DOUCE FRANCE Josephine Baker e altre sirene

DOUCE FRANCE Josephine Baker e altre sirene -RICORDI DI VIAGGIO DOUCE FRANCE Josephine Baker e altre sirene Cf ERA questo telefilm settimanale francese intitolato «Le Comandant Florent» che guardavo puntualmente senza sapere bene perché. Il comandante in questione, di una stazione di gendarmeria, è una donna (la superba trovata!), bruna, «ERA A PAsottile, grandi occhi molto lavorati, caruccia ma zero sex-appeal, forse è vedova, forse è single più figlioletto, che vive in caserma e conduce INCONTRAfermamente le indagini tra colleghi invidiosi, leali, amorosi, pasticcioni. Gli episodietti pohzieschi sono quello che sono, un filo so- L'UOMO Dpra la decenza, un pelo sotto la verosimiglianza. Boscaioli piromani, assessori corrotti, notai infidi, torbidi camionisti, e rancori antichi, vendette, cupidigie, un po' di coma, un po' di caccia, un po' di casolari circondati (ma nessuno controllava la finestrella del bagno?) e lei, «Le Comandant», doverosamente spericolata, che si butta nei fiumi, scala dirupi, insegne a cavallo un omicida fuggiasco, affronta mitra, pistole, coltelli senza battere il vistoso ciglio, C'è in giro di peggio, per carità, ma dopo qualche puntata mi sono chiesto perché mai stessi a seguire quelle modeste vicende Forse era «Le Comandant» che mi attraeva, mi affascinava? Ho sentito dire che ci sono uomini così, con la perversione dell'uniforme, collegiali, infermiere, solda CHE AVREI DOVUTO COME ACCA SIMENOE LA DONNBANANE, INVIDIA PUAHIMÈ'» tesse, ' vigilesse, operatrici ecologiche, camerierine con la cuffia. Possibile che proprio adesso, mio malgrado, il mio inconscio si fosse beccato un simile bacillo? O forse c'era già prima, dormiente dall'infanzia? Rimestavo tra memorie lontane, le piccole italiane, le suore dell'asilo, le tranviere durante la guerra, le ausiliarie di Salò. Niente, non un palpito, non il minimo trasporto. Guardavo la gendarmessa francese con la sua mitra- toas-i ghetta spianata a un posto di blocco in campagna: un fosso, una curva, un bosco che copriva dolcemente una dolce collina. E lì ho infine capito. Era il fosso a incantarmi, era la strada, era la campagna francese. Era la Francia, la nostalgia per la Douce France, che mi teneva fermo davanti alla tv. VENERE NERA Avevo imo zio ingegnere sempre in movimento tra Algeria, Belgio, Svizzera e altri Paesi dove la sua impresa lo chiamava. Faceva anche lunghi soggiorni a Parigi e ne tornava con regalini per le sorelle, profumi, foulards, romanzi di Maurice Dékobra (tempo fa ho provato a leggerne uno; impossibile). Anche dischi, e da questi, messo e rimesso sul grammofono a manovella, Josephine Baker che canl tava «J'ai deux amours, B monpays et Paris...». A quel disco risalgono i miei primi rapporti culturali con la Francia. Non sapevo Lchi fosse Josephine Baker (perché tanti sorrisetti degli adulti?) né capivo che cosa dicesse, ma il trillo acuto di quella vedette ame¬ ricana e nera depositò dentro di me l'embrione di una preferenza. Decenni dopo, quando ormai si occupava di nobili cause a favore dell'infanzia, Josephine passò anche a Torino ma io non andai allo spettacolo, mi rattristava l'idea di vederla invecchiata, con il suo gonnellino di spente banane. Queste celebrità epocali vanno applaudite nel momento del loro massimo fulgore simbolico; poi, come dice il poeta, «il primo minuto dopo mezzogiorno è notte». Era a Parigi, era nel 1932, era al Bai Negre che avrei dovuto incontrarla, come accadde al più fortunato Simenon. Sono sempre stato persuaso che l'invidia, la vera invidia tra scrittori non esista. Ogni scrittore invidia ovviamente tutti gli scrittori che giudica di rango più basso del suo e che però vendono t, guadagnano molto più di lui, quei palloni gonfiati. Ma appunto, si tratta di una invidia strettamente bancaria^non è che uno vorrebbe aver scritto lui quello straccio insignificante di best-seller. E verso i grandi non c'è invidia, nessuno scrittore che non sia in stato di demenza giovanile o senile pensa seriamente che i suoi libri valgono quanto quelli di Flaubert o Kafka o Dostoevskij. Anche perché le vite vissute dai sommi appaiono per lo più tormentatissime, qualche gelato per Leopardi, qualche leone ' per Hemingway, qualche uovo al burro per Proust (nel ristorante del Ritz) ma altrimenti ossessioni, fissazioni, disperazioni una via l'altra. Così anche per Simenon crudelmente tartassato dalla vita, sia pure magari un po' per colpa sua. Se era quello il prezzo da pagare per Simenon meglio lasciar perdere, nessuna invidia. E tuttavia ima assurda meschinità repentinamente ti rode quando scopri che Simenon fu per quasi tre anni l'amante della Venere Nera, ai bei tempi. Corri urgentemente ai ripari: nevrotico lui, nevrotica certamente lei, sarà stata una liaison tempestosa, irta di urla, rinfacciamenti, male parole, musi lunghi. Una cosa insopportabile, da girarci al largo. Ma intanto quei due, l'uomo della pipa e la donna delle banane... Invidia retrospettiva è totalmente insensata. Ma invidia pura, ahimè. UN NOME, UN PANINO Poi venne la guerra, la «pugnalata alla schiena», l'armistizio con la Francia. Una qualche delegazione francese era mstallata in un villino sotto il Monte dei Cappuccini e io, che abitavo da quelle parti, passavo ogni tanto in bicicletta h davanti e vedevo quegb ufficiali col kepi cilindrico, eleganti e compassati (e immagino umiliati e schiumanti). Poi la letteratura, naturalmente, la scoperta, vorrei dire carnale dei grandi autori francesi, della pittura, dell'architettura, della storia, perfino della pohtica. Ricordo ancora i titoloni per l'attentato al giovane deputato Frangois Mitterrand, vicino al Luxembourg negli Anni 50, che fu forse un falso attentato, organizzato dalla scampata vittima per motivi oscuri. Ma tutta quella esaltante, rabelaisiana scorpacciata non c'entra niente con l'indomita gerdarmessa al posto di blocco. Il fosso dove tra poco dovrà forse gettarsi per evitare una muta assassina è lo stesso dove io ho cercato e talvolta trovato dei mazzetti di crescione. E in quel bosco ho percorso un sentierino nelle sue svolte gentili fino al culmine della collina. E al di là c'era la Francia intera, con il suo cielo sempre movimentato, le sue ondulazioni multicolori, i suoi lampi di luce su un fiume mansueto e lontano. Il paesaggio (i paesaggi) francese è di una bellezza impossibile da definire decorosamente. Un effetto di vastità, sempre. Quando sbuchi sul ciglio di un altipiano e sotto si estende all'infinito un arazzo grandioso e minuzioso, un recinto con qualche mucca, due cavalli, in primo piano, eppoi un tenero precipitare di campi gialli o azzurri di lavanda o terrosi di barbabietole o verdissimi d'erba, e un tozzo campanile, un bruno villaggio, una fattoria fortificata a metà di un pendio. Appariva così a Giulio Cesare quando si mise in testa di conquistare le Gallie? No di certo, tutto doveva essere molto più aspro ^e selvatico. Il paesaggio francese di oggi è civilizzato, è ancora regale più che repubblicano, ha come un'aura, una smaltatura quattrocentesca. Si capisce che facesse gola agli inglesi, si capisce che Giovanna d'Arco difendesse queste visioni nobili e scintillanti sparse tuttavia di intimità, di affettuosa raggiungibilità per quelle serpeggianti stradine. Non posso certo dire di conoscere bene l'Esagono, che pure ho attraversato non so quante volte in tutti i sensi. Non ho mai visto la Bretagna, la Normandia, tanto per dire, e Mont-StMichel è una cartolina, Lascaux una fotografia d'arte. Ma negli anni precedenti le autostrade e il Tgv niente mi entusiasmava come mettermi al volante con vaghi propositi e nessuna prenotazione, capitare la sera in un villaggio imprevisto o in una città come Auxerre (dove, non dimentichiamolo, ha sede la gendarmeria della mia Florent Isabelle) e trovare un albergbetto, un ristorantino, una cattedrale sontuosa, un canale con le sue nere chiatte alla fonda. Troppo lungo sarebbe l'elenco di tutti quei miracolosi incontri, ma se fossi Victor Hugo scriverei uno dei memoriali di una città che non ho mai visto, che per me è solo un nome scandito nella notte. ((La Roche-Migenne! La Roche-Migenne! Deux minutes d'arréts!». Per raggiungere Lucentini prendevo da Torino una specie di Espresso che non fermava a Fontainebleau, filava dritto a Parigi. Dovevo scendere a La Roche-Migenne e aspettavo mezz'ora un treno locale. Entravo nel minuscolo Café de la Gare, chiedevo un panino (fromage ou jambon?) e una birra, mi sedevo sulla panca esteriore e fantasticavo su La Roche-Migenne, invisibile nel buio. Quant'era grande? Chi ci abitava? Esisteva veramente? Oggi mi chiedo che cosa sarebbe stato capace di tirar fuori Simenon da un simile enigma. Ma lui aveva la Venere Nera, non c'è partita. «ERA A PARIGI INCONTRARLA L'UOMO DELLA PIPA CHE AVREI DOVUTO COME ACCADDE A SIMENON: E LA DONNA DELLE BANANE, INVIDIA PURA AHIMÈ'» -RICORDI DI VIAGGIO di CARLO FRUTTERÒ ISsF Cf ERA questo telefilm settimanale francese intitolato «Le Comanrent» che guardavo punte senza sapere bene Il comandante in quei una staziondarmeria, è na (la superata!), bruna, «ERA A PARIGI grandi occhi vorati, carucero sex-appee è vedova, ingle più fi che vive in e conduce INCONTRARLA nte le indagileghi invidioamorosi, pa. sodietti pohsono quello , un filo so- L'UOMO DELLA PIPA decenza, un o la verosimiBoscaioli piassessori corai infidi, torionisti, e ranichi, vendetdigie, un po' a, un po' di n po' di casocondati (ma controllava rella del bagno?) e lei, andant», doverosamencolata, che si butta nei cala dirupi, insegne a un omicida fuggiasco, mitra, pistole, coltelli attere il vistoso ciglio, n giro di peggio, rità, ma dopo puntata o chiesto mai stessi re quelle e vicende ra «Le Cot» che mi atmi affascina sentito dire sono uomini n la perversioCHE AVREI DOVUTO COME ACCADDE A SIMENON: E LA DONNA DELLE BANANE, INVIDIA PURA AHIMÈ'» Due immagini di Josephine Baker, celebrità del musical negli Anni- Venti - Quaranta. Ballerina e cantante francese, di origine statunitense: era nata neM 906 a SLouis 'r tesse, ' vigilesse, operatrici ecologiche, camerierine con la cuffia. Possibile che proprio adesso, mio malgrado, il mio inconscio si fosse beccato un simile bacillo? O forse c'era già prima, dormiente dall'infanzia? Rimestavo tra memorie lontane, le piccole italiane, le suore dell'asilo, le tranviere durante la guerra, le ausiliarie di Salò. Niente, non un palpito, non il minimo trasporto. Guardavo la genghetta spianata a un posto di blocco in campagna: un fosso, una curva, un bosco che copriva dolcemente una dolce collina. E lì ho infine capito. Era il fosso a incantarmi, era la strada, era la campagna francese. Era la Francia, la nostalgia per la Douce France, che mi teneva fermo davanti alla tv. VENERE NERA Avevo imo zio ingegnere sempre in movimento tra Algeria, Belgio, Svizzera e altri Paesi dove la sua impresa lo chiamava. Faceva anche lunghi soggiorni a Parigi e ne tornava con regalini per le sorelle, profumi, foulards, romanzi di Maurice Dékobra (tempo fa ho provato a leggerne uno; impossibile). Anche dischi, e da questi, messo e rimesso sul grammofono a manovella, Josephine Baker che canl tava «J'ai deux amours, B monpays et Paris...». A quel disco risalgono i miei primi rapporti culturali con la Francia. Non sapevo Lchi fosse Josephine Baker (perché tanti sorrisetti degli adulti?) né capivo che cosa dicesse, ma il trillo acuto di ricame za. mai a favne pnon rattrveccdi spbritànel mfulgdicedopoEera dovucaddnonso ctra scrituttrangperòmolgondi banbe acio ler. invnongiovmenquaKafpermi tatiLeoHemburte dsionunaCdelmDOUCE FRANCE Josephine Baker e altre sirene Due immagini di Josephine Baker, celebrità del musical negli Anni- Venti - Quaranta. Ballerina e cantante francese, di origine statunitense: era nata neM 906 a S.Louis in Missouri, morì nel 19'75 ISsF di CARLO FRUTTERÒ di CARLO FRUTTERÒ