Brasile, ancora un anno alla stella Lula per evitare il tramonto

Brasile, ancora un anno alla stella Lula per evitare il tramonto AL 60 PER CENTO MA IN CALO LA POPOLARITÀ' DEL CAPO DI STATO Brasile, ancora un anno alla stella Lula per evitare il tramonto Gli scandali, che hanno coinvolto il suo partito, scuotono il Palazzo Il presidente si difende: «Scavate pure, su di me non troverete nulla» È tornato sullo scandalo corruzione che ha investito la maggioranza ieri il presidente brasiliano Luiz Inàcio «Lula» da Silva davanti a una delegazione di giovani dell'Unione nazionale degli studenti (Une) ricevuti nel Palacio do Planalto. «L'inchiesta deve andare avanti - ha detto Lula - ma io non ne sono coinvolto». L'Unione degli studenti ha annunciato una manifestazione per il prossimo 16 agosto per chiedere una riforma politica e un finanziamen¬ to pubblico e trasparente della prossima campagna elettorale. Sarà una manifestazione con migliaia di giovani, annunciano gli organizzatori. «In questo momento - ha chiarito il presidente dell'Une, Gustavo Fetta - non esistono comunque prove che Lula sia coinvolto in questo schema di corruzione». Lo stesso Lula ieri l'ha ribadito: «Possono scavare, scavare, scavare, ma non troveranno mai niente nel Palacio do Planalto». personaggio Mimmo Candito 9 volev UANDOi due poliziotti gli fecero segno di alzare le braccia perché volevano perquisirlo, pochi minuti prima che lui s'imbarcasse sul «ponte aereo» per Brasilia, quel passeggero in grisaglia e cravatta d'ordinanza non dette mostra di preoccupazione. Lui era il braccio destro del capo del Partido dos Trahalhadores, cioè del partito di governo, il partito di «Lula» da Silva presidente della Repubblica; il «malloppo» gli pareva ben nascosto. Erano 1000 banconote da 100 dollari, un piccolo tesoro che aveva ammassato a mazzette compatte in un involucro di plastica e ch'era finito dentro le sue mutande. Non c'era da allarmarsi, le mazzette potevano sembrare - a palparle sotto i'vestiti - strati d'adipe sulla sua pancia e sui fianchi. Ma si sbagliava. I poliziotti del check-in di Sao Paulo s'insospettirono di quelle mutande, rigonfie non per invidiabili dotazioni anatomiche, e nonostante le sue proteste lo portarono in una saletta appartata. Finì come si può immaginare, con «A Foiba» e r«Estado de Sao Paulo» che tra sbuffi d'ironia raccontarono la storia delle mutandecassaforte, e sanzionarono con legittimi moralismi il malcostume di certa classe politica. La storia, a leggerla cosi, farsesca, maldestra, potrebbe anche sembrare soltanto un piccolo episodio di sventatezza nel sottobosco del potere. Ma il portaborse acchiappato dalla polizia con gli slippini rigonfi di appendici sospette è appena 1 ultimo d'una serie di scandali che stanno intaccando le speranze di un nuovo mandato per Lula. Quando fu eletto Presidente, tre anni fa, Luiz Inàcio «Lula» da Silva, ex-sindacalista, ex-rivoluzionario, ex-capopolo di un minaccioso assalto al potere già tentato per tre inutili tornate, la sua campagna puntava sue due elementi di forte presa popolare: uno era il programma «Fame Zero», la fine cioè della lunga catena di disperati che campano e muoiono con meno d'un real al giomo; e l'altro era l'impegno nella lotta contro la corruzione e le ingiustizie d'una società spaccata in due. Il Brasile è sì la quarta più popolosa democrazia al mondo, e ha la più alta concentrazione propietaria di capitale d'impresa; però è anche terzo nella classifica dei Paesi dominati dagli squilibri sociali: appena 11,5 per cento dei padroni di terre possiede il 50 per cento della superficie coltivabile, e più del 50 per cento del reddito nazionale finisce nelle tasche d'una striminzita quota - meno del 10 per cento dell'intera popolazione. Il messaggio di Lula si rivolgeva, naturalmente, all'altro 90 per cento del Brasile e la sua credibilità poggiava sulla storia personale di un uomo che, partito da scugnizzo di strada e lustrascarpe a caccia di qualche centesimo di benevolenza, s'era poi costruito una vita di coerente impegno sindacale a difesa dei diritti del lavoro e delle ragioni dei diseredati. Ma poiché i numeri non bastano a vincere, il suo messaggio voleva parlare anche a quelli che fanno la storia del Paese: e a questo 10 per cento di brasiliani (e al mondo della finanza intemazionale che gli sta alle spalle) Lula aveva promesso modernizzazione del Paese, riduzione dell'inflazionato apparato statale, liberalizzazione dell'economia. Un rivoluzionario moderno, insomma, uno di quei leader capaci di guadagnarsi consenso sfruttando la forza d'un progetto che chiude con il passato, ma non ne distrugge i capisaldi né le garanzie. Lula vinse e dopo tre anni, il 60 per cento dei brasiliani crede ancora nel suo programnma e in quel progetto. «Fame Zero» resta certamente un sogno lontano, ma intanto l'aumento a 115 dollari del salare minimo, e il sussidio mensile di 25 dollari per le famiglie dei più poveri, hanno tirato via dalla miseria e dalla disperazione alcuni milioni di brasiliani. Insoddisfatta, sospettosa delle politiche economiche di contenimento del deficit e di controllo della spesa pubblica, invidiosa del trascinamento populista del presidente venezuelano Chàvez, la sinistra del suo partito e del governo gli ha tolto la fiducia, considerandolo un traditore per «la troppa attenzione» accordata al Fmi e alle centrali della finanza intemazionale. E Lula deve navigare a vista, tenendosi stretto l'appoggio che gli danno un paio di partiti che con la sinistra e con le rivoluzioni hanno davvero poco a che fare. Però quel 60 per cento di consensi si mostra in un trend preoccupante soprattutto per gli scandali che stanno investendo il governo e lo stesso Partido. Da un video trasmesso con maligna frequenza da «Reda Globo» e dalle tv locali, dove si mostra un manager delle poste che arraffa una pingua bustarella, è venuta fuori una cascata di accuse e di veleni che il manager ha fatto cadere addosso al Partido, accusando che quel denaro fa parte d'una catena di pingue mance (un mensalao di 30.000 reais, quasi 13 mila dollari) che attraverso le imprese statali vengono pagate a folte schiere di deputati, perché votino a favore del governo federale di Brasilia. E dal «mensalao» si è poi passati a buttare alla luce del sole un intreccio di traffici e corruttele che schiacciano il partito di Lula nella stessa cornice di malaffare che tanto disgustava la parte più povera del Paese. Lula ha fatto dimettere il segretario del Partido, Silvio Pereira, il tesoriere, Delùbio Soares, il suo stesso capo di gabinetto, José Dirceu, l'intero direttivo, e una dozzina di alti funzionari statali. E' stato un repulisti che sui giornali ha fatto parlare di Tangentopoli, e ha rimesso in circuito il nome molto apprezzato in America Latina di Antonio Di Pietro. La via brasiliana al riformismo si trova ora a un crocevia drammatico, le scelte che saranno fatte vanno ben oltre la rielezione di Lula nel 2006; vi stanno dentro anche le speranze d'un continente incapace ancora di costruire un progetto che sappia sottrarsi alla tenaglia di sempre, quella che da una parte ha il populismo e dall'altra la tentazione del golpe. Il destino di Lula peserà molto su questo futuro. Il programma dell'ex sindacalista durante la campagna presidenziale prevedeva l'obiettivo «fame zero» e la lotta contro la corruzione Il presidente Luiz Inàcio «Lula» da Silva circondato dagli operai di un campo petrolifero nello Stato meridionale dj^Rio Grande do Sul

Persone citate: Antonio Di Pietro, José Dirceu, Luiz Inàcio, Mimmo Candito, Palacio, Silvio Pereira, Soares