I ribelli e il Gufo Sapiente

I ribelli e il Gufo Sapiente I ribelli e il Gufo Sapiente Nelle Università di ieri: la burrascosa facoltà sociologica di Trento e la scuola di Luciano Anceschi ACCADE spesso, nel gioco delle memorie collettive e delle rievocazioni storiche, che le stagioni madri siano oscurate, spinte via in malo modo dalle stagioni fighe. E' come se le stagioni dalla prepotente e marcata caratterizzazione finissero col riconoscere ruoli da modeste comparse ai periodi che le hanno precedute e che, pure, non solo hanno consentito loro di venire al mondo ma hanno fatto molto di più. Poiché hanno conferito, a coloro che sono venuti dopo, parte non irrilevante di quel patrimonio culturale e umano al quale hanno attinto a man bassa gh equipaggi dei «capitani coraggiosi» poi partiti con le loro ciurme nell'esplorazione di ambiziosi e insperati orizzonti. La relativa amnesia attorno alle «stagioni madri» ha preso posto anche nel nostro Paese e ha la sua massima esemplificazione nella scarsa attenzione (con poche pregevoli attenzioni, gh studi di Crainz, per esempio) che rispetto alle vicende della contestazione sessantottina e alle lotte sociali del biennio '68-'69 è stata dedicata al densissimo periodo che prepara il tutto e corre lungo buona parte degli Anni Sessanta. Ben vengano dunque due saggi usciti ora e che contribuiscono a dissipare parte delle ombre posteriormente cadute su alcuni scorci pre-sessantottini. Il primo volume è intitolato Vietato obbedire e viene pubblicato nella rinnovata e grintosa Bur. L'autore, Concetto Vecchio, racconta con minuziosa attenzione e febee scrittura le complesse alchimie politiche culturab con cui un'intelligente e ambiziosa leadership locale, capitanata dal mitico e sobdissimo Bruno Kessler, a lungo presidente dell'amministrazione provinciale di Trento, riesce a ribaltare la scelta della burocrazia romana, di dotare la città di una tranquillissima facoltà di Scienze Forestali, in qualcosa di completamente diverso. Nell'affascinante intreccio che induce gh artefici di quella che sarà la futura facoltà non solo a girare le spalle al destino tutto monti e boschi che si vuole riservare alla cultura superiore trentina ma, altresì, a schivare l'accomodante idea di fame una dependance della facoltà di Scienze Politiche dell'Università Cattohca, c'è tutta la specialissima filigrana che andrà a caratterizzare un'intera generazione di studenti e che magnetizzerà un bouquet di docenti, dove c'è posto per Beniamino Andreatta e per Francesco Alberoni, per Franco Pomari, Giorgio Galh, Chiara Saraceno (che con il marito Gian Enrico Rusconi formerà una delle tante pattuglie famigliari arruolate nella sfida accademica in corso in quell'estremo lembo della nostra penisola). Certamente è molto coinvolgente e pittoresca la ricostruzione di Concetto Vecchio quando, dalla seconda metà in poi del testo, comincia a narrare gh snodi surreali, le giornate tesissime, i momenti indimenticabili che caratterizzeranno non solo la rivolta studentesca in quel di Trento ma, soprattutto, il suo intrecciarsi con 0 solido tran-tran di una città di provincia, posata e tradizionale, dove l'opinione pubblica viene investita dalla presenza della nuova facoltà, anzi dell'Istituto Superiore di Scienze Sociah, con la forza di un ciclone. Ma è ancora prima, quando in giro per le università itabane non tira alcun refolo di innovazione e di messa in discussione del potere dei baroni accademici, che a Trento, per qualche strana magia, arrivano le ciurme e i capitani di quelb che di lì a qualche anno saranno nomi noti a tutte le schiere della ribellione che si muove negh atenei della penisola. Scriverà Giorgio Bocca: «Come fosse suonato un misterioso tam tam tutti gh avventurosi, gh utopisti, gh spostati, gb irrequieti della penisola di sono dati appuntamento a Trento». Perché stupirsi, dunque, se in quei primi armi Prancesco Alberoni - come racconta Concetto Vecchio nel suo libro - spunta nelle aule dell'edificio di via Verdi di cui sarà preside «con una catena di mucca attorno al collo». Ovvio che un docente prestigioso e aperto, ma dal carattere tranquiUo come lo storico Scoppola, dopo tre mesi di insegnamento in quel di Trento presenta le dimissioni: «Già a Rovereto - spiega ai colleghi romani - sto in tensione». Ma chi vorrà leggere il libro di Vecchio di scorci come questo, e di interessanti sguardi al nuovo che avanza senza sapere dove andrà a parare, ne troverà ad ogni pagina. Pur calato negb stessi anni, ha tonabtà, atmosfere, intrecci assai diversi il bel libro di Cesare Sughi, L'allievo perenne, I miei anni con Luciano Anceschi, appena pubbbeato dalle edizioni Pendragon. Il libro di Sughi - che di Anceschi è stato tra gh assistenti, prima di entrare nella redazione del «Verri» assieme a Nanni Balestrini e sbarcare, per suggerimento di Umberto Eco, al lavoro editoriale presso la Bompiani di Milano - è il ritratto di una scuola, quella di Anceschi, appunto, che ha influito poderosamente sulle vicende culturab e letterarie itabane a partire daba pubbbeazione del «Verri» e dal decollo del «Grappo '63». In pagine attente, talvolta commosse, Sughi sa rendere omaggio non solo al maestro ormai scomparso ma, anche, rendere conto del composito equipaggio, deUa variegata genealogia che va a caratterizzare la squadra del «Gu¬ fo Sapiente», ovvero lo stesso Anceschi. Quebo che si stagba è il profilo di un intellettuale che non si rassegna agli stereotipi e ai ruob prefissati ma sa intrecciare, varcare steccati, indicare nuove angolazioni da cui guardare al mondo. C'è ironia, nelle pagine di Sughi (alcune irresistibib per umorismo e per stralunata capacità di raccontare) ma soprattutto c'è il permanere del dolore per la scomparsa di un uomo che non ha mai cessato - in aula, per strada, nella casa bolognese dove assieme alla mogbe riceve gb studenti - di incoraggiare curiosità, di indicare nuovi compiti, di affinare originabtà sensibibtà. Forse è questo il marchio della «scuola di Anceschi» che Sughi va a raccontare e che, non dimentichiamolo, viene da lontano. Poiché Anceschi giunge da queba splendida covata di didatti che Antonio Banfi, in anni niente affatto facib, era riuscito a far emergere dentro l'ateneo milanese. E che, attraverso figure centrah come Anceschi, si diramerà, a sua volta, sin dentro i nostri giorni. La sessantottina cittadella dove, scrisse Bocca, «tutti gli spostati d'Italia si sono dati appuntamento» E un Maestro che non si rassegnò agli stereotipi sempre suggerendo nuove visioni del mondo Studenti In corteo a Trento nel 1968: in primo piano Mauro Rostagno, a destra Renato Curdo Concetto Vecchi Vietato Obbedire Rizzoli Bur, pp. 252, 6 8,60 CesareSughi L'allievo perenne I miei anni con Luciano Anceschi Fendragon, pp. 27 7, 6 75

Luoghi citati: Italia, Milano, Trento