TEHERAN Il bazar dice: Rafsanjani

TEHERAN Il bazar dice: Rafsanjani L'IRAN VERSO IL BALLOTl ilO PRESIDENZIALE DI VENE TEHERAN Il bazar dice: Rafsanjani reportage inviato a TEHERAN gg^ HI vuole essere eletto deve W Va passare prima da qui», ripete sornione Naghi Hamoushi, sempiterno capo della camera di commercio, e quando conclude la frase allarga un braccio per indicare il luogo a cui si riferisce, non ì moderni uffici con video e stampanti ma ciò che si stende non lontano dalla palazzina nel quartiere di Naser Khosro: il bazaar di Teheran, una delle più antiche e sterminate aree commerciali del mondo. Mentre cala la sera e una brezza comincia a spazzare via il caldo e la fetida cappa dell'inquinamento c'è anzitutto una barriera acustica che marca le distanze fra i «bazaarìn» e gli abitanti del resto della metropoli. Tutt'intomo clacson, scappamenti e muraglie di metallo in movimento lentissimo, qui dentro una pace senza tempo con il cupo ritmo di un tamburo che segna il rito di fine giornata, l'antica «zurkanèh», un po' danza e un po' preghiera che i commercianti compiono da generazioni in grandi sale indossando camicie slacciate e pantaloni ampi. Qui nell'arco dei secoli approdavano le carovane, si sono fatte e disfatte fortune, qui si è formata una solida classe di commercianti divenuti imprenditori e di imprenditori cresciuti come banchieri, qui una serrata di tre giorni fece cadere il regime dello Shah, le cassette coi discorsi di Khomeini distribuite clandestinamente e il danaro dei bottegai finanziarono la rivoluzione degli «ayatollah», qui si creano le fortune politiche. Dopo secoli questa mattina il bazaar di Naser Khosro si scopre ancora una volta snodo essenziale nel futuro di una teocrazìa in ballottaggio. «I «baazarìn» appoggiano da sempre le forze conservatrici avvertono politici ed economisti iraniani - l'economia funziona solo quando si appoggia al potere ed il potere quando viene sostenuto dall' economia». Dagli inizi della rivoluzione islamica quest'asse non si è mai interrotta e in parte ha contribuito a frustrare gli sforzi dei governi rifonnatori adesso però la scelta cambia, qui non si tratta di decidere fra status quo e cambiamento ma fra sopravvivenza e arretramento, fra un conservatore illuminato ed un ottuso zelota, le prudenti aperture di Rasfaruani e l'arroccamento di Ahmadinejad, un lento sviluppo economico o un vertiginoso salto all'indietro. Sulla Khayam, la principale arteria del mercato, i «bazaarìn» hanno idee chiare su cosa è accaduto: ((Ahmadinejad si è mosso con l'appoggio del Consiglio del Guardiani e soprattutto delle «Bonyad», le fondazioni islamiche», racconta un piccolo gioielhere. Questi potentissimi centri occulti eredi delle ricchezze dello Shah sono possessori di immobili, terreni, aziende, rendite e muovono somme enormi, solo la ((Bonyad e mostafazan». Fondazione degli Oppressi amministrata dai «pasdaran», dispone ogni anno dì almeno 12 milioni dì dollari. Fra i candidati battuti il rifonnista Mostaf a Moin ha già trasformato queste dicerie in accuse: «Il Consiglio dei Guardiani - dichiara, annunciando un ricorso - ha speso 15 milioni di dollari per mobilitare 3OOmila persone che hanno intimidito gli elettori e condizionato i voti». L'autorevole Mehdi Karrubi, secondo fino a metà dei conteggi, si appella al giudizio della Guida Suprema e all'ayatollah Kamenei (con cui è in ottimi rapporti) segnala il fatto che «molto danaro ha cambiato di mano e il Consiglio dei Guardiani avrebbe voluto nominare Ahmadinejad prima ancora del voto». Queste grida possono impressionare l'esterno: qui, nel recinto dell' antico bazaar anziché accapigliarsi si ragiona e ci interroga su come intervenire nella scelta che si compirà fra pochi giorni, con quali prospettive, quali garanzie e appoggiando chi. «Ahmadinejad - dice un venditore di tappeti - a Teheran ha avuto un milione di voti in più di Rafsanjani e questo perché tutta la zona Sud, quella dei più poveri, l'ha sostenuto. U confronto di venerdì prossimo sarà anche questo, uno scontro fra ricchi e poveri o almeno fra classi borghesi e persone meno agiate». Ecco la voce di un fornaio: «Sarà una battaglia all'ultimo respiro, la distanza fra ì due è davvero minima e chiunque potrebbe prevalere...». In effetti ai conteggi finali Rafsanjani viene accreditato del 21 per cento, sei milioni e duecentomila elettori, Ahmadinejad del 19,5 con cinque milioni e sette, appena cinquecentomila voti di differenza su un elettorato di 48 milioni. «1 diseredati faranno blocco su Ahmadinejad», insiste un ((bazaarìn» che deve sentirseli vicini poiché in luogo del negozio ha un bancarella su cui espone pochi orologi usati. «1 giovani e i progressisti devono fare blocco su Rafsanjani - opina un venditore di bigiotteria - lui è il solo il grado di guidare una modernizzazione dell' Iran, garantisce un marcia lenta e sicura e non la catastrofe minacciata da Ahmadinejad. Gli iraniani hanno bisogno dì migliorare l'eco- nomia e non di infilare altre centinaia di milioni nelle tasche dei ((pasdaran», non c'è persona ragionevole che oggi non si prepari a votare per l'ex presidente». Queste sono le voci dei bazaar, le voci di strada. Fuori dal recinto continuano a incrociarsi le prese di posizione più diverse, il premio Nobel Shirm Ebadi dice che nonostante tutto lei non voterà perchè non accetta un voto sottoposto a potere di controllo dall'alto, il fratello di Khatami sostiene che forse i progressisti non appoggeranno Rafsanjani, il perseguitato Ibrahin Yazdi capo dell'wlraqi Fr'eedom Mouvement» invita i riformisti a incontrarsi per decìdere una linea di condotta. In un Paese zeppo di telefonini e ricco di ben 43inila «weblog» messaggi e comunicazioni Internet cominciano a incrociarsi frenetiche per invitare quel quindici per cento che si è astenuto a tapparsi il naso e votare Rafsanjani. Ma tutto questo, naturalmente, riguarda le classi agiate. Nell'antica zona franca di Naser Khosro invece bisognerebbe poter ascoltare i bisbigli die s'incrociano negli uffici dei primi piani, i contat¬ ti che stanno per trasformare gli umori in azioni, le azioni in finanziamenti, i finanziamenti in vittoria politica. «Rasfanjani - dicono in molti - è uno dei nostri, discende da una vecchia famiglia di ((bazaarìn», i suoi antenati commerciavano in pistacchi e anche se poi lui è diventato ricchissimo quando è stato presidente ha sempre mantenuto con noi legami molto strettì». In un modo o nell'altro le trecentomila persone che metano intomo all'economìa del bazaar detengono il 15 per cento delle risorse nazionali, governano importanti banche private, determinano ogni giomo ì tassi di cambio e con iniezioni di danaro fresco influenzano questo o quel settore produttivo e politico. Ma non è solo questione di legami storici. In un Paese, come l'islamico Iran, così influenzato da strutture metastatali, dal potere di fondazioni e istituti, guardiani e controllori l'idea di un iperislamico che riconduca tutto al passato, renda lo Stato ancora più dirigista, stronchi quel minimo di iniziativa privata sopravvissuta a ventisei anni d'islamizzazione delle risorse appare terrificante. Rafsanjani promette quel poco che sa di poter mantenere, Ahmadinajad già l'altra sera in una conferenza stampa si diceva «eletto da Dio» alla prossima sarà pronto a chiamare in ballo il Dodicesimo Imam, colui che gli sciiti ancora aspettano per iniziare la propria riscossa. Nel bazaar di Teheran, lì dove il commercio s'incrocia con le corporazioni e si muovono le leve dell'influenza sociale le grandi famiglie stanno prendendo decisioni crociali che non possono attendere il Dodicesimo Imam né dipendere dall'integralismo di un uomo che appena due anni fa pensava di trasformare Teheran in una gigantesca pira funeraria per cremare nelle piazze i resti di migliaia di vittime della guerra contro l'Iraq. Stranamente, nonostante l'assoluta incertezza politica il barometro economico di Naser Khosro oggi segna al bello, il cambio fra rial e dollaro è rimasto stabile, non si è deciso alcun rincaro. Con l'antico dono del pragmatismo i ((bazaarìn» di Teheran hanno già deciso di appoggiare Hashemi Rafsanjani. Il danaro dei bottegai a suo tempo finanziò la rivoluzione degli «ayatollah». Il loro quartiere occupa una delle più antiche e sterminate aree commerciali del mondo L'ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani è il favorito nel ballottaggio di venerdì per le presidenziali iraniane Due donne iraniane davanti alla gigantografia della guida suprema della rivoluzione: l'ayatollah Khamenei

Luoghi citati: Iran, Iraq, Teheran