Nell'antologia dei grandi poeti 43 nomi, ma qualcuno manca

Nell'antologia dei grandi poeti 43 nomi, ma qualcuno manca Nell'antologia dei grandi poeti 43 nomi, ma qualcuno manca Gian Luigi Beccaria L/ ANTOLOGIA degh ultimi quarant'anni di poesia itabana a cura di Enrico Testa è come tutte le antologie basata su una meditata, ma evidentemente personale, interpretazione storico-critica. Testa parte dagh Anni Sessanta, apre con «Gh strumenti umani» dì Vittorio Sereni e con il «Congedo del viaggiatore cerimonioso» di Giorgio Caproni, usciti nello stesso anno, 1965. Il punto di partenza non è arbitrario. Rappresenta un evidente discrimine. Da allora è cambiato qualcosa nella poesia, ci sono alcuni punti che da quel momento in poi la caratterizzano, e sono: 1) lo stabilizzarsi di un linguaggio fortemente parlato; 2) la fuga dell'io, cioè la perdita di centralità del soggetto poetante; 3) il rapporto con le grandi questioni del pensiero contemporaneo (il nichilismo ad esempio); 4) il tema del ritomo delle ombre, degh scomparsi. Il codice lirico è entrato in crisi. Il verso operistico «Udite or tutti del mio cor gh affarmi» non vale più da insegna di un costume lirico nazionale. I poeti scelgono di trasmettere esperienze concrete piuttosto che comunicare deUe «verità». La maggior parte di essi preferisce reinserire la poesia in un discorso quotidiano e «umano». An¬ che linguisticamente assistiamo a un cambio. Costrutti e termini del parlato entrano nel verso parallelamente a una maggiore «fedeltà» alla vita. Decadono rarefazioni o tensioni ver^o l'astratto. «Ciao, Subhm™ scriverà Giudici. Indicativo è il caso di Giorgio Caproni. Con il «Congedo» si registra un indicativo incremento dell'oralità, di modi colloquiali che tendono a un «quasi parlato»; «all' enunciazione diretta del lirismo» si sostituisce «un'impaginazione del discorso di stampo teatrale» che mette in rilievo punti di vista diversi, battute, repliche, in un nuovo recitativo drammatico spesso affidato a controfigure» Con gli Anni Sessanta lo stesso Mario Luzi apre una sua nuova fase, lasciandosi alle spalle le suggestioni analogiche del codice ermetico per rivolgersi alle concrete forme del mondo. Pure per Andrea Zanzotto quegli anni segnano una svolta. Con le «IX Ecloghe» (1962) il repertorio lessicale si apre, pur entro schemi iperletterari, ai termini tecnologici, scientifici, o quotidiani. Rinnovatore della poesia italiana, a partire dalla «Vita in versi» (1965), è Giovanni Giudici, con il suo lessico e la sua sintassi che simula artificialmente il parlato. Frantumi di conversazione s'innesteranno pure nei testi dell'avanguardia, da Pagliarani a Sanguineti, il quale convogherà nelle raccolte deh' ultima fase, con movenze dialo»iche e drammatiche, un autoMografismo esphcito. Fatti minimi, episodi familiari, ricordi, scorci personah sono le situazioni più frequenti nei versi senza lirismi di Luciano Erba. Estranei pure alle modalità del lirismo sono due poeti pur cosi diversi come Cacciatore e Raboni. Nell'antologia di Testa trovano evidentemente il posto che loro compete i dialettali maggiori, Baldini, Loi, Scataglini, ma non Biagio Marin di «A sol calao», 1974; e chi usa tre lingue diverse (itabano, latino, dialetto) come Fernando Bandini e Michele Sovente. Testa, dicevo, mostra le sue preferenze personah, che vanno per quelli che mettono liricamente in scena una realtà ricca di particolari concreti, tangibih, la quotidiana esperienza. Ama molto però anche i poeti dalla dizione «assoluta», che si nutrono di forti concentrazioni formali, che credono nell'alterità e nell'autonomia della parola poetica (De Signoribus, Viviani, Ortesta,Anedda). In tutto. Testa ospita nell'antologia quarantatre poeti. Non sono pochi. Ma ne avremmo voluto ancora. Ce ne sono di meritevoli che qui non compaiono. So bene che comporre un'antologia comporta un'operazione di crudeltà (legittima), poiché si deve scegbere, escludere, limitare gh esempi. Quando la scelta dei testi per necessità di spazi è esigua (nel caso dell'antologia di Testa troppo esigua) e le esclusioni dei poeti non marginali sono vistose, verrebbe voglia di protestare. Ma, si sa, 'antologia è un «genere» consolidato, che si adegua al punto di vista, al gusto del compilatore, il quale ha tutto il diritto di rilevare di più certe correnti, certi temi, certi fili di continuità, e mettere la sordina ad altri, o farli tacere. C'era da aspettarsi che mancassero dei nomi, non trovo David Maria Turoldo, non vedo Bartolo Cattafi, Alfredo Giubani, Nelo Risi, Nanni Cagnone, Camillo Pennati, Giancarlo Majorino, Cesare Greppi, Giorgio Luzzi, Stefano Dal Bianco^ Gian Piero Bona* i Jolanda Insana, 'Fabio Pusterla, non compare Bigongiari («Antimateria», 1972), non è incluso Montale di «Satura», 1971. Ma un'antologia, scrive il curaf re, «è soltanto un campionario e l'espressione di un'opinione: nient'altro». Opinione comunque che Enrico Testa ha espresso in una Introduzione e in densissimi «cappelb», esemplari per oggettività di analisi, splendidi per finezza e acutezza di giudizio critico. Vedi, per tutte, le pagine che introducono Sanguineti, o Caproni, o Zanzotto, di rara eccellenza. Ne risulta, più che un'antologia, innanzitutto un gran saggio di critica stilistica e analisi tematica, corredato di una esemplificazione (ahimè scarna) di testi. Gli ultimi quarant'anni di poesia italiana a cura di Enrico Testa è, come tutte le raccolte di questo tipo, basata su una meditata, ma evidentemente personale, interpretazione storico-critica. Ne consegue che ci sono autori meritevoli che qui non compaiono e viene voglia di protestare Nell'antologia di Testa, sono di rara eccellenza le pagine che introducono Sanguineti, Caproni e Za nzotto (nelle foto a partire da sinistra) ^. "mm ESTATE IN ROSA A cura di Enrico Testa Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000 Einaudi, pp. XXX-436,217 P O E S