La Storia sulla pelle dei bambini

La Storia sulla pelle dei bambini La Storia sulla pelle dei bambini Antonio Faeti CONFESSO di avere letto il libro di Antonio Gibelli II popolo bambino alla maniera di Pennac, camme un roman, per due importanti motivi: sono stato un. bambino in guerra anche io, a Savigno, nell'Appennino bolognese, dove mi fabbricavo i soldatini di carta guardando le divise dei componenti dell'Armata Cosacca in Italia, e sono diventato maestro di ruolo, ventenne, nel 1959, quando cercavo le memorie della guerra recente con i miei alunni di quinta, nella stessa valle. Così, quando nel capitoloArmi giocattolo ho ritrovato i Giomab di classe compilati dai maestri delle valli appenniniche intomo a Genova e a Chiavari, ho rivisto quel modo antico di far scuola, affidando al «giornale» perfino confidenze, testimonianze, brandelli di cupa sofferenza. Il popolo bambino è una «metafora d'infanzia» di quelle che, come ha fatto Gibelli, vanno create, inventate, prima di far ricerca, perché l'universo dei piccoli è un mondo «altro», è un luogo mentale in cui non si trova nulla se non si è preparato adeguatamente un certo sguardo. Le tappe scandite nel volume sono tutte occasioni per vederli, per cercarìi, loro, quelli di cui per solito «non si sa nulla». La prima e la seconda delle grandi guerre del Novecento hanno contribuito ad aprire spiragli sconcertanti ma indispensabili, e allora non si possono trascurare proprio quegb indizi che gli storici dell'adultità non guardavano neppure. Ecco allora i quaderni, utili sia per i. messaggi inviati dalle copertine, sia per i contenuti offerti dalle pagine a righe e a quadretti: bambini raffigurati, nel primo caso, e bambini indotti a scrivere nel secondo. I disegnatori e gli insegnanti forniscono insegnamenti, messaggi, regole di condotta, ma poi cedono, inevitabilmente, alla voglia di raccontarli anche davvero. Nei testi dei bambini i maestri intervengono, tagliano, dirigono,. correggono, ma a volte lasciano trasparire sconcertantimomenti di autentica vita infantile. Il culto degli eroi, fondato sulle lettere alla vedova di Cesare Battisti e alla madre dei fratelli Filzi, è ovviamente tutto ispirato da maestre che si stringono alle due donneicone del nostro turbolento dopoguerra, ma, qua e là, il popolo cambino parla anche con voce propria, e allora la retorica ben nota e il martirologio collaudatissimo, si inteirompono per lasciare scorgere le insorgenze indisci¬ plinate e autentiche. La ricerca di Gibelli è tutta fondata sui «giochi di pazienza», su un metodo'aperto alle sorprese e rigorosissimo nel tener conto di tutto, definendo una erme- . neutica specifica, non desunta da altri ambiti di indagine. Per la "storia degli adulti la guerra d'Etiopia è quella tardiva, per tanti versi incredibile, riproposizione dei vecchi moduli operativi di un capitalismo ottocentesco vittoriano e ribaldo, darwiniano e piratesco, ma per il popolo bambino essa è invece l'allucinata occasione di una verifica che sembrava impossibile. Non solo Salgari, ma Fabietti e la Visentini, vengono ora letti proprio mentre la radio manda in onda i bollettini, mentre Achille Beltrame narra le imprese con i suoi memorabili acquarelli, mentre i - film e i fumetti aiutano a definire luoghi dell'immaginaria che possiedono una loro abbacinante autonomia in cui verità e finzione non'sono mai separabili. Come sèmpre accade nelle prandi dittature, il regime si fa jambino anche perché le dittature possiedono, ontologicamente, nell'essenza, un'anima bambina che li spinge a risolvere tremendi problemi con l'azzardo efferato di chi tenta la sorte. Un'aura miracolistica, fiabesca e devozionale circonda Mussolini fin dalle pagine del Dux di Margherita Sarfatti dove l'infanzia del figbo del fabbro è narrata rileggendo quella di Gavroche; e iMiseroMi di Hugo, poi disprezzati perché egalitaristi, ottocenteschi e democratici, erano la lettura ricorrente nelle veglie di stalla, i^ìtó, a cui quel bambino dagli occhi allucinati, con lo stesso nome di Juarez, icona rivoluzionaria, partecipava con tutto se stesso. E quando si studia il popolo bambino bisogna non solo accettare le incongruenze, ma fame tesoro. GibeUi anabzza le lettere al Duce, che sono suppbche scritte al mago delle fiabe per avere denaro, sussidi, aiuti vari: ma qualche bambino, al suo eroe, dei soldi invece gbene spedisce, perché sarà pure potentissimo ma, si sa, i soldi non bastano mai. I fucili dei Balilla, le lotte penose per avere la divisa (così ben disegnata...), il posto nella gerarchia, laggiù, con i piccoli figli della Lupa, implicano un processo terrificante di «gulliverizzazione» che richiama il Baudelaire deLamoraledelgiocattolo e l'Hoffinann dello Schiaccianoci. Ma qui il destino non gioca e li aspetta fermissimo: il popolo bambino, di poco cresciuto, gelerà sul Don, affonderà nella fanghiglia albanese, assaggerà i pugnali (veri, più lunghi...) dei partigiani greci. Infanzia e Nazione . dalla Grande Guerra a Salò in una ricerca di Antonio Gibelli: l'educazione del popolo fra retorica del fascismo e indisciplinata autonomia della cultura popolare, culto degli eroi e avventure sahariane, sacrifici per la patria e vite mandate al massacro Due cartoline illustrate degli anni 1914-1918: illustrazioni tratte dal volume di Gibelli «Il popolo bambino» Antonio Gibelli Il popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande Guerra a Salò Einaudi, pp. 412. 2 25 SAGGIO

Luoghi citati: Chiavari, Etiopia, Genova, Italia, Salò, Savigno