Perché è così attuale il bisogno di santità

Perché è così attuale il bisogno di santità Perché è così attuale il bisogno di santità Alessandro Barbero AGLI inizi del suo pontificato, Giovanni Paolo n introdusse una modifica decisiva nel regolamento dei processi di canonizzazione. Da più di tre secoli era previsto che prima di iniziare il dibattito dovessero trascorrere almeno cinquant'anni dalla morte del candidate, ma il papa polacco ridusse questo periodo a soli cinque anni. Wojtyla sapeva bene quel che faceva e non tardò a dimostrarlo: nel corse del suo pontificate sono stati canonizzati 482 santi, il doppio di tutti quelli che erano stati preclamati dalla fine del Concilio di Trento. Il loro elenco rispecchia fedelmente il programma ideolegice d'un pontificate che si apre con la santificazione di padre Kelbe, il francescano polacco deportato ad Auschwitz, e si conclude con quella di Gianna Beretta, la dottoressa di Magenta che scelse di non farsi operare d'un tumore all'utero per non essere costretta ad abortire. Poiché Giovanni Paolo H è stato une dei protagonisti deUa storia mondiale sullo scordo del Ventesimo secolo, è giocoforza ammettere che nell'era della globalizzazione la santità è una faccenda più che mai attuale: lo confermano, del reste, le folle strabocchevoli radunate a Cracovia l'B giugno 1997 per assistere alla canonizzazione di santa Edvige, regina medievale di Polonia, e quehe accorse tre anni fa in piazza San Pietro per rendere omaggio a padre Pio. E anche chi di mestiere studia il culto dei santi non ci sta più a essere considerato titolare di una disciplina iperspecialistica, interessante tutt'al più per i cultori del Medioevo e del Barocco. Capita così che cinque dei maggiori specialisti italiani di agiografia, con l'aggiunta di un seste confrateUe inglese (Anna Benvenuti, Sofia Boesch Gajano, Roberto Rusconi, Francesco Scorza BarceUena, Gabriella Zarri e Simon Ditchfield), uniscane le forze per dimostrare che anche sotte queste aspetto l'epoca inquietante in cui viviamo è parte di una storia più lunga, i cui fili conduttori seno ancora ben leggibili, purché si voglia cercarli, nel nostro presente in apparenza così scucito. L'analisi condotta sul lungo periodo fa emergere una costante che è forse la vera chiave per capire come mai la santità cristiana è ancora così prepotentemente fra nei. Questa costante è la dialettica fra l'ideale di una «santità per tutti», in cui il sante offre un esempio concretamente imitabile ed è propesto come modello di vita alla massa dei credenti, e il bisogno primigenio di un protettere soprannaturale a cui chiedere il miracolo, o quanto mene la grazia. Spesso questa dialettica ha ricalcate quella fra le richieste dei fedeli e le risposte dell'istituzione ecclesiastica: con una Chiesa pmdente nei confronti degh entusiasmi popolari, e decisa a promuovere solo quei santi che incarnavano un messaggio oculatamente controllate. Ma sarebbe un errore imprigionare nell'alternativa fra disciplina istituzionale e spontaneità popolare ima vicenda che a volte ha veduto la Chiesa stessa esitare, nel contraste fra le due esigenze inconciliabili della santità protettrice e della santità esemplare. Fra i primi cristiani, la santità «è una condizione che riguarda tutti i credenti». Ma nella società tardoromana era così radicata la mentalità clientelare, così onnipresente il fenomeno dei patronati, che i fedeh sentirono quasi subito il bisogne di affidarsi a protettori potenti anche nella sfera religiosa. I martiri prima, e poi i fondatori di monasteri e i vescovi famosi, divennero così i protagonisti d'un culto spontaneo, che non richiedeva alcuna proclamazione ufficiale. Ciascuna comunità poteva così contare su un proprio garante, ben radicato sul posto grazie alla presenza deUe reliquie : un meccanismo di protezione del tutte analogo a quello che funzionava nella vita sociale, e che estendeva al Cristianesimo quella rassicurante moltiplicazione delle entità soprannaturali cui era da sempre abituata la mentalità pagana. Lo sforzo della Chiesa, a partire dal Medioevo, per disciplinare il culto dei santi introducendo la procedura della canonizzazione rappresentò anche un tentativo di accentuare il significato pedagogico della santità. Non a case è proprio in quest'epoca che cominciano a comparire santi laici, e pei addirittura santi e sante dì condizione sociale modesta, in cui pos¬ sane rispecchiarsi le masse della nuova civiltà urbana. Innocenzo IH cercò addirittura di ridimensionare l'importanza del miracolo nella definizione della santità, a profitto deUe virtù esemplari, «ricordando costantemente nelle sue bolle di canonizzazione come anche i maghi del Faraone fossero capaci di compiere prodigi». Ma fu una battaglia perduta, perché la gente dai santi voleva il miracolo, e la Chiesa si ritrovò a gestire un fenomeno che la disciplina del orocesso di canonizzazione non lastava a garantire dagh eccessi, in una proliferazione inarrestabile di esperienze spirituali altissi- me e dì imposture. Quando sulla santità ormai sfuggita a ogni controllo si profilò la condanna dei protestanti, una Chiesa ormai sulla difensiva reagì con una prudenza oggi inimmaginabile: nel pinne della Riforma e durante la fase fondante della Controriforma, dal 1523 al 1588, tutte le canonizzazioni furono sospese e non venne proclamato neppure un santo. Rispetto a quell'esperienza, il pontificato di Giovanni Paole D appare ecn* il pualo uairivo dì una lenta ripresa di fiducia della Chiesa nella santità e nei suoi possibili usi. Una fase che ha viste il papato ridurre la diffidenza verso lo spontaneismo popolare, aumentando il numero delle canonizzazioni, abbreviando la durata del percorso, venendo incentro più facilmente alle richieste delle masse. I fedeh, da parte loro, hanno cominciato a riappropriarsi della santità, riservando a padre Pio o a Giovanni XXIH un culto che è apparso fin dall'inizio indifferente alla necessità di una sanzione ufficiale. Per un quarto di secolo Wojtyla ha abilmente governato la contraddizione, giustificando il bisogno di protezione soprannaturale e di interventi miracolosi espresso dai credenti, e alternandovi la giusta dose di canenizzazieni esemplari, volte a insegnare ai cattohei come debbono comportarsi nella vita. Ma il grido della piazza dopo la morte del papa polacco, «santo subite!», sembra puntare a un ritome alle origini ancora più radicale: una sfida in più, fra le tante die dovrà affrontare la Chiesa del terzo millennio. Con Wojtyla papa sono stati canonizzati 482 santi, il doppio di tutti quelli che erano stati proclamati dalla fine del Concilio di Trento: rappresentano per la Chiesa la proposta di un modello di vita e per i suoi fedeli una garanzia di protezione, due esigenze spesso fidi da conciliare Anna Benvenuti, Sofia Boesch Gajano, Simon Ditchfield, Roberto Rusconi, Francesco Scorza Barcellona, Gabriella Zarri Storia della santità nel cristianesimo occidentale Viella, pp. 427, G28 Nel corso del pontificato di Wojtyla record di santi: ben 482

Luoghi citati: Auschwitz, Cracovia, Magenta, Polonia, Trento