«Tre mesi per il Fréjus, lavorando 24 ore su 24»

«Tre mesi per il Fréjus, lavorando 24 ore su 24» UNA REPLICA IN DIMENSIONI RIDOTTE DEL RESTAURO DEL TRAFORO DEL MONTE BIANCO «Tre mesi per il Fréjus, lavorando 24 ore su 24» Il tecnico: ecco i lavori necessari per la riapertura, dalla volta alla decontaminazione retroscena ile ADESSO la domanda in cima a tutti i pensieri è: quando riaprirà il Fréjus? «Non prima di due o tre mesi)), prevede un super-esperto. Salvo sorprese, naturalmente. Si chiama Filippo Emanuelh ed è amministratore delegato di Belfor Italia, la società di pronto intervento spedalizzata nel ricostruire dò che è stato colpito da incendi e alluvioni, dai tunnel alle industrie. Anche il Monte Bianco è stato sottoposto alle sue cure dopo il disastro del 24 marzo'99. Ed ecco la seconda e inevitabile domanda: è possibile accelerare i lavori? Esistono procedure d'emergenza? Risposta: «L'impegno è sempre al massimo, dal momento che la logica è di ridurre i disagi per il cliente. Nel Monte Bianco, dove abbiamo lavorato per la concessione italiana, è stata impiegata una squadra di 124 persone per quattro mesi, su quattro turni ogni 24 ore: sei ore alla volta, sette giorni su sette». L'intervento - e questa è l'altra previsione - dovrebbe essere una rephca in piccolo di quanto si è fatto nel Bianco. «Ci sono problematiche simili, anche se fortunatamente su scala inferiore - spiega Emanuelh -. La differenza è che là si decise anrhe T'upgrade" dei sistemi di controllo e sicurezza, vale a dire l'aggiornamento con le ultime tecnologie. In questo tunnel, invece, è tutto più recente. Il vantaggio è chiaro, è di 20 anni». Traducendo per un profano, rimettere in sesto un «pezzo» di tunnel andato a fuoco significa passare attraverso tre fasi, dalla più laboriosa a quella considerata più rapida. «Per capire, bisogna ricordare che cosa è un tunnel: è un fabbricato che contiene una serie di sofisticati impianti tecnologici. L'incendio, in questo caso, è stato ridotto, circoscritto a un'area di circa 500 metri, anche se ha colpito la struttura ed è da lì che partiremo. Si inizierà dal rifad- mento della volta, proseguendo poi con la decontaminazione e infine d si concentrerà sul ripristino degh impianti)). Il punto fondamentale è verificare lo stato della galleria, perché è proprio il suo restauro a richiedere il maggiore investimento di tempo e attenzione. Si è cominciato ieri, con una prima esplorazione. «Il rogo - il processo di combustione, come lo definiamo noi tecnid - ha provocato una violentissima disidratazione e di conseguenza T'infragilimento" del calcestruzzo con il distacco dei primi strati esterni Una volta eseguita la riparazione, procederemo alla decontaminazione dai fumi)). Le immagini rimandano scene orride di tir semisdolti e di pareti annerite e amplificano l'angosda suscitata dalle fiamme e dalla morte di due persone. «Ciò che si è visto sono i fenomeni di corrosione e ossidazione, oltre i danni semplicemente estetici Da un punto di vista tecnico, i gas sono stati la conseguenza della combustione ad altissuna temperatura deimate- riali sintetici che si trovano nel tunnel e di quelli nei tir andati a fuoco, soprattutto del pvc, il cloruro di polivinile. Ricordo che il cloro liberato produce addo cloridrico, un agente ossidante». Risanati dai veleni i maledetti 500 metri, subentra la terza fase. «Come dicevo, consiste nel ripristino degh impianti. Le nuove tecnologie permettono ima notevole velocità di intervento. Una volta gh equipaggiamenti elettronici per il controllo del traffico e della ventilazione dovevano essere sostituiti integralmente. Ora si riparano e a chiunque è evidente il risparmio in termini di tempo e di costi. Quelli del Fréjus, infatti, hanno un grado di resistenza costruttiva superiore rispetto al Bianco e contemporaneamente l'incendio è stato di una magnitudo inferiore». Eppure il rogo, oltre che improvviso, è stato violentissimo, sui 100 megawatt di potenza (così dicono le rilevazioni), impedendo al sistema di ventilazione di espellere i fumi attraverso i camini. Com'è possibile? «Non c'è dubbio che l'impianto di ventilazione sia tra i più moderni - conclude Emanuelh -. Comunque sarà necessaria una riflessione per capire possibili miglioramenti. Purtroppo il Fréjus ha una sola canna, mentre sappiamo che l'ideale è la struttura doppia, ima per ogni direzione, oltre ai canali d'emeigenza sotterranei, come quelli creati nel Monte Bianco. Permettono di gestire meglio incendi e ingoighi, oltre che l'inevitabile panico di chi è coinvolto. La verità è che gh inddenti non si possono eliminare. Accadono anche nelle strutture più sicure: ricordate l'incendio nell'Eurotunnel sotto la Manica del 18 novembre'96?». I resti del Tir che trasportava pneumatici nel traforo del Fréjus

Persone citate: Filippo Emanuelh

Luoghi citati: Belfor Italia, Fréjus