Boicottare o no, in Italia la diaspora è divisa di Francesca Paci

Boicottare o no, in Italia la diaspora è divisa «CONFIDAVAMO NELLE RIFORME, E INVECE...», «BISOGNA PARTECIPARE, E' UN DOVERE» Boicottare o no, in Italia la diaspora è divisa Francesca Paci Il diritto di voto, gli iraniani della diaspora se lo sognano con le immagini di Teheran prima dell'esilio. Almeno quelli senza cittadinanza nel Paese di Khatami: gli altri invece, la maggioranza dei circa 9 mila residenti in Italia, potranno due la loro al Consolato di Milano e all'Ambasciata di Roma. Ma, autorizzati 0 meno, questi patrioti senza patria s'interrogano sulle chance reali di cambiamento fino all'ultimo minuto, intimamente divisi tra la partecipazione attiva e la rivoluzione privata di internet e delle meches sotto il «chador» auspicata dalla scrittrice Aznar Nafizi. Andare alle urne stamattina, oppure astenersi? Avesse ancora ì documenti in rego¬ la, Yoosef Lesani boicotterebbe le elezioni senza remore. Farmacista, rifugiato politico, emigrato in Italia nel 1983 all'età di 22 anni, il dottor Lesani ha smesso di credere nella possibilità di un'evoluzione democratica della teocrazia: «D governo di Khatami ha dato prove tenibili. Confidavamo nelle riforme e ci ritroviamo con 145 persone impiccate solo nel 2004, 15 donne rinchiuse nei bracci della morte, ragazzi arrestati e malmenati per aver tenuto un blog, un diario online». Vista dal suo appartamento torinese, questa consultazione assomiglia all'antico proverbio persiano per cui «una vipera non partorisce un colombo». Inutile continuare: «H regime si è dimostrato un disastro. Non votare significa rifiutare in blocco una strada assolutamente sbaglia¬ ta». L'altra via, secondo lui, passa per i dissidenti sparsi in tutta Europa. Sasan Khanide invece, andrebbe. Malvolentieri, ma andrebbe per sostenere i candidati più progressisti. Trentun'anni, il ragazzo dagli occhi nero petrolio fuggito con la famiglia da Teheran quando era piccolissimo e l'ayatollah Khomeini prendeva in mano la capitale, s'immedesima nei suoi coetanei che rappresentano oggi il 75,!() della popolazione iraniana. «Certo, Khatami è stato una delusione, ma quando sei giovane hai bisogno di credere nella possibilità del cambiamento», dice. Lui intanto disegna cartoon come la celebre connazionale Marjane Satrapi. «Se partecipo? Ovviamente sì», afferma Farian Sababi, autrice del volume «Storia dell'Iran» e docente all'uni¬ versità Bocconi. «Il voto non è solo un diritto, ma anche un dovere», spiega. «Delegittimo il regime iraniano ogni ;iorao, con i miei articoli, le mie ezioni, non ho bisogno d'astenermi per questo». Anche perché, la giovane studiosa di Teheran è convinta che Rafsanjani sia la carta vincente per il suo Paese: «Il regime non si regge più in piedi, e Rafsanjani è l'unico pohtico vero attualmente in campo. Gli altri candidati sono i cosiddetti «kilometer sefr», chilometro zero. Dove vanno? Rafsanjani invece lo conosciamo bene. Sappiamo chi è, sappiamo che è stato condannato in Germania per l'omicidio eh alcuni oppositori, ma è l'unico che pensa alla politica estera e può tirare fuori l'Iran dalla palude in cui annaspa. Chi, se non lui, è andato m Cina?».

Persone citate: Aznar, Farian Sababi, Khatami, Khomeini, Marjane Satrapi, Rafsanjani