«Così libero le donne dall'infibulazione»
«Così libero le donne dall'infibulazione» !L mWiCO NATO A MOGADISCIO IM ITALIA DA TREWFAi^i, VIVE E LAVORA A FIRENZE «Così libero le donne dall'infibulazione» Il ginecologo somalo che esegue interventi di ricostruzione sulle mutilazioni rituali. Novanta interventi in cinque anni, 200 casi seguiti anche da psicologi: «Si devono superare ostacoli culturali e tabù» Antonella Mariotti Fatima aveva cinque anni e ricorda che intomo a lei c'era una grande festa. Anche Amina, ha visto il sangue tra le gambe, ha avvertito il dolore, ma dopo ha potuto giocare con le bambine più grandi, e in fondo ne era contenta. Adesso sono donne «chiuse», cucite. La loro vagina quasi non esiste più. Soffrono, per il ciclo mestruale e in bagno, ogni volta, è un tormento: sono state infibulate, mutilate. «Purtroppo quello che spesso i medici occidentali non comprendono è che la prima cura è l'accoglienza. Sono donne psicologicamente provate, devono combattere contro la loro stessa cultura, contro quello in cui hanno sempre creduto. Cioè che l'infibulazione fosse una cosa "giusta". Nel centro di Firenze cerchiamo di aiutarle prima psicologicamente, poi passiamo all'intervento di deinfibulazione». Omar Abdulkadir, 52 anni, è il ginecologo somalo, responsabile del «Centro di riferimento regionale contro le mutilazioni genitali femminili», lo stesso medico che suscitò polemiche l'anno scorso per aver proposto il «rito alternativo», simbolico «per evitare le mutilazioni totali, perché è difficile estirpare questa tradizione. Nessuno però ha parlato del lavoro che facciamo, di quante donne abbiamo aiutato a riprendere una vita "normale"». All'ospedale Careggi di Firenze, dove lavora anche la moglie di Abdulkadir, Lucrezia Catania, in cinque anni sono state deinfibulate in 90, e altre 200 sono seguite da ginecologi e psicologi per patologie causate dall'infibulazione. Ogni armo al centro arrivano 550 donne per una visita, e non solo somale-italiane, anche inglesi, svedesi e dal Nord Africa. «Quando chiedo a una donna deinfibulata cosa ha provato dopo l'inter¬ vento - spiega il ginecologo - mi dicono "libertà". Questo è il nostro obiettivo, renderle libere dalla sofferenza. Abdulkadir, da trent'anni vive in Italia dove si è laureato in medicina e specializzato in ginecologia, ha sette sorelle. «Fin da ragazzo vedevo un via vai di persone a casa mia, portavano bambine che venivano infibulate: anche cinque o sei in un giorno. C'erano cugine, parenti di qualsiasi grado, che sottoponevano le fighe al rito e poi grandi feste. Ma ricordo anche la sofferenza di queste piccole, che aiutavo nei due giorni successivi, per che non si potevano muovere». Così Omar Abdulkadir dopo il liceo scientifico «fatto come un ragazzo italiano, ho studiato Dante e il latino» decide di diventare ginecologo «Mi sono detto "devo fare qualcosa" ma a quei tempi dice sorridendo - se uno scegheva una specializzazione come quella era visto un po' male». E poi in Italia inizia un lavoro lento e difficile, avvicinare le donne parlare con loro, e soprattutto capire senza respingere. «Sono stato il primo negli Anni Ottanta a fare domande alle donne, parlavo la loro stessa lingua e questo le rassicurava. Mi raccontavano del dolore durante le mestruazioni, delle emorragie e dei tagli a cui si sottoponevano la prima notte di nozze, per avere rapporti. I miei colleghi italiani non sapevano come affrontarle». Adesso alcune si rivolgono all'ospedale per il piccolo intervento, ma sono ancora poche in Somalia, e anche in Italia dove la vergogna, e il timore di giudizi, ostacola il rapporto con i medici. «L'accoghenza è il primo passo insiste Abdulkadir - ci sono ginecologi italiani che non riescono a capire che per una somala è difficile accettare che ima cosa di cui era orgoghosa, che quello che in cui credeva, adesso è considerato una barbarie. E' uno choc, anche se soffre e viene in ospedale a parlarne. La decisione per la deinfibuazione deve partire soprattutto dalla donna senza imposizioni. E' lei che deve chiudere il cerchio del dolore». Così all'ospedale di Careggi arrivano somale accompagnate anche dai mariti, «in accordo con loro chiedono la deinfibulazione». Le nubili, spesso non sono pronte, spiega Abdulkadir: «Mi dicono "ma se lo faccio poi chi mi sposa?"». La deinfibulazione eseguita nel centro fiorentino non si limita all'* apertura», ma viene eseguito anche un piccolo intervento ricostruttivo della vagina, ima sorta di plastica che ricostruisce in parte le mutilazioni. Tutto questo preceduto da un trattamento psicologico, in collaborazione con gli specialisti dell'Università di Firenze. ((Anche se è difficile fare accettare a una ragazza somala il colloquio con lo psicologo» spiega il ginecologo, che collabora anche con una struttura equivalente a Boston «ma lì nessuno parla la loro lingua e così a volte li aiutiamo». Prevenzione? Inizia dall'ecografia di una donna infìbulata e incinta: «Quando scopriamo che partorirà una bimba iniziamo subito i colloqui con la madre e con il marito. Le bambine nate con noi non verranno mai toccate». «La prevenzione? Se con l'ecografia vediamo che una donna è incinta di una bimba iniziamo con il dialogo per evitare il rito alla piccola» L'Africa sub-sahariana, da Est a Ovest, è l'area di maggiore diffusione: Sudan, Somalia e Mali ma anche gran parte dell'Africa occidentale, l'Egitto, le zone meridionali della penisola araba, e più raramente alcune zone dell'Asia sud-orientale.
Persone citate: Abdulkadir, Antonella Mariotti Fatima, Lucrezia Catania, Omar Abdulkadir
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