La guerra di Mugabe contro i poveri di Domenico Quirico

La guerra di Mugabe contro i poveri , -r— n , n -. _ - " NELLO ZIMBABWE PIAGATO DALLA CORRUZIONE E DALLA CARESTIA, IL DITTATORE VUOLE RICACCIARE I DISEREDATI NELLE CAMPAGNE La guerra di Mugabe contro i poveri Le bande del regime stanno radendo al suolo le bidonville Domenico Quirico Non è un energumeno grezzo e brutale come Idi Amin. Non ha la ferocia fanatica e sottile di Menghistu, il negus rosso. Robert Mugabe è amabile, colto, esibisce una certa qual gravità aristocratica e accivettata, parla uno splendido inglese oxfordiano, ogni giorno, a 81 anni, fa una ora e mezza di ginnastica. Eppure spaventa con il solo nome, è un pioniere delle strade, sempre spalancate, della tirannide, maneggia nello Zimbabwe un ginepraio di violenza e corruzione con mano salda. Ha oltrepassato da tempo i limiti dela pazienza diplomatica e umanitaria, ma nessuno lo disturba. Nell'arsenale delle persecuzioni ha appena inventato il rovesciamento grottesco e crudele della guerra alla povertà; lui conduce la guerra ai poveri. Da alcune settimane una armata di poliziotti manigoldi e di squadristi del partito presidenziale, con bastoni, mazze e picconi, va all'assalto delle township e dei quartieri poveri di Harare, la capitale. In un paese ridotto dalla corruzione e dalla insipienza criminale alla carestia sono una mappa sterminata; è il carnaio della lotta per l'esistenza, ospitano centinaia di mighaia, di milioni di derelitti, giù giù fino alla ultima terminologia del naufragio umano, sono distretti ingorgati di pezzenti. Preceduti dalla blitzkrieg dei bulldozers, gli sgherri di Mugabe abbattono, spianano, distruggono, purificano con il ferro eu fuoco dopo un meticoloso saccheggio delle povere cose che «il nemico» non è riuscito a mettere in salvo. Quartieri interi di baracche, botteghe costruite con i rottami, mercati fatti di canne vengono sbriciolati, polverizzati tra le urla disperate degli abitanti tenuti a bada con i bastoni e i fucili. Poi via al galoppo come levrieri della sventura verso altri settori da «bonificare». Come tutte le operazioni militari ha un nome; «Murambatsvina», ovvero riportare l'ordine in lingua shona, la etnia a cui appartine il presidente. Così parlò il ripulitore africano di angolini; bisogna cancellare queste schifezze di periferie, ristabilire il diritto di proprietà e la sicurezza che erano il marchio, un tempo, deUe nostre belle città. Gli spazzacase governativi lavorano come castori ventiquattro ore su ventiquattro, qualche volta anche troppo in fretta senza aspettare che quei maledetti dei senzatutto lascino i loro covi abusivi. Due neonati sono così rimasti schiacciati sotto i calcinacci di una ruspa impaziente. Gli abusivi espulsi dai loro illegali e antiestetici tuguri, con i soli stracci che li vestono, sono ufficialmente già duecentomila, ma secondo le organizzazioni umanitarie superano il milione. Sono stati deportati in una pianura deserta, priva di acqua, luce, ricoveri, cibo. Tornate ai villaggi da dove siete venuti, suggerisce giudizioso e burbero il governo alla moltitudine che sta morendo di fame, sete e malattie. Forse molti obbedirebbero; peccato che a causa delle mancanza di benzina non ci sono mezzi di trasporto. Peggio di loro stanno solo ì quarantaseimila finiti nelle smisurate galere di Mugabe, arrestati durante i rastrellamenti risanatori. Sono accusati di attività clandestine: ovvero erano ambulanti, piccoli commercianti, i poveri pescecani di un disperato mercato nero, indispensabile in un paese dove su tredici milioni di abitanti sei dipendono ormai dall'aiuto alimentare intemazionale. Amnesty intemational, le Ong di ventitre paesi africani hanno lanciato un appello all' Onu; qui si consuma un genocidio quietamente amministrativo. La Unione delle Chiese, implacabile staffilatrice della ferocia presidenziale, gli avvocati dello Zimbabwe hanno evocato perfiao Poi Pot, che trascinò a forza e senza cibo i cambogiani nelle campagne per purificare le città e si lasciò dietro due milioni di morti. Sbagliano: il «compagno Bob», come lo chiamano i fedeli evocando le sue passioni filocinesi, dà dei punti allo Stalin cambogiano. Nel 1983 la etnia Ndbele, maggioritaria nel sud del paese, fece lo sgarbo di votargli contro. Lui scatenò la quinta brigata, addestrata da istruttori nordcoreani; ventimila massacrati, gente bruciata viva, bambini trapassati con le baionette. L'Africa è un posto dove la pulizia etnica non è mai stata inventata, esiste già, come la pioggia e la siccità, la gente ci convive fin dal'infanzia. Eppure la strage dà ancora i brividi. Nessuno dei soloni dell' umanitarismo intemazionale allora osò rimproverarlo. Mugabe promise indennizzi; che le popolazioni del sud aspettano ancora. Quando qualcuno cerca di mettere in pericolo il suo potere, l'ex allievo di un gesuita che lo salvò dalla fame, fa esplodere la collera rannichiata di solito dietro un sorriso gentile. E' passato iadenne attraverso le maledizioni e le sanzioni (tardive) della Gran Bretagna dell'Unione europea, degli Stati Uniti, dell'Unione africana. Chi si oppone come Morgan Tsvangirai, sindacalista, un Di Vittorio della opposizione, finisce in galera per tradimento. L'economia del paese è defunta? La produzione agrico¬ la è crollata del venti per cento? Non ci sono più farina, olio, zucchero, medicine? L'inflazione è al centotrenta per cento? I suoi concittadini sono poveri arcipoveri più poveri dei poveri? Per Mugabe è una festa: gli aiuti intemazionali li distribuisce lui, è la condizione a cui tutti i donatori devono sosttostare per non essere cacciati. E con lo stomaco vuoto è difficile decidere di fare l'oppositore. Le bidonville risanate a bastonate e colpi di ruspa sono abitate dai più diseredati, cioè da coloro che alle ultime, truccatisime elezioni, hanno votato, invano, contro Mugabe. Lui ha la memoria lunga, implacabile. Li ricaccerà nelle campagne da dove sono venuti per cercare cibo e lavoro, nelle zone rurali comandano i suoi capibastone, e chi non è iscritto al partito del potere muore di fame. O viene ucciso. Annan ha, finalmente!, spedito come ispettrice Anna Tibaijukam, tanzaniana; deve controllare e riferire cosa sta succedendo. Mugabe la aspetta; con un micidiale sorriso. Come un Poi Pot africano perseguita i miserabili che non lo hanno votato Il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe riceve il saluto dei sostenitori Bambini a Bulawayo davanti alle macerie della loro casa abbattuta

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