Inossidabile Rafsanjani Un po' Andreotti un po' Deng Xiaoping

Inossidabile Rafsanjani Un po' Andreotti un po' Deng Xiaoping àmm àmmà A: I DUE SFIDAMI! PER LA PRUDENZA IN IRAN Inossidabile Rafsanjani Un po' Andreotti un po' Deng Xiaoping Si dice che sia l'uomo più ricco del paese alludendo così alla sua corruzione ma nessuno nega le sue doti di equilibrista della politica: due volte presidente, ha navigato tra falchi e colombe Mimmo Candito Quando una rivoluzione perde il furore e la febbre che hanno infiammato una società e spìnto alla rivolta il suo popolo, e il progetto ideologico s'inaridisce progressivamente nella inevitabile istituzionaUzzazione, mutando in regime è in apparato le avanguardie che avevano trascinato alla lotta le masse dei disperati, il tempo della sua fine è già arrivato. Può essere una fine progressivamente autodistruttiva, un suicidio che muove dalle tensioni interne irrisolte e in ultimo da queste resta travolto (la rivoluzione francese e la rivoluzione del comunismo bolscevico ne sono un modello storico), può essere una fine che invece fa cambiare pelle alla rivoluzione e però ne assorbe l'eredità nelle nuove forme eterodosse che si vanno consolidando (la rivoluzione di Pechino appare oggi l'esempio più vistoso dì questa mutazione). Tenendo conto degli studi che O'Donnell aveva condotto sui processi di transizione, non è ancora certo che anche l'Iran segui' rà il modello cinese; ma la scelta di Ah Akhbar Hashemi Rafsanjani a primo dei votati nelle elezioni presidenziali di venerdì fa prefigurare come possibile, forse anche probabile (se alcune variabili si realizzano), uno scenario destinato a cambiare il corso della storia che vent' anni fa s'impiantò sulla sponda sinistra del Golfo e davvero fece temere un contagio inarrestabile all'intero pianeta (mai l'Occidente fu più grato a Saddam per la "seconda Khadissyia", che bloccò l'espansione persiana verso le terre della Mezzaluna e poi le pianure dell'Europa). Aspettiamo venerdì, naturalmente, per sapere se questa sua gara da «front runner» lo avrà confermato alla vittoria, ma il risultato dell'altro ieri proietta comunque, ancora una volta, sulla Rivoluzione khomeinista il segno .fQrte.che la,storiapoUtica di Rafsanjani ha sempre saputo imporre alla teocrazia iraniana. Sempre, anche quando quest'uomo - il più ricco dell'Iran, il più potente, forse anche il più corrotto - ha dovuto ritirarsi per qualche tempo nell'ombra d'un ruolo defilato dalle lotte politiche più aspre. Taluno ha voluto identificarlo come un «Andreotti iraniano», che è equazione possibile se si tiene conto della diversa gestione del potere su cui debbono misurarsi rivoluzione e democrazia parlamentare, ma che è un'equazione che conta soprattutto per ciò che conferma, d'un legame praticamente mai reciso tra attività politica, controllo del potere, sapiente coagulo d'innovazione e tradizionalismo, e comunque affari e manovre di palazzo macchiate da sospetti gravemente inquinanti. In ogni caso, a differenza di Andreotti, Rafsanjani presidente della repubbhca lo è già stato per due volte, ne ,ii anni '90, in un tempo politico che seguiva da presso la morte di Khomeini e doveva sapersi inventare la sopravvivenza d'una rivoluzione senza il simbolo mistico, venerato, inaccostabile che quella rivoluzione aveva incar- nato. Rafsanjani ci riuscì; non fu facile, e ben a ragione a quel tempo veniva chiamato (do Squalo»: l'equilibrio tra conservatori e riformisti s'avvicinò più volte al punto di rottura, le tensioni rischiarono d'esplodere sanguinosamente, però alla fine la spregiudicatezza con la quale guidò la ricostruzione di un'economia venuta fuori spossata dalla lunga guerra con l'Iraq seppe dare un rilancio di passioni alla società, al punto che la successione al suo secondo mandato registrò il successo travolgente di un'opzione a sorpresa riformista (Khatami venne e etto con il 70 per cento dei voti), segno evidente d'un progetto diffuso di rinnovamento che era nato nel corpo della società rivoluzionaria e muoveva impetuosamente dal basso. Con la presidenza Khatami, Rafsanjani si mise da parte. Ma solo formalmente, perchè s'assegnò il ruolo di presidente del Consiglio per il discernimento, che è una delle tante strutture della costituzione khomeinista che ingabbiano il dibattito pohtico e lo costringono a sottoporsi a un giudizio che conferma l'egemonia della teocrazia su qualsiasi progetto di cambiamento. Se ne stava da parte, dunque, ma da una parte nella quale poteva continuare a far pesare la sua influenza, il suo potere, il suo ampio giro di alleanze, di relazioni strategiche, di traffici tra pubblico e privato. E ora che Khatami se ne va, sconfitto, buttato giù dal treno della riforma, ecco che, su quel treno, ci monta lui, Rafsanjani, di nuovo in campo, pronto a frasi calicò di tutti i disagi e le frustrazioni d'una società in maggioranza giovane (il 70 per cento degl'iraniani ha meno di 30 anni) per farsene padrino nel nome d'una riconosciuta capacità di gestione della cosa pubblica. «Dobbiamo cambiare, ma un passo alla volta», ha predicato Rafsanjani in questa sua campagna elettorale. Khamenei, che chiuso nel proprio delirio teologico non vuole nemmeno sentir pronunciare la parola «cambiamento», ha fatto di tutto per contrastarlo, dapprima consigliandolo a non candidarsi (e certi «consigh» contano assai), poi lanciandogli addosso una muta scatenata di conservatori e di riformisti. Rafsanjani non ha ottenuto il quorum che sperava, s'è dovuto accontentare di meno; ma guida la corsa. Se vince, per l'Iran s'apre una speranza di modernizzazione che perfino Bush segue con attenzione. Lo Squalo ha confessato di conservare una Bibbia che Reagan gli mandò autografata; per molti, Bush oggi segue una strada ch'è la stessa che Reagan tracciò. Pare che sia la strada del Signore, accompagnata naturalmente da cannoni e missili. Khamenei, il volto duro del regime, non ha fatto mistero di avversare lasua candidatura. Gli ayatollah ' duri e puri temono che salti sul carro delle riforme L'ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani ha una forte chance di ritornare alla guida dello Stato

Luoghi citati: Europa, Iran, Iraq, Pechino