BOLIVIA pane, coca e dinamite di Emiliano Guanella

BOLIVIA pane, coca e dinamite ESPLODE IL SUD AMERICA DEI CONTRASTI SOCIALI i BOLIVIA pane, coca e dinamite Emiliano Guanella LAPAZ Un simbohco corteo funebre con duemila minatori che sfilano nel centro di La Paz. La bara vuota e ricoperta con le bandiere indigene ricorda Carlos Coro Yujra, l'unico manifestante morto negli scontri di piazza che hanno infuocato la Bolivia nell'ultima settimana. Los mineros lasciavano così ieri la capitale bohviana, applauditi dai passanti che regalavano loro borse con pane, acque e foghe di coca da masticare nel lungo viaggio di ritomo verso Oruro e Potosì, 300 chilometri da percorrere tutti a piedi. Fanno esplodere candelotti di dinamite, questa volta solo a mo' di commiato. A poche centinaia di metri di distanza, nella storica Plaza Murillo, cala il nuovo presidente della Repubblica, Eduardo Rodriguez Veltzè. Niente onori militari, nessuna accoglienza festosa con bandiere e bambini sorridenti per l'ex capo della Corte Suprema che prende il posto del dimissionario Carlos Mesa e che ha di fronte la titanica missione di traghettare il Paese a nuove elezioni entro la fine dell'anno. Difficile anche perché all'Alto, la gigantesca città dormitorio che domina l'ampia vallata dove giace La Paz, si respira ancora aria di ribellione. Copertoni bruciati, spazzatura abbandonata, negozi chiusi e pochissime auto in circolazione, visto il blocco totale dei rifornimenti di gas e benzina. A quattromila metri il vento soffia forte e tagliente e regala mulinelli da film western alle strade non asfaltate. L'autostrada che scende sinuosa dall'aeroporto è ancora bloccata e ci vorrà qualche giorno per sgombrare il cammino dagli oltre venti picchetti improvvisati con pietre, bidoni e guard-rail divelti. Verrà aperta solo se cosi vorranno i dirigenti della Fejuve, la federazione delle assemblee di quartiere, che guida uno sciopero che dura ormai da 22 giorni. L'agitazione è stata ribadita nell'assemblea plenaria, dove si sono riuniti i delegati di questa immensa baraccopoh di 600 mila abitanti. «Non siamo scesi in piazza per far cadere Carlos Mesa - spiega Abel Mamani, presidente della Fejuve - perché non ci interessa chi governa. Quello che esigiamo è una nuova legge sugli idrocarburi che apra la strada alla nazionalizzazione del nostro gas». È una richiesta impossibile e lo stesso Mamani lo sa bene ma tira dritto, nel segno di una radicalità che rischia di impantanare una situazione già di per sé esplosiva. La protesta della gente dell' Alto va oltre i confini della politica pura. C'è già chi parla della nazione indigena, di guerra civile contro i camba, i bianchi e i mestizos, eredi della colonia spagnola e dell'emigrazione europea. Gli animi sono agitati e basta un sussulto, una vampata di rabbia per prendere in mano pietre e bastoni. Mamani cerca di calmare gli animi ma non può evit se di sottoscrivere il nuovo ripudio al decreto sul gas che è costato la presidenza a Mesa e che pur aumentava dal 180Zo al 500Zo le ritenute ai guadagni delle imprese petrolifere straniere che da anni crivellano il ricchissimo sottosuolo boliviano. Per il neomandatario Rodriguez è di fondamentale importanza persuadere i leader dell'Alto ad associarsi alla tregua già decretata dalle altre organizzazioni sociah. Per questo, ancora prima di formare il nuovo esecutivo, li ha invitati al Palazzo di governo. La Paz, nel frattempo, cerca lentamente di tornare alla normalità anche se è difficile farlo senza i bidoni di gas ancora bloccati allo stabilimento di Senkata, lassù a 4.200 metri di altitudine nella zona controllata dai gruppi più intransigenti. La gente toma nelle strade, respira di nuovo l'Avenida Arce, che attraversa in due la città collegando i quartieri decadenti che si affacciano sul centro storico e la parte ricca orientale, dove sono stati riaperti i centri commerciali e i locali alla moda. La capitale, specchio concentrato di un Paese diviso. Al Bancario latinoamericano, un istituto che forma ragionieri e notai, le lezioni sono ncominciate dopo due settimane di blocco forzato. È una scuola per gli indios della classe media urbana, che non sono poveri come i contadini scesi in piazza ma non si possono permettere le facoltà straniere dei bianchi della zona Est. «Da sei mesi cerco lavoro confessa il ventiseienne Jor-ge Aparicia - ma è comphcato. Vorrei divent are ragioniere contabile, lavorare mlSfiTOtlfì^sà importante ma il panorama è grigio. La pohtica mi interessa ma non trovo nessuno che mi convinca. Mesa, all'inizio, prometteva bene poi, come tutti gli altri, si è chiuso su se stesso». Di Evo Morales, il leader dei cocaleros uscito vincitore da quest'ultima crisi, non vuol sentire nemmeno parlare. «Evo dice di parlare a nome del popolo ma fa gli interessi dei contadini di Cochabamba e non si preoccupa per la gente che vive nella città». Anche gli ultimi sondaggi pubblicati dalla stampa locale dipingono un Paese diviso e senza le idee chiare sul suo futuro. Il 70 per cento dei boliviani vuole le elezioni anticipate ma nessuno dei possibili candidati supera il 20-250Zo nelle intenzioni di voto. Troppo poco per poter governare davvero. L'analista politico Alvaro Garcia Lineras ha coniato la teoria dell' empate catastrofico, il pareggio terribile. «Per farlo - confessa - ho ripescato il vostro Gramsci. In BoUvia oggi esistono due blocchi. Da untato ci sono i partiti tradizionali, espressione dell'oligarchia bianca e degli industriali di Santa Cruz e delle altre province petrolifere. Dall' altra i nuovi movimenti contadini e indigeni che per la prima volta escono allo scoperto e chiedono un riconoscimento reale dei propri diritti. La Bolivia è uno Stato formalmente multretnfcb irfrf'aHHaf^awtìtìùftoan esiste una pohtica multiculturale a favore delle popolazioni originarie, che pur rappresentano più del 600Zo della popolazione. Lo scontro produce così un empate, un pareggio che rischia di erodere le fondamenta stesse delle istituzioni. E la mediazione è sempre più difficile». Per il più povero dei Paesi sudamericani esiste il rischio della balcanizzazione, dello scontro etnico che va al di là della strategica questione del gas e che solo un ampUo dialogo nazionale potrà evitare. La sfida aperta è far sedere allo stesso tavolo i ribelli dell'Alto, i contadini del torrido Tropico di Cochabamba, i minatori delle fredde vette di Potosì e i latifondisti e industriali delle vaste pianure orientah. La geografia impossibile di un Paese dall' orizzonte politico e sociale sempre più incerto. I manifestanti si sono ritirati, c'è un nuovo presidente, si prepara il voto Ma l'orizzonte politico e sociale appare sempre più incerto Un corteo di protesta a Sucre In piazza sono scesi soprattutto viani di origine india, i più poveri discriminati, che rappresentano il 60 per cento della popolazione del Paese i boliviani Un minatore sfila con candelotti di dinamite fra i denti

Luoghi citati: Alto, Bolivia, La Paz, Sud America