Europa e Usa, voci dissonanti sull'Iran di Maurizio Molinari
Europa e Usa, voci dissonanti sull'Iran IL SEMINARIO SULLE RELAZIONI TRANSATLANTICHE A CURA DELLA FONDAZIONE MAGNA CARTA Europa e Usa, voci dissonanti sull'Iran Divide l'impegno di Washington per un cambio di regime Maurizio Molinari inviato a LUCCA Stati Uniti ed Europa non sono in sintonia sull'ipotesi di un cambiamento di regime in Iran mentre condividono le preoccupazioni sulla stabilità della Russia di Vladimir Putin. Questo è emerso da due giorni di lavori a porte chiuse del seminario sulle «Nuove relazioni transatlantiche» organizzato dalla fondazione «Magna Carta» riunendo una trentina di anahsti e politici dei due lati dell'Atlantico per affrontare l'agenda euroamericana passati oramai i primi cento giorni dall'inizio del secondo mandato di Bush. La questione iraniana è stata sollevata da alcuni degh americani presenti, come DanieUe Pletka, vicepresidente deh'«American Enterprise Institute», e Meyrav Wurmster, deir«Hudson Institute», secondo cui l'agenda deh guerra al terrorismo iniziata all'indomani deh'11 settembre 2001 porta ad avere la necessità di un cambio di regime a Teheran per tre ragioni convergenti. Primo: la determinazione iraniana a dotarsi dell'anna atomica. Secondo: il coinvolgimento di Teheran con organizzazioni terroristiche come gh Hezbollah. Terzo: la violazione dei diritti umani da parte di un regime dalle caratteristiche totalitarie. Parere diffuso fra gh analisti americani è che il secondo mandato di Bush sia iniziato con una svolta: la scelta della Casa Bianca di porre l'accento sul terzo motivo, ovvero il diritto del popolo iraniano ad essere governato da leader democraticamente eletti. Da qui lo scenario di un possibile «cambio di regime» che potrebbe avvenire dall'interno se gh uraniani trovassero la forza, ed avessero il sostegno estemo necessario, per sfidare un regime che trp.f- la sua legittimità dalla rivoluzione khomeinista del 1979. Ma questo approccio ha trovato molto scettici gh italiani seduti attorno al tavolo, come l'ex ministro degh Esteri Lamberto Dini e Stefano Silvestri, presidente dell' Istituto di affari intemazionali, secondo i quali non è assolutamente detto che un cambio di regime a Teheran possa aiutare a prevenire la proliferazione nucleare in Medio Oriente mentre invece aperture e trattive negoziali con l'Iran - come quehe intavolate dall'Unione Europea con il sostegno di Washington - potrebbero riuscire a neutralizzare i rischi strategici legati all'entrata degli ayatollah nel club deUe potenze nucleari. Sull'approccio alla Russia di Putin invece americani ed europei hanno registrato forti convergenze. Un serrato confronto fra quattro cremlinologì - Arie Cohen della «Heritage Foundation», Radek Sikorski della «New Atlantic Initiative», Victor Zaslavsky dell'Università Luiss e Eugene Rumor deha «National Defence University» - ha fatto emerge il rischio che l'incapacità di affrontare i problemi economici e politici intemi possano trasformare la Russia in uno «Stato fallito» obbligando l'Europa come gli Stati Uniti ad un maggiore impegno per garantire la stabilità dell'area ex sovietica. I timori legati alle pohtiche di Putin comprendono anche casi-limite come il rischio che l'oligarga Mikhail Khodorkovsky possa morire durante i novi anni di detenzione a cui è stato condannato. Comune anche la preoccupazione per quanto sta avvenendo in Siberia, dove gruppi cinesi sempre più numerosi si insediano oltre il confine russo senza tuttavia che Mosca ne favorisca l'integrazione, innescando così ima spirale di tensione dagh esiti imprevedibili. Il seminario è stato caratterizzato anche da un vivace scambio di battute fra Larry Korb, del «Center for American Congress» di area democratica nonché guidato da John Podestà, e Paul Berman, giornalista del settimanale neo-liberal «New Republic» ed autore del libro «Terrore e liberalismo». Confermando di rappresentare i diversi approcci del mondo democratico aha guerra al terrorismo Berman e Korb si sono scontrati sulla risposta da dare alla sfida deU'l 1 settembre: il primo ha difeso l'idealismo basato sulla convinzione che le elezioni in Iraq abbiano segnato una «svolta moderna» e democratica per l'intero mondo arabo, mentre il secondo ha difeso l'attualità di una politica estera «pragmatica e realista» capace di dialogare con regimi e governi arabi al fine di promuovere le riforme. «E' errato considerare il realismo una parolaccia» ha concluso Korb citando Henry Kissinger. ATeheran, un religioso regge il ritratto di Khamenei durante le celebrazioni del 160anniversario della morte di Khomeini
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