Ahmadinejad, il pasdaran che serve il popolo di Giuseppe Zaccaria

Ahmadinejad, il pasdaran che serve il popolo L'EX SINDACO CHE IN IRAN VUOLE RIPORTARE GLI OROLOGI ALTEMPO DI KHOMEINI Ahmadinejad, il pasdaran che serve il popolo Lo sconfitto Rafsanjani: una campagna contro di me e la mia famiglia Giuseppe Zaccaria inviato a TEHERAN Lo «spazzino» gira su un'auto più povera di quella della sua scorta, abita a Narmai in un modesto appartamento della Teheran proletaria, indossa giacche più fruste di quelle dei suoi guardaspalle, porta una barba accuratamente sfoltita per dare l'idea di un malrasato che ha molte cose da fare e ad ogni manifestazione di piazza ama ripetere: «Sono il vostro servo». Gira a bordo di una vecchia «Peykan», vettura autarchica e spartana, simbolo di un certo orgogbo nazionale, si veste da netturbino fra i netturbini, da tranviere fra gli addetti al trasporto pubbbco, da infermiere se visita gli ospedali anche se quando ritrova i vecchi amici non ha bisogno di cambiare abito per ritrovare lo spirito del «pasdaran». Era figlio di un fabbro ferraio Mahmoud Ahmadinejad, 49 anni, nuovo presidente della repubblica islamica dell'Iran, dalla cittadina di Gannsar si era spostato nella capitale per studiare ingegneria e più ancora per prendere parte alla cacciata dello Shah, l'origine proletaria e la fede islamica gli hanno lasciato stimmate di populista, eppure sarebbe sbagliato misurare l'uomo dalle manifestazioni esteriori e considerarlo solo come personaggio camaleontico dalle idee radicali e dai progetti confusi. Dietro la trasfigurazione di questo sindaco dall'aria dimessa e i milioni di voti che gli sono piovuti addosso ci sono la scelta un'intero blocco di potere, programmazione ferrea, gli interventi decisivi del Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione e molto, molto danaro. Inoltre, in qualche modo Mahmoud lo spazzino può essere ritenuto un autentico continuatore, quasi l'archeologo che si appresta a disseppellire i reperti di una linea sconfitta dalla storia ma che oggi s'intende riproporre in chiave ancora più aggressiva. Dietro la barbetta di questo piccolo ' uomo c'è il khomeinismo più duro, quello nato nelle moschee di campagna e forgiatosi nella guerra contro l'Iraq. C'è l'obiettivo di rispolverare i fondamenti della rivoluzione islamica del 79, costretta a iniezioni di realismo per fare i conti con guerre, problemi economici, resistenze sociab. Soprattutto, il progetto di propagandarla nuovamente fra gli sciiti dell'Afghanistan, del Pakistan, del Libano, dell' India, perfino dell'Iraq dove adesso sono al governo. Se alla fine degli Anni Settanta il khomeinismo esprimeva una certa carica rivoluzionaria quello di oggi è solo bruta riaffermazione di un potere retrogrado e risposta nazionalista alla pobtica americana. Quella che un tempo si definì «mullahcrazia» da oggi è pronta a riprendere la sua pericolosa marcia sulle gambe esili di questo presidente ma con il sostegno delle più ampie spalle di Ali Khamenei, la Guida Suprema. «Kbamenei si è definitivamente impossessato dello Stato», commenta uno che fino a ieri turandosi il naso aveva sostenuto Rafsanjani. «Prima il potere giudiziario, poi U parlamento adesso anche il presidente: ormai la Guida controlla tutto, come autorità rebgiosa non eletta tiene in mano ogni leva dello Stato. Ahmadinejad sa bene di essere una sua creatura, dunque sarà obbediente ad ogni suo desiderio, se non addirittura troppo zelante». Ouando si parla di zelo nelle menti di qualsiasi iraniano di materializzano le pattuglie dei ((pasdaran» e soprattutto le orde dei «basiji», i volontari islamici pronti a trasformarsi ad ogni momento in guardiani della morale. «Non credo che Ahmadinejad potrà essere così stupido da intervenire subito per le strade di Teheran» - prevede ancora il suo oppositore. «Più probabilmente a partire da settembre, quando assumerà effettivamente il potere, nella capitale il nuovo presidente inaugurerà una stretta di freni piuttosto lenta, non può spaccare Teheran in due né imporre alla parte Nord della città un ritorno all'indietro troppo violento. Gb effetti più vistosi del nuovo corso, anzi del ritomo all'antico, si verificheranno nelle province dove nessuno potrà più impedire a un tribunale di sanzionare il tagbo della mano per un ladro o la lapidazione per una presunta adultera. Non ci resta che attendere coltivando ogni genere di pessimismo». Da oggi, poi, megbo dimenticare i contrasti fra organi dello Stato e Consi¬ glio dei Guardiani, assemblea di diretta derivazione divina che negli ultimi otto anni è intervenuto più volte nei pubblici affari (come una settimana fa per promuovere Ahmadinejad in luogo del progressista Karrubi). Quel consesso di semidei è guidato dall'ayatollah Ali Januati che è suocero del nuovo presidente, nella riedificazione dell'assolutismo teocratico e nella riscoperta delle radici rivoluzionarie sciite tutto deve marciare di conserva, tutto si tiene. Previsione dell'economista: «Tempo tre mesi Ahmadinejad aprirà la grande cassaforte di Stato e ne distribiurà il tesoro per calmare ogni tensione e guadagnare in popolarità». Qui si parla delle centinaia di milioni del «surplus» petrolifero accantonati dalla presidenda Khatami in vista di grandi progetti strutturali. «Con quel danaro il presidente integiabsta conquisterà la gratitudine della gente, darà sussidi ai più poveri, aiuti agli osservanti, controllerà i prezzi dei generi di prima necessità rilanciando allo stesso tempo una vita più austera, controllata, insomma islamica. Il controllo sui mezzi di informazione sarà spietato». LA RISCOSSA DELLA LEGGE CORANICA Il Dio unico dell'Islam non lascia spazi vuoti, la sua presenza pervade ogni aspetto della realtà, l'intera vita del credente. «L'Islam è per definizione una religione politica: impone doveri politici ai fedeli», spiega Panayotis Vatikiotis della School of Orientai and African Studies di Londra. La fonte del diritto in uno stato islamico puro (un'entità assai controversa tra gli studiosi) si fonda sul Corano. La legge coranica, la sharia e il f iqh, la sua interpretazione, è oggi adottata in gradazioni diverse in numerose nazioni, dall'Asia all'Africa. L'Iran sciita nella sua costituzione del 1979 si ispira alta sharia, sebbene in realtà le pene islamiche più cruente non siano applicate. Il successo elettorale del candidato ultraconsen/atore Ahmadinejad potrebbe segnare una svolta, introducendo un rigore più talebano (anche se gli «studenti» afghani sono sunniti). Le pene coraniche come le intendono i giuristi conservatori sono abbastanza schematiche: per il furto il taglio della mano o del piede; perii brigantaggio dalla pena di morte all'esilio, per l'adulterio la pena di morte (il Corano non parla esplicitamente di pena capitale, ma lo dice il f iqh), per la calunnia di adulterio la flagellazione, per l'uso e il commercio di alcolici la flagellazione, per l'apostasia la decapitazione. Oggi l'Iran applica la sharia con una certa tolleranza ma la repressione contro gli oppositori del regime è feroce e non si discosta dalla pratica di altri stati dispotici. Le organizzazioni internazionali in difesa dei diritti umani denunciano da anni il peggioramento della situazione. Basandosi solo su fonti governative, nei primi cinque mesi del 2002 si sono registrate 200 impiccagioni e 20 lapidazioni. Nell'arco di due decenni sono stati torturati e fucilati 120.000 prigionieri politici, tra cui decine di migliaia di donne. Il nuovo presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha 49 anni