Il voto agli immigrati sotto la lente ci Pisano di Amedeo La Mattina

Il voto agli immigrati sotto la lente ci Pisano CALDEROLI OTTIENE DAL GOVERNO CHE VENGA ESAMINATA L'AMMISSIBILITÀ DELLA DELIBERA: «IL FEDERALISMO NON È ANARCHIA» Il voto agli immigrati sotto la lente ci Pisano Fini in Consiglio dei ministri: condivido lo spirito dell'iniziativa di Torino Amedeo La Mattina ROMA Il caso torinese del voto agli immigrati è arrivato al Consiglio dei ministri. A Palazzo Chigi ieri è andato in scena un botta e risposta tra Calderoli e Fini. Il quale considera «condivisibile» la decisione della giunta Chiamparino, alxfaeno nello «spirito e nelle intenzioni». A sbattere il caso sul tavolo del governo è stato il ministro leghista Calderoli che ha chiesto e ottenuto l'attivazione del ministro degli Interni per accertare se il Comune abbia oltrepassato le proprie competenze e invaso il terreno dello Stato. Dunque, se Pisanu dovesse riscontrare questa violazione, il Comune di Torino sarà invitato a correggere lo statuto, eliminando la norma. E cosa accadrebbe se Chiamparino non dovesse fare marcia indietro? «In tal caso - spiega il ministro per gh Affari costituzionali Enrico La Loggia - il governo dovrà ricorrere al potere sostitutivo previsto dalla legge 131 di attuazione della riforma costituzionale». La verità è che al Consiglio dei ministri la richiesta di Calderoli è stata accolta con freddezza. E non è un caso che al Viminale la questione viene liquidata con un «vedremo...». Ambienti vicini a Pisanu fanno notare che non c'è stata una discussione approfondita, anche perché non è stata portata una documentazione specifica, a cominciare dalla delibera «incriminata». Comunque verrà fatta una «istruttoria», che avrà i suoi tempi. E non è detto, dicono le stessi fonti, che il Comune di Torino sia nemmeno obbligato a trasmettere gli atti al governo. Freddezza dicevamo. Con Berlusconi che non ha proferito parola e Pisanu che si è limitato a prenderne atto. Mentre Fini e Buttighone hanno messo in chiaro che di questa vicenda non è possibi¬ le fare una «guerra di religione». Si sa che il ministro degh Esteri, nel 2003, è stato l'ispiratore di una proposta di legge (sottoscritta e presentata alla Camera, tra l'altro, da tutto lo stato maggiore di An) che provocò la reazione della Lega. «I tempi sono maturi disse Fini - per discutere di diritto di voto, almeno amministrativo, per gli extracomunitari che vivono, lavorano e pagano le tasse in Italia, e hanno un regolare permesso di soggiorno». Tuttavia ieri a Palazzo Chigi il vicepremier non ha potuto sottrarsi alla richiesta di Calderoli. Ma ha tenuto il punto sul piano politico. «Se il Comune di Torino è andato oltre la legge - ha premesso il leader di An - è giusto che il ministro degli Interni verifichi e in caso intervenga. Non facciamone però una battaglia politica, perché il caso non è pohtico, ma di competenze. Sapete come la penso in proposito. Ritengo che lo spirito e l'intenzione politica del Comune di Torino non siano sbagliate. Anzi le considero condivisibili». A sostenere Fini è intervenuto il centrista Buttiglione (il suo partito, l'Udc, a Torino ha votato a favore del voto agli immigrati). Anche per il ministro dei Beni culturali non si tratta di un caso pohtico su cui montare una campagna contro gli extracomunitari: «E' un argomento delicato - ha osservato Buttiglione - la questione va verificata nei termini di legge». Al confronto in Consiglio dei ministri non è intervenuta Stefania Prestigiacomo, la quale però successivamente ha fatto una dichiarazione in sintonia con Fini e Buttiglione. Per il ministro delle Pari Opportunità la decisione della giunta torinese «non ha legittimità costituzionale, ma rappresenta una provocazione interessante perché ripropone un tema che è sul tappeto da tempo»: «Personalmente ritengo.che chi lavora regolarmente nel nostro Paese e paga le tasse debba avere la possibilità di contribuire alle scelte della comunità locale in cui è legittimamente inserito». Calderoli, comunque, ha incassato la decisione formale del governo di attivare il Viminale. E ribadisce che quanto deciso a Torino non ha nulla a che fare con il federalismo. «Io - spiega il ministro delle Riforme - sarei l'uomo più febee della terra se la Costituzione dicesse che gli enti locali possono fare quello che ritengono più opportuno per la loro comunità. Ma la Costituzione di oggi non lo consente. Il federabsmo non è l'anarchia e la legge dice che possono votare solo gli italiani». La richiesta del leghista accolta con freddezza dai colleghi E al Viminale la questione viene liquidata con un «vedremo...» Il Carroccio insiste: l'atto è incostituzionale Immigrati nel mercato torinese di Porta Palazzo

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