Londra-Torino, la guerra santa del fratello «Roger»

Londra-Torino, la guerra santa del fratello «Roger» ~-~——. ,. , . ,,—~~-— ' m .' : ■v : n '■'l : ' . '. ' ., " - ; : : l' ' ' - ' : ■.—^ : '—-———"-—~--^-~-~r GIÀ NEL 2000 ESPONENTI DI AL QAEDA AVEVANO COSTRUITO UNA TESTA DI PONTE NEL NOSTRO PAESE. CON LA FIRMA DI BIN LADEN IN PERSONA Londra-Torino, la guerra santa del fratello «Roger» Le vecchie carte delle indagini italiane portano ai luoghi delle nuove inchieste reportage Massimo Numa inviato a LONDRA VIAGGIO a ritroso nel tempo, dei nostri investigatori, per cercare eventuali collegamenti tra la Rete terroristica inglese, passata all'azione qui a Londra, e quella italiana, apparentemente in sonno. Guardando nelle vecchie carte - non poi tanto vecchie - si apprende che, nel 2000, esponenti di Al Quaeda (quella vera, prima ancora dell'I 1/9), con base a Londra, avevano costituito una testa di ponte in Itaha. Precisamente a Torino. La sezione antiterrorismo di Scotland Yard aveva effettuato un raid all'interno di una libreria islamica, sede di un'associazione pohtica, in Beethoven Street, a Kilbum, vicino alla caserma di Paddington, dove è ora rinchiuso il bomber somalo catturato a Birmingham. Era gestita da un gruppo di estremisti egiziani, legati alla moschea dell'imam di Tottenham, quell'Omar Mohammed Al-Bakri, tuttora in Inghilterra, che ha esaltato proprio in questi giorni i «martiri del 7/7». Furono sequestrati centinaia di documenti, quasi tutti registrati sugli (allora) diffusi floppy disk. Infine una serie di messaggi autografi dello stesso bin Laden, già nel mirino per attentati contro gli Usa in Africa e in Arabia Saudita, ma non ancora considerato il nemico pubblico numero 1. Lettere in cui il miliardario saudita, rifugiato tra le montagne dell'Afghanistan, dava istruzioni ai fratelli in occidente. I jihadisti arabi erano dunque in stretto contatto con i terminali europei della Rete del terrore, tanto che - addirittura nel lontano 1998 - la Digos di Torino, guidata dai questori Antonio De Sanctis e Giovanni Sarlo, aveva arrestato, in un covo di via Tonale 27, un terrorista, Misbah Ah Hassanayn Azab, alias Roger Naji, reduce dal tentativo fallito di far saltare l'ambasciata Usa in Albania. I coinquilini dell'uomo, egiziani e marocchini, furono processati e assolti; nel 2004, con un risarcimento dallo Stato italiano, vittime di accuse definite «inconsistenti». In un garage, sempre in via Tonale 27, fu trovato un arsenale e un tesoro (lingotti d'oro e armi, compresa una Uzi con silenziatore), ma non fu dimostrato, sotto il profilo giudiziario, il collegamento tra la cellula che viveva in un appartamento affittato da un'italiana sposata con un arabo, e il garage sotto casa. Poteva entrarci chiunque, obiettarono i difensori. Peccato che «Roger», il tizio finito in via Tonale, fosse stato direttamente arruolato dagli uomini che reclutarono i kamikaze per l'attentato alle Torri Gemelle, e spedito a Torino per «tenerlo nascosto» un po' di tempo. Possibile? Lo hanno scritto, il 17 gennaio 2003, gli analisti del Wall Street Joumal,in prima pagina. L' 11/9 era passato e tutta la storia veniva letta in chiave diversa. E solo recentemente si è definitivamente accertato che l'imam di Francoforte che telefonò agli egiziani «torinesi» per raccomandargli di ospitare il sedicente Roger Naji, era nientemeno che Mohamed Hayar Zammar, 43 anni, siriano, cittadino tedesco. I suoi numeri di telefono furono poi ritrovati in un'agenda sequestrata nel box del condominio di Torino, dov'era l'arsenale. Zammar, arrestato in Marocco nel maggio 2002, fu affidato ai siriani ed è ora - per quanto si sa detenuto nelle carceri di Dama¬ sco, dove è stato più volte interrogato da agenti Usa. Zammar è oggi considerato una figura chiave della Rete. Era in Marocco, alla testa di una cellula di sauditi, decisi a far saltare le navi da guerra inglesi, a Gibilterra. Secondo i ricercatori deir«Investigative project», un centro di studio sul terrorismo islamico con base a Washington, fu il reclutatore di alcuni dei piloti suicidi dell' 11 settembre. In particolare, di Mohamed Atta, il capo del commando, e del marocchino Mounir el Motassadeq. Doveva far parte anche lui del commando, ma - all'aeroporto di Amburgo, un mese prima dell'I 1/9 - fu fermato per la sua appartenenza a gruppi radicali islamici. Zammar coordì- nava i centri di reclutamento europei per la Jihad. La figura di Atta emerse per la prima volta dalle intercettazioni, così come venne individuato l'indirizzo dell'appartamento di sette dei 19 piloti suicidi. L'affitto lo pagava un finanziere libanese, socio di Zammar. Gli analisti del Wsj precisarono che Zammar aveva «contatti con persone pericolose» e che, secondo documenti dei servizi tedeschi, il suo nome e due dei suoi numeri telefonici erano proprio quelli scoperti dalla Digos di Torino nel covo di via Tonale, «utilizzato dal membri della Jihad Islamica in Itaha». Recentemente, la donna itahana moghe dell'egiziano amico di «Rogera, disse, nel 2004, che non aveva mai sentito parlare di Zammar. «Non ricordo questo nome». Roger Naji disse alla polizia di avere 43 anni, il passaporto yemenita, ma di essere nato a Gaza. Scontati 22 mesi di carcere a Voghera, venne liberato e sottoposto a semplici misure di sorveghanza. Il 3 gennaio 2001 firmò per l'ultima volta il registro della questura, e sparì. Fu fermato lo stesso giorno da una pati iglia, durante un normale controlla, jid a bordo di una Mercedes nera nei pressi di Arcore. Con lui, Abdelkadir Es Sayed, al centro dell'indagine sulla cellula milanese di Al Qaeda. L'ex imam della moschea di via Quaranta, che parlava al satellitare con figure di spicco della Rete, morì in combattimento in Afghanistan, nel novembre del 2003. «Roger», dal telefono di casa della famiglia italo-egiziana telefonava spesso a Londra. Gh agenti dell'Antiterrorismo, che hanno come guida un esperto come il vicequestore Giuseppe Petronzi, conservano ancora le trascrizioni di quelle vecchie intercettazioni raccolte dall'MIS. L'indirizzo corrispondeva all'ufficio di Beethoven Street. A lui gh investigatori ingle¬ si erano risaliti attraverso le agende sequestrate a casa di Hani Youssef Al Sebai. Indirizzo: Halmet Garden 123, il quartiere musulmano di Shepherd's Bush. Così, emerge un nome di grande rihevo, nel cosmo della rete integralista, quello di uno dei promotori della Jihad. La sede, che era un centro d'incontro per gh oppositori del governo egiziano, ospitava la libreria e un ufficio. Osama Bin Laden non nascondeva i suoi programmi. Nelle carte sequestrate in Beethoven Street, scriveva ai fratelli che «bisogna concentrare gh sforzi al fine di uccidere, combattere, tendere trappole, distruggere ed espellere gh intrusi fino alla sconfitta». In particolare, americani e israeliani. L'Antiterrorismo italiano aveva scoperto che le teorizzazioni della Rete, che precedettero l'I 1/9, furono diffuse in anteprima nel nostro Nord Ovest, attraverso le moschee degli imam più radicali. Accadde a Milano, e anche a Torino. Solo dopo NI settembre s'è capita la storia: l'imam che telefonò agli egiziani torinesi per raccomandare Naji, aveva arruolato i suicidi di New York Dal telefono di via Tonale chiamava l'Inghilterra: Halmet Garden 123 il quartiere musulmano di Shepherd's Bush dove viveva un bomber fallito IL GIALLO »M* 'e*i ? •T*"***: