, remote, sbiadite nella memoria ma non rimosse. «Three Thousand Antoniettes» s'intitola il lavoro del capitano William J. Tori. Tremila Antoniet- I testi migliori saranno raccolti e pubblicati: con poesie, rap e lunghe confessioni i marines cercano di scacciare l'orrore di morte Marines In Iraq: un'agenzia governativa lancia l'iniziativa «Racconta la guerra»